lunedì, giugno 26, 2006

Circolo vizioso

La famiglia di Gilad Shalit - "quieta e introversa" come molti dei loro amici la descrivono - si è trovata, domenica 25 giugno 2006, nell'occhio di un ciclone nazionale con il resto della piccola città di Mitzpe Hila nell'ovest della Galilea. I membri di quella famiglia hanno guardato la televisione, hanno ascoltato il capo di stato maggiore dell'esercito israeliano e i leader politici di tutti i Paesi a qualche titolo coinvolti, americani, egiziani, europei. E hanno trovato difficile credere che oggetto delle loro dichiarazioni fosse proprio il loro figlio. Dall'altra parte, in un proclama lanciato lunedì 26 giugno sui media locali di Gaza e firmato dai tre gruppi responsabili del rapimento di Gilad Shalit, si dichiara che informazioni sulla sua sorte saranno rilasciate solo se Israele libererà le donne e i minori di 18 anni trattenuti nelle prigioni israeliane. Donne palestinesi dimostrano chiedendo la liberazione dei loro congiunti e issano uno striscione in cui si legge: "rifiutiamo di rilasciare il soldato israeliano mentre i nostri figli sono ancora nelle prigioni israeliane" (agenzie, Ha'aretz e sito delle Brigate Ezzedeen al-Qassam). Aggiornamento Jun. 26, 2006 23:28: L'IDF sta controllando un comunicato del Comitato di Resistenza Palestinese di lunedì sera in cui si dice che un colono israeliano è stato rapito nel West Bank. Un membro del gruppo, conosciuto come Abu Abir, ha detto che i dettagli del rapimento, come informazioni sul rapito, verranno diffusi più tardi. L'IDF dichiare che non è al corrente dell'incidente, ma ciò non di meno sta trattando la questione seriamente (Jerusalem Post). Nel frattempo un portavoce del Comitato di Resistenza Popolare ha dichiarato a Ynet News (Yedioth Ahronoth) che il suo gruppo ha rapito un colono nel West Bank. Il portavoce del movimento, Mahmoud Abed Alal, ha detto che rilascerà altre informazioni sul rapimento più tardi stanotte. L'IDF afferma di essere a conoscenza del rapporto ma di non essere in grado di confermare. Un ufficiale del PRC avrebbe dichiarato a Ynet News che il suo truppo è pronto a negoziare il "prezzo" che Israele è disposto a pagare per il rilascio del soldato e del colono. Ha ggiunto che i gruppi palestinesi continueranno a rapire israeliani "per far cessare l'aggressione israeliana contro i palestinesi nel West Bank e a Gaza e per ottenere il rilascio dei prigionieri palestinesi". Secondo DebkaFile (sito vicino ai servizi di intelligence israeliani) sarebbero 150 le donne recluse di "sicurezza" e 300 i minori di diciotto anni palestinesi ristretti nelle prigioni israeliane.

giovedì, giugno 22, 2006

Persia perplessa

A dimostrazione del clima di relativa normalità che, probabilmente, risulta qui in Italia inaspettato, leggo sul "Berkeley Forum" (un blog di buona qualità gestito da universitari iraniani negli USA), un pezzo del 18 giugno scorso in cui viene trascritta una mail di un lettore iraniano che puntualizza il proprio interessante pensiero e prende come punto di partenza le pelose, spesso faziose ed esasperate "preoccupazioni" occidentali per l'ascesa al potere del neonato governo, democraticamente eletto, di Hamas in Palestina o per l'elezione, altrettanto democratica, del Presidente iraniano. Ne riporto uno stralcio/riassunto. «In assenza di governi efficienti, in una regione dove le regole vengono dettate da una oligarchia di famiglie reali, o dagli alti gradi dell'esercito, o da una elite religiosa, non bisogna stupirsi se la gente normale si rivolge a persone che vede a sè simili. Le persone che votano per un outsider, per Ahmadinejad, non stanno abbracciando il fascismo, stanno solo votando per qualcuno che promette loro una vita migliore. Se uno ascolta Ahmadinejad regolarmente, non sentirà parlare molto dell'idea di cancellare Israele dalla carta geografica. Ma in ogni occasione sentirà di costruzione di palestre per donne e giovani, di opportunità di lavoro, di nuove scuole e ospedali, strade e simili. Molti sanno che queste promesse non saranno mantenute, ma vengono almeno fatte e danno un barlume di speranza per il futuro». Avete mai letto uno ed un solo discorso, un resoconto, un riassunto, un flash di agenzia di questo tenore sui media italiani ed occidentali? Non credo. I problemi in Iran e in Medioriente ci sono, questo è certo, è un percorso, ma ci sono tutti i presupposti perchè - per quanto talvolta risalendo la corrente con difficoltà - rimanga un viaggio pacifico. Molti remano contro. L'importante è rendersene conto. link

lunedì, giugno 19, 2006

L'anello più debole

Un delitto politico. Così la nostra magistratura avrebbe qualificato l'omicidio di Nicola Calipari, trovando il grimaldello per processare, tramite il terrorizzato riservista Lozano di New York, il sistema di ipocrisia diplomatica e connivenza che ci ha dipinti ancora una volta come vassalli, più che alleati, dello straordinario amico americano. Sì, perchè l'americano è straordinario ed è amico. E lo è ad onta di quell'occhio schiacciato ai personaggi più improbabili e peggiori rappresentanti di quel popolo e di quel grande Paese. Ed è comunque amico quel Paese che con comprensibile stupore, ma con asprezza ben superiore alla più accesa critica di casa nostra, si scontra ormai quotidianamente con tutti i dubbi suscitati da una amministrazione invasata, fallimentare, disonesta e interessata, indegna dell'entusiasmo, dell'ingenuità e del sacrificio della sua stessa gente. Rileggo un pezzo di Newsday dell'anno scorso, parole semplici ed anch'esse un po' ingenue a dipingere il soldato Lozano, spaventato ultimo debole anello di una catena che lo ha addestrato per farne all'occasione una macchina criminale. Ma lui forse non lo sa. «Washington, 6 maggio 2005 - Il soldato speciale Mario Lozano era appollaiato sulla torretta del suo Humvee, tenendo d'occhio con difficoltà la distesa stradale più insanguinata dell'Iraq, quando per primo avvistò l'auto. Tutti gli altri conducenti, quella notte, una dozzinao o due nel conto dei soldati, erano tornate indietro appena avevano visto un paio di Humvee del 69° Regimento di Fanteria di Manhattan che bloccava la strada. Questa non si fermava, neppure rallentava. Dentro la Toyota Corolla l'umore era festoso e insieme ansioso. Due agenti dell'intelligence italiana avevano appena liberato una giornalista presa in ostaggio, ma dovevano ancora raggiungere sani e salvi l'aeroporto. L'autista, Andrea Carpani, aveva il cellulare in una mano e il volante nell'altra, il finestrino mezzo aperto per ascoltare rumori sospetti. Man mano che l'automobile si fece vicina a Lozano più che ad altri - 150 yarde, 100 yarde - il riservista di New York City si alzò per rispondere. Diede un colpetto alla torcia con la mano sinistra e sparò una serie di colpi di avvertimento di mitragliatrice con la destra. Ma in quei momenti di paura - Lozano ha detto agli investigatori americani - un altro pensiero gli è balenato in mente - le sue figlie, la ragione per cui ha detto agli amici che aveva bisogno di tornare vivo dall'Iraq. Lozano "si sentì minacciato e stava pensando alle sue giovani figliole mentre contava freneticamente i secondi, guardando la distanza coperta dall'autovettura, facendo i calcoli per determinare la velocità della macchina ...gridando con tutto il fiato che aveva", secondo un rapporto italiano sulla sparatoria. Novanta yarde, 80 yarde e ad un certo punto Lozano ha aperto il fuoco, tagliando l'aria con una sventagliata di pallottole traccianti rosse. Dentro l'auto l'autista Carpani schiacciò il freno e gridò "ci stanno attaccando!" [...] Non è stato rivelato molto su Lozano, addetto alla mitragliatrice qulla notte sul Humvee. E' iscritto in registrazioni ufficiali come trentacinquenne che vive nel Bronx. La sorella della ex moglie di Lozano, Connie Gutierrez, dice che era appena arrivato a casa per una licenza di due settimane, il mese scorso e che mostrava le fotografie del suo periodo in Iraq, della campagna iraqena e dei bambini. Se parlasse del ruolo della sua unità nella sparatoria al posto di blocco, lei non ricordava e non è stato possibile raggiungere la ex moglie di Lozano, Carolyn, per un commento. Connie Gutierrez ha detto che sua sorella e Lozano hanno divorziato in anni recenti, ma hanno due figlie di 12 e 15 anni, e lui parla di loro come dell'unica cosa che lo sta aiutando a venir fuori dalle sue difficoltà in Iraq ...». (Newsday)

venerdì, giugno 09, 2006

Lo scemo del villaggio


Abu Musab Al-Zarqawi, nome d'arte di Ahmed Fadel al-Khalaylah, nato a Zarqa, Giordania, nel 1966. Un piccolo delinquente comune, migrato in Afghanistan fuori tempo per resistere all'invasione sovietica ma non abbastanza per sfuggire ad una abborracciata full immersion jihadista da mettere malamente a frutto una volta tornato al suo paese. Qui, a Zarqa, riprende infatti la sua mediocre carriera da ribelle disadattato ed incattivito ai margini dalla fatale secolarizzazione dei paesi arabi in generale e della Giordania in particolare. Conduce quindi la propria confusa battaglia come un qualsiasi piccolo balordo, per giunta – si dice - violento e ubriacone ed incapace di elaborare proprie idee. Usufruisce in questo dell'input integralista di cui si è imbevuto in Afghanistan e viene così conosciuto e ricordato dai suoi compagni di galera, per molti anni sua residenza dopo il rientro in patria. In forza di un'amnistia emigra nel nord dell'Iraq. L'occupazione è terreno fertile per il fanatismo più che per le capacità e il nostro è dotato di un certo carisma, laddove nell’isola dei ciechi chi ha un occhio solo è ricco. Ma soprattutto è premiato dall'esigenza di individuare un "cattivo" per l'alleanza occupante, privata della figura-bersaglio di bin Laden. I media costruiscono pazientemente il mito del balordo giordano, spingendolo a prendere addirittura contatto (via internet) con gli ambienti vicini ad Osama. Il fatto di essere diventato, ormai, un ottimo simbolo per la propaganda, consente ad al-Zarqawi di aprire in franchising la filiale iraqena di al-Qaeda. Tra presunte azioni di macelleria perpetrate personalmente ed inverosimili operazioni condotte su tutto il territorio iraqeno, Abu Mussab assurge rapidamente al ruolo di “most wanted” del valore di 25 milioni di dollari, gli vengono attribuite doti di ubiquità e scaltrezza sovrumane. Rocambolescamente si eclissa più volte proprio quando è sul punto di essere catturato. Al-Zarqawi è ormai per i media considerato il "leader" della inesistente banda al-Qaeda e viceversa deve essere lui il primo a sorprendersi dell’insperata popolarità attribuitagli pur essendo il mero gestore semi-volontario di un marchio. Cosa significhi, infatti, far parte di al-Qaeda, poco importa, anche nulla, ma tant'è. Dopo mesi di amplificazione mediatica del personaggio, enfiato e imbolsito da un evidente eccesso di alimentazione difficilmente compatibile con la grama esistenza dell'insurgent, lo ritroviamo finalmente su un video di squisita fattura dove dimostra di aver forse maneggiato efficacemente un coltello ma di non aver mai preso in mano un'arma da fuoco. Amen. Viene pure deriso e vilipeso per il "dietro le quinte" di questo video di incerta provenienza, come tutto il resto. Sembra un fantoccio che recita un copione mal fatto, maneggia malamente un'arma, che si inceppa, si impappina con l'otturatore, emette qualche imbarazzata raffica con sguardo volto all'orizzonte e infine rivolge beatamente l'arma (scarica o nuovamente inceppata) (v. foto) verso alcuni ridicoli figuranti che lo circondano. L'8 giugno 2006, alle 3:10 del mattino ora italiana, parte la notizia del bombardamento che con la morte di Zarqawi inocula provvidenziale e rinnovato consenso per il Presidente degli USA - ormai al punto più basso di popolarità mai raggiunto - e per i suoi clienti. Ma è stata pure riesumata ieri la notizia di un altro al-Zarqawi, dotato di una rimarchevole mentalità infantile emergente dall'esame delle lettere scritte durante la detenzione in Giordania alla madre e recuperate ad Amman da un giornalista francese, Jean-Marie Quemener. Le lettere - si legge - sarebbero ornate da disegnini di mano infantile, colorati di giallo, azzurro e rosa e talvolta incorniciate come pagine del Corano. La foto del suo cadavere fa il giro del mondo. La sua avventura è finita. E allora – vi chiederete - chi è lo scemo del villaggio? Chi pensa che davvero con la sua morte sia cambiato qualcosa.

giovedì, giugno 08, 2006

Persia per persa


«Lo Shah dell'Iran sta seduto sopra una delle più vaste riserve di petrolio del mondo. Eppure sta costruendo due impianti nucleari e ne ha in programma altri due per fornire elettricità al suo paese. Lui sa che il petrolio sta finendo e con esso il tempo. Ma non costruirebbe le centrali se dubitasse della loro sicurezza. Aspetterebbe. Come molti americani vogliono. Lo Shah sa che l'energia nucleare non è solo economica, ma ha raggiunto in trent'anni considerevoli risultati di sicurezza. Risultati che sono stati sufficientemente buoni pure per i cittadini di Plymouth, in Massachussetts. Loro hanno approvato il secondo impianto nucleare con una maggioranza di quattro a uno. Il che dimostra che non dovete andare fino in Iran per trovare approvazione all'energia nucleare».
E' un inserto pubblicitario utilizzato negli anni 70 da molte compagnie petrolifere USA per convincere gli americani della necessità di dotarsi di impianti nucleari e della sicurezza raggiunta dalle centrali e pubblicato oggi su iranian.com (Guess who's building nuclear power plants?) e sul Manifesto (7 giugno 2006, pag. 4). Il regime dello Shah forniva infatti in quel periodo, prima della rivoluzione islamica al seguito di Khomeini, che avrebbe precipitato la Persia in un diverso tipo di padella (o brace), garanzie di vassallaggio perfettamente accettabili dal punto di vista degli USA, che parteciparono infatti alacremente - e non da soli - alla corsa iraniana per dotarsi di centrali e tecnologie nucleari. Oggi lo scenario è notoriamente cambiato anche senza riguardo alle ondivaghe, estemporanee e comunque largamente enfatizzate accuse di partecipazione alla schiera dei cattivi rivolte alla Persia e al suo regime, che sconta inoltre, per non farsi mancar nulla, il fatto di essere obiettivamente opprimente, antidemocratico e percorso trasversalmente da problemi di sviluppo in odore occidentale, acceso nazionalismo e legislazione confessionale islamica (Sharia). Ma oggi, sebbene sia più convincente il piano economico che consentirebbe all'Iran di risparmiare poco meno di 30 miliardi di dollari (dotandosi di nuovi ed efficienti impianti nucleari per far fronte al crescente consumo interno e rivitalizzando le risorse petrolifere anche per l'esportazione - cfr. Limes 4/2006, appendice all'articolo "Così si gioca al tavolo nucleare", pag. 99-100) rispetto agli scenari apocalittici iniettati in occidente su iniziativa prevalentemente americana e israeliana, in sostanza l'Iran sconta assai più il fatto di essere capace di recare non poco disturbo sotto il profilo economico e geostrategico al cancerogeno progetto di egemonia pianificato nel Project for a New American Century dagli USA ed avallato dai suoi clienti o aspiranti tali.

venerdì, giugno 02, 2006

La s'ignora

«Farò saltare la moschea di Colle Val d'Elsa - dichiara Oriana Fallaci al New Yorker - Andrò dai miei amici anarchici, con loro prendo gli esplosivi e la faccio saltare in aria!». Così, dopo aver appellato gli attuali leader italiani come "fucking idiots", la neocon in trasferta riesce a far parlare di sè scagliandosi contro il mondo musulmano e l'erigenda moschea con la consueta patetica virulenza: «I blow it up! With the anarchists of Carrara. I do not want to see this mosque—it’s very near my house in Tuscany. I do not want to see a twenty-four-metre minaret in the landscape of Giotto. When I cannot even wear a cross or carry a Bible in their country! So I blow it up!». Quale sarà, dopo l'inopinato conferimento dell'Ambrogino d'Oro 2005, il tributo adatto a questa signora? S'ignora. Ma è possibile degradar sin d'ora a chiacchiere l'argomento. (Articoli sul New Yorker 29 maggio 2006 e sul Corriere della Sera 30 maggio 2006)

giovedì, giugno 01, 2006

Insciallam

Ha meritato molto spazio - mezza pagina (14) del numero di lunedì 29 maggio 2006 - un gustoso pezzullo di Magdi Allam dedicato al muro israeliano. Sì, il muro, il recinto, la barriera, quella cosa di cui si è occupata la Corte di Giustizia dell'Aja nella trascuratissima Advisory Opinion che ne ha scolpito l'illegittimità sotto il profilo del diritto internazionale, oltre ad ogni altra considerazione sotto l'aspetto umano. Non voglio influenzare nessuno con la mia opinione sull'opinione di Allam e mi limito qui a trascrivere - parole sue - che "da bordo di un piccolo elicottero dell'«Israeli Project» la vista dell'insieme del «recinto di sicurezza», che una volta completato si svilupperà per 670 km, non offre quell'immagine criminalizzante accreditata da gran parte dei media internazionali" e che il sogno israeliano "si è tragicamente infranto dopo il tradimento di Arafat nel 2000, che ha privato i palestinesi di un'opportunità storica per avere il loro stato". Ma non voglio privarvi del piacere della lettura dell'intero articolo (né del doveroso raffronto tra la storia dei ...disaccordi di Camp David e dei successivi Taba Talks con l'ingenerosa uscita su Arafat) eppertanto a quello vi rimando: qui. Allam akhbar, ma chi è il suo profeta?