Nel novembre scorso osservavo che "nell'ottica, benvenuta, di superare parzialità e discriminazioni e in quella, contingente, di smussare gli spigoli drammatici di una situazione già poco equilibrata - piuttosto che accentuarli - qualcuno osserverà che non se ne sentiva il bisogno. Eppure oggi anche l'Unione Europea ospita una neonata, sua propria e peculiare lobby filo-israeliana. La sua nascita è stata celebrata lo scorso settembre a Bruxelles. Si chiama AEI (Amici Europei di Israele), internazionalmente EFI (European Friends of Israel). A differenza delle rinomate e potentissime associazioni dell'universo americano - quali l'AIPAC - l'associazione stabilita di bel nuovo nel vecchio continente vanterebbe, si dice, la qualificata partecipazione di oltre centocinquanta parlamentari europei. E quel che più stupisce è il fatto che questa composizione di vago sapore istituzionale e trasversale tra i banchi di Bruxelles farebbe quantomeno arricciare il naso, se non gridare allo scandalo, addirittura i colleghi lobbysti d'oltreoceano" [pipistro on line, Lobbytuaries (1)]. Sì, forse non se ne sentiva il bisogno, ma non trattiamo qui in particolare di estensioni oltralpe, non è necessario, visto che la Lobby per antonomasia estende da tempo tranquillamente i suoi trasversali tentacoli ovunque l'assolutismo culturale e il dogma allignino, magari per pigrizia. Per esempio nel nostro Paese. In proposito leggiamo stasera che, con buona pace dei "principi di libertà di opinione, libertà accademica, libertà di ricerca storica garantiti dalla Costituzione italiana, dal Trattato costituzionale europeo e dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo" l'Università di Teramo sarebbe per negare, domani, i locali al previsto intervento del prof. Robert Faurisson - critico revisionista della Shoah - nell'ambito del seminario del prof. Claudio Moffa, che, nello stesso istituto, facoltà di Scienze Politiche, dirige il master "Enrico Mattei" in Medio Oriente (2). Moffa dichiara, in proposito, sul sito del master, che la conferenza si terrà ugualmente presso un albergo di Teramo. Che sia chiaro, il problema non è Faurisson, né qualsiasi opinione di cui questi si faccia latore, quasi fosse ispirata dal diavolo in persona. Il problema è politico, quello che - senza scomodare, per diversi motivi, Hilberg o Finkelstein - Amira Hass su Haaretz (3) (4) inquadra in modo imbarazzante: "Turning the Holocaust into a political asset serves Israel primarily in its fight against the Palestinians. When the Holocaust is on one side of the scale, along with the guilty (and rightly so) conscience of the West, the dispossession of the Palestinian people from their homeland in 1948 is minimized and blurred" ["Trasformare l'Olocausto in una risorsa politica serve ad Israele in primo luogo nella lotta contro i palestinesi. Quando su un piatto della bilancia c'è l'Olocausto, insieme alla coscienza (giustamente) colpevole dell'Occidente, l'espulsione dei palestinesi dalla loro terra, nel 1948, è minimizzata ed offuscata"]. E un altro problema è il metodo. Non stupirebbe se stasera qualcuno stesse già confezionando una messa in scena che vada a svolgersi all'insegna di vessilli israeliani o americani dati alle fiamme in un cantuccio ad opera di anonimi e cupi facinorosi che si eclissino poi senza lasciar traccia e con il pronto intervento di un manipolo di velocissimi imbrattacarte pronti ad immortalare la scenetta per i paginoni di domani. I giochi e i giocatori sono spesso gli stessi ed anche la strategia di gioco non muta. Una spallatina emotiva e internazionale alla situazione nei territori è sempre una piccola, buona mossa. Mossad a sorpresa e fastidioso scacco al re. Ma si è visto e letto di ben peggio in passato: dal rapimento di tecnici nucleari all'orrore dell'esecuzione sommaria di poeti negli androni della capitale.
(1) http://pipistro.blogspot.com/2006/11/lobbytuaries.html
(2) http://www.mastermatteimedioriente.it/
(3) http://www.haaretz.com/hasen/spages/849669.html
(4) http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?ItemID=12702
giovedì, maggio 17, 2007
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7 commenti:
Questo discorso che nemmeno ho ben capito, mi ha suggerito un ricordo (che magari non c'entra niente..).
Qualche anno fa, mentre viaggiavo in interrail per la Germania mi capitò di visitare il museo di Mendelsshon a Lipzing, così come quello dei Shumann, e di non poter visitare, purtroppo, quello di Brahams a Hamburg.
La differenza tra i tre musei è grandissima. Il primo, dedicato al musicista di origine ebraica (e che fu discriminto per questo niente meno che da wagner) si trova in una bellissima villa, è sostenuto dalla Deutsche Bank, raccoglie fondi da tutto il mondo;
quello dei Schumann invece è accolto all'interno di una scuola di musica, vive di volontariato ed un po' più difficile da visitare perché tutto è scritto unicamente in tedesco (io fortunata incontrai un'insegnante che parlava benissimo inglese: rarissimo a Lipzing!!).
Il terzo non lo si può quasi mai visitare nemmeno durante le rare "aperture" (un paio di ore a settimana), perché mancano fondi e volontari.
Pur se da lontano mi sembra che anche il tuo discorso verta su una questione di strumentalizzazione e sono d'accordo.
La considerazione della Shoah - una immane tragedia - sotto il profilo storico, è indipendente dai numeri e necessita di strumenti di conoscenza e di studio ben superiori a quelli correnti nel pubblico.
Le implicazioni della Shoah sul piano emotivo sono, viceversa, ben comprensibili ed alla portata di tutti.
La strumentalizzazione, evidenziata da Hass ed altri, è tutta un'altra cosa. Questa, come del resto Finkelstein (nonostante i pareri contrari), non si sogna di negare o sottoporre a revisione fatti che stanno al di fuori della attuale questione mediorientale in senso stretto.
Con questo non si può certo escludere che da parte revisionista esista analoga e speculare strumentalizzazione a fini ben diversi da quelli di accertamento della verità storica.
C'è un autore ebreo, Marc H.Ellis che ha scritto una cosa interessante sulla teologia ebraica, nel suo "The Occupation is over": "(...) La teologia ebraica contemporanea ci aiuta ad affrontare la nostra sofferenza; ma non riconosce a sufficienza il fatto che oggi siamo da annoverare fra i potenti. Mantiene anzi in primo piano l'olocausto e la necessità di un nostro ulteriore rafforzamento. Piange quindi con eloquenza le vittime di Treblinka e Auschwitz, ma ignora quelle di Sabra e Shatila. Rende omaggio alla rivolta del ghetto di Varsavia ma in essa non c'è posto per la rivolta dei ghetti del lato oscuro del potere israeliano. I nostri teologi affermano che le torture e le uccisioni dei bambini ebrei devono essere piante e commemorate nel rituale e nel credo ebraici. Ma devono ancora accorgersi della possibilità che degli ebrei abbiano torturato e assassinato molti bimbi palestinesi. La teologia dell'olocausto considera la storia del popolo ebraico come una storia piena di bellezza e di sofferenza. E' lacunosa nel non riconoscere la storia contemporanea della Palestina tutta come parte integrante della nostra. Concludendo, questa teologia chiarisce chi eravamo ma non ci aiuta più a capire chi siamo diventati."
Forse la strumentalizzazione nasce da questo?
Anche, ma chi vive oggi la situazione israelo-palestinese, chi la vive "sul campo" intendo, non ha modo di affidarsi ai massimi sistemi.
Chi vede il suo amico morire, o un razzo entrargli in cucina, non ha modo di vedere il problema in modo oggettivo.
Ergo si affida a politici e militari che politica fanno (ed altro non saprebbero fare) mentre necessiterebbe di uomini di stato.
La strumentalizzazione (della Shoah come della Nakba) mi sembra un dato deteriore di questa azione politica di basso livello.
Sotto questo profilo ritengo che, senza dimenticare la storia (come suggeriscono, su livelli diversi, a mio avviso surrettiziamente Dershowitz e su altri presupposti Peres), si debba guardare avanti, oltre le recriminazioni ed oltre la possibilità di comprensione della popolazione esasperata, disperata o impoverita di ambo le parti.
Questo non vuol dire che la base non debba essere - perchè quella abbiamo - il diritto internazionale e non le pretese necessità (suscettibili di ogni possibile e faziosa interpretazione) delle parti.
Si, un passo avanti che abbia come unico obiettivo la Pace. Mi sembra giusto. Ma come si fa?
Passando dalla giustizia.
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