mercoledì, novembre 25, 2020

La fine del tempo (parte prima)

Dal passato verso il futuro, dalla nascita alla dissoluzione della morte. Motivo di angoscia per l’animale uomo e subito di superstizione, religione, rito e rimembranza per esorcizzare la precarietà del fatto biologico.

Pur ragionevolmente certi che nulla nell’universo evapori in nulla, resta il terrore della perdita di soggettività e coscienza che ci ha imposto per millenni l’illusione che il nostro essere fosse molto più di un miscuglio di particelle fortunosamente compattate in forma e sostanza poco diverse da quelle di un sasso.

Abbiamo quindi immaginato di essere destinati all’immortalità senza considerare il fatto che con il sasso abbiamo molte più cose in comune di quelle che ci siamo fatti regalare dalle molteplici divinità psicopatiche costruite con i nostri tratti e più spesso con le nostre passioni, emozioni e paure, aggiungendo - per noi - quella di finire arrostiti se non seguiamo i loro suggerimenti.

E tra esse la paura assoluta del dopo quale elemento intrinseco nella percezione unidirezionale del tempo.

Il tempo quindi abbiamo costruito e del tempo e della sua direzione abbiamo teorizzato innumerevoli tracce. Tante da farci ritenere indispensabile la sua considerazione a fianco di ogni cosa. E da ultimo, seppur tra alterne vicende, la sua collocazione quale componente bizzarra e inscindibile del mollusco gravitazionale teorizzato da Albert Einstein.

Tra queste tracce subito emerge quella istintiva, culturale e psicologica, costituita dalla sensazione soggettiva dello scorrere del tempo, dalla percezione di un prima e di un dopo, accompagnata dalla constatazione di impermanenza dell’essere umano. Per cui c’è un inizio e c’è una fine. E poi il principio di causalità – ovvero il rapporto causa-effetto – con la consequenzialità temporale degli eventi esemplificata in una delle prime possibili elaborazioni mentali del cucciolo di animale: se piango mi accudiscono. E ancora, la traccia istituzionale e scientifica della seconda legge della termodinamica, la necessaria evoluzione da caldo a freddo, da bassa ad alta entropia.

Ma impegnandoci possiamo aggiungerne a piacere secondo il consueto esercizio di estrapolare tutto ciò che confermi le nostre convinzioni. Così il percorso radiale dell’onda elettromagnetica, la funzione d’onda quantistica, che collassa ma non si è seriamente ipotizzato il contrario, la traccia cosmologica di espansione dell’universo verso una situazione sempre più disordinata e la formazione dei buchi neri se si dà credito all’idea di infinito e all'emergere di una singolarità.

Chissà se nel piccolo di uomo e di animale nasce prima la sensazione del tempo che passa o sia prima apprezzato il principio di causa ed effetto, che gli insegna immediatamente che al pianto e al lamento corrisponde l’essere consolato e nutrito o comunque una reazione.

Certo è che piuttosto velocemente si attestano altri condizionamenti che valgono a scolpire la percezione soggettiva del tempo come ripetizione o come durata e soprattutto come limite per la consapevolezza di essere solo episodi destinati a morire.

Nonostante queste ed altre tracce, il tempo non è tuttavia un elemento fondamentale della natura. Non riusciamo infatti a definire il tempo in se stesso e lo costruiamo come variabile del tutto arbitraria, appurato che la vita biologica è a termine, mettendone in relazione il percorso con il verificarsi di eventi della natura quali il sole che sorge e tramonta, le fasi della luna, il movimento di un pendolo, il battito cardiaco o in generale un’oscillazione ed ogni sorta di vibrazione.

Cioè, non sappiamo cosa sia il tempo, ma per questioni pratiche abbiamo dovuto misurarlo facendo riferimento a quel che vedevamo del mondo intorno a noi: sarò di ritorno tra due albe e due tramonti, con la nuova luna, quando la clessidra sarà stata girata venti volte.

Superata nel secolo scorso l’idea di un tempo assoluto quale elemento fondamentale valido per l’intero universo, percepiamo oggi che il tempo non è un evento, ma un’utilità nel nostro mondo macroscopico ed impariamo da ultimo che la sua essenza non può comunque essere separata da quella dello spazio, qualsiasi cosa siano l’uno e l’altro.

Ma dobbiamo ammettere che la traccia termodinamica, in quanto opposta alla sopravvivenza stessa dell’uomo, è proprio il motivo principale su cui poggiamo la nostra percezione del tempo che passa e la consapevolezza dei limiti al nostro essere. Traccia assai tenace posto che la nostra posizione biologica va in qualche modo controcorrente rispetto al percorso dell’universo verso l’equilibrio, che prevede espansione e raffreddamento. Siamo infatti un sistema – quello biologico – che combatte per mantenersi in uno stato di bassa entropia, lontano dall’equilibrio termico, nutrendosi in modo piuttosto complicato dell’energia che in sostanza ci proviene dal sole.

Perché questo bisognerebbe accettarlo. Cioè che i caratteri della nostra coscienza di esistere siano solo un pregevole squilibrio che ci ha allontanato ma non affrancato da un percorso che sembra orientato in tutt’altro modo. Quello per cui tutto, pianeti e galassie, tutti noi e possibili miliardi di altre e diverse entità vitali disperse quali microscopiche ed impercettibili increspature dell’universo, si possa andare verso la deprimente eternità della morte termica.