sabato, luglio 22, 2006

Il cancro

(Bahrain News Agency, Asia Times). Israele sostiene (o lascia sottintendere) che sono stati rapiti in territorio israeliano. Quindi scatena l'inferno, bombarda il Libano mentre l'Europa in parte si indigna (e tace) e in parte grida all'autodifesa (e farebbe meglio a tacere). Dopo aver mandato giù per buona e per anni la propaganda filo-israeliana al punto di passare per proposte le menzogne spudorate di Barak (che ha negato al suo popolo ed ai confinanti, per malafede, disonestà e incapacità, ogni possibilità di pacificazione sul confine siriano e ha fatto saltare ogni possibilità di accordo a Camp David), l'occidente lascia che il ricatto israeliano si sostanzi ancora una volta in una deliberata e criminale catastrofe umanitaria. Centinaia di morti tra i civili libanesi ed altre centinaia di migliaia di profughi devono pesare sulla coscienza di questa Europa vigliacca, posto che sulla proditoria arroganza della dirigenza israeliana e sulla disonestà del suo protettore americano non corrono il rischio di lasciare la minima traccia. Ma qualcosa si muove, l'incapacità di protetti e protettori di mantenere alto - nonostante l'impegno evidente o dissimulato di vassalli di ogni risma - il livello della disinformazione.
Un codardo silenzio è il cancro ormai endemico nella quasi totalità dei media occidentali allorchè si tratti delle malefatte di chi indegnamente ha governato e governa Israele, un piccolo Stato che la propaganda ha racchiuso nella disinformazione e nell'egoismo. L'invasione libanese ne è solo un ulteriore esempio. Il 12 luglio 2006, Israele manda i suoi soldati all'interno del territorio libanese, questi vengono arrestati nella città libanese di Ayta ash-Shab dalle milizie di Hezbollah che controllano la zona

«L'ultimo capitolo del conflitto tra Israele e Palestina è iniziato quando le forze israeliane hanno rapito due civili, un dottore e suo fratello, a Gaza. Un incidente per lo più ignorato dai media, ad eccezione della stampa turca. Il giorno seguente i palestinesi hanno fatto prigioniero un soldato israeliano e proposto un negoziato per scambiare i prigionieri - ci sono circa 10.000 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Che questo «rapimento» sia stato considerato oltraggioso, mentre l'occupazione militare illegale della Cisgiordania da parte di Israele e l'esproprio sistematico di tutte le sue risorse - in particolare l'acqua - venga considerato spiacevole ma inevitabile è un tipico esempio del doppio standard continuamente impiegato dall'Occidente rispetto a ciò che viene fatto contro i palestinesi, sulla terra promessa loro dai vari accordi internazionali da settant'anni a questa parte. Oggi ad oltraggio segue oltraggio: missili artigianali incrociano missili più sofisticati. Questi ultimi in genere cercano il loro obiettivo proprio dove si ammassa la gente più diseredata, ancora in attesa di ciò che un tempo veniva definita giustizia. Entrambe le categorie di missili fanno a pezzi i corpi in maniera orribile. E chi, tranne i comandanti sul campo, può scordarsene anche solo un momento? Le provocazioni e le controprovocazioni vengono ogni volta contestate o acclamate, ma tutti gli argomenti a posteriori, accuse e promesse, finiscono col fungere da diversivo per allontanare l'attenzione del mondo da una lunga pratica militare, economica e politica il cui fine non è nient'altro che la liquidazione della nazione palestinese. Tutto ciò deve essere ribadito chiaramente perchè questa pratica, benchè spesso dissimulata o nascosta, ultimamente sta andando avanti sempre più rapida. E, secondo noi, va incessantemente ed eternamente riconosciuta e contrastata per quello che è». (John Berger, Noam Chomski, Harold Pinter, José Saramago)

E non bisogna nemmeno stupirsi dell'apparente consenso che regna in Israele sulle operazioni dei suoi dirigenti. Ce lo spiega Ilan Pappe, storico israeliano, professore all'Università di Haifa, intervistato su Democracy Now il 20 luglio 2006. Ma anche lì - c'è chi lo assicura - è questione di tempo.
Amy Goodman: Professor Pappe, we’re hearing over and over again in the U.S. media about how the Israeli population is fully behind their government, especially as the rockets continue to slam into Haifa, now Nazareth. Is this true?Ilan Pappe: Yeah, it is true. It is true that the Jewish society -- as you know, 20% of the Israelis are Palestinians, and I doubt very much whether they support this policy -- but it is true that the majority of the Jewish population supports the government, but they do it because they’re misinformed -- nobody in Israel can see what are the results of the Israeli bombing in Lebanon -- and because it is an indoctrinated society that, through the educational system and the media and the political system, gets a very distorted picture of the reality around it.
Il verme della disinformazione alligna e si diffonde nell'ignoranza, dove c'è comunicazione e diffusione delle notizie, dei fatti, la propaganda ha veramente vita dura. Sembra solo questione di tempo.

Più di 2500 persone hanno partecipato sabato 22 luglio 2006 a Tel Aviv ad una dimostrazione contro la guerra in Libano, marciando da piazza Rabin per incontrarsi a Cinemateque Plaza. La manifestazione è stata la prima di questo tipo di protesta contro l'offensiva israeliana in Libano. Diversamente da precedenti manifestazioni contro la guerra in Israele, le principali organizzazioni arabe - tra di esse Hadash e Balad - hanno partecipato in massa all'evento. Gruppi arabi e israeliani che normalmente non partecipano ad attività congiunte hanno unificato i loro slogan perchè questa guerra venga fermata e si sono visti nuovi volti tra i manifestanti. La dimostrazione ha ricevuto ampia copertura dai media ed ha avuto un tema inconsueto nelle precedenti occasioni dello stesso genere. Oltre alle normali proteste contro il primo ministro e il ministro della difesa con l'invito a rassegnare le dimissioni, c'è stata una peculiare protesta anti-americana. A fianco delle voci che gridavano "non uccideremo, non moriremo nel nome del sionismo" sono stati intonati canti quali "non moriremo e non uccideremo al servizio degli Stati Uniti" e slogan di condanna contro George W. Bush. Durante l'evento, si è formata una contro-dimostrazione nei confronti di chi dimostrava contro la guerra. Manifestanti di destra hanno gridato al loro indirizzo "traditori, ne abbiamo abbastanza di voi", dispiegando bandiere israeliane e delle Brigate del Golan. Ne è scaturito uno scontro tra gli attivisti mentre alcuni infuriati passanti hanno maledetto i manifestanti di sinistra chiamandoli "Hizbullahniks". Altri hanno lanciato sacchi di spazzatura agli attivisti gridando: "un arabo buono è un arabo morto!" e "se solo un razzo vi cadesse addosso!". Parecchie unità di polizia e delle squadre speciali hanno mantenuto in sicurezza lo scontro e tenuto separati gli attivisti. Nonostante i tafferugli, gli organizzatori della marcia hanno dichiarato di essere stati contenti del numero sorprendente di partecipanti ed incoraggiati dalla reazione del pubblico contro le operazioni in Libano. (Ha'aretz, Yedioth Ahronoth)

2 commenti:

pipistro ha detto...

Ha'aretz 22/07/2006

Anti-war Tel Aviv rally draws Jewish, Israeli Arab crowd
By Lily Galili
«More than 2,500 people on Saturday attended a mass demonstration against the war in Lebanon, marching from Tel Aviv's Rabin Square to a rally at the Cinemateque plaza.
The rally was the first of its kind protesting against the IDF's offensive in Lebanon. Unlike previous anti-war protests in israel, major Arab organizations in Israel - among them Hadash and Balad - participated in the event in large numbers.
They were joined by the left flank of the Zionist Left - former Meretz leader Shulamit Aloni and Prof. Galia Golan, alongside the radical left of Gush Shalom, the refusal to serve movement Yesh Gvul, Anarchists Against the Wall, Coalition of Women for Peace, Taayush and others.
These Jewish and Arab groups ordinarily shy away from joint activity. They couldn't come up with a unifying slogan this time either, except for the call to stop the war and start talking. However, protest veterans noted that in the Lebanon War of 1982 it took more than 10 days of warfare to bring out this many protesters, marking the first crack in the consensus.
The protest drew some new faces, like Tehiya Regev of Carmiel, whose two neighbors were killed in a Katyusha attack on the city. "This war is not headed in the right direction," she told Haaretz; "the captured soldiers have long since been forgotten, so I came to call for an immediate stop to this foolish and cruel war."
The rally, which received wide international press coverage, had a theme unfamiliar from previous demonstrations here. Beside the usual calls for the prime minister and defense minister to resign, this was a distinctly anti-American protest. Alongside chants of "We will not kill, we will not die in the name of Zionism" there were chants of "We will not die and will not kill in the service of the United States," and slogans condemning President George W. Bush».
Haaretz

Anonimo ha detto...

E' una affermazione forte ma si stanno comportando in stile nazista...
se hai tempo di leggere qui ci sono cose interessanti:
http://www.telesurtv.net/contexto-israel-estado-terrorista.php
http://www.telesurtv.net/contexto-asalto-gaza-1.php

ciao,
Tamburo