«Non c'è mai stato un summit più oscuro sul Medio Oriente. Il più oscuro possibile. I quattro leader a Sharm al-Sheik non si sono seduti insieme in una intima tavola rotonda. Ognuno sedeva da solo dietro un suo personale grosso tavolo. Questo assicurava una stridente separazione tra tutti loro. I quattro lunghi tavoli a stento si toccavano. Ognuno dei quattro leader, con i relativi assistenti dietro, sedevano come su isole solitarie nel mare infinito. Tutti e quattro - Hosni Mubarak, il re Abdallah di Giordania, Ehud Olmert e Mahmoud Abbas - in atteggiamento severo. Non si vedeva alcun sorriso. Uno dopo l'altro i quattro hanno scodellato i loro monologhi. Un esercizio di superficiale ipocrisia nel vuoto della falsità. Nessuno si è sollevato dalla putrida pozzanghera delle frasi moralistiche. Un breve monologo di Mubarak. Un breve monologo di Abdallah. Un monologo di misura media di Abbas. Un lunghissimo monologo di Olmert - un tipico discorso israeliano, fatto per istruire il mondo intero, una specie di sermone gocciolante di moralismo. Tenuto, naturalmente, in ebraico, con l'ovvio scopo di rivolgersi al suo pubblico di casa. Il discorso includeva tutte le frasi richieste. Le nostre anime aspirano alla pace. La visione di due stati. Non vogliamo dettar legge a un altro popolo. Per il bene delle generazioni future, bla bla bla. Tutto in stile coloniale standard, Olmert ha addirittura parlato di "Judea e Samaria" usando i termini ufficiali dell'occupazione. Ma, per "rinforzare" Abbas, Olmert si è rivolto a lui chiamandolo "Presidente" e non "Dirigente", il termine rigorosamente usato da tutti i rappresentanti isrealiani dalla nascita dell'Autorità Nazionale Palestinese. (I saggi di Oslo superarono il problema riferendosi - in tutte e tre le lingue - al capo dell'ANP con il titolo arabo di Ra'is, che vuol dire tanto presidente quanto dirigente. E la parola che non è mai comparsa in questo lungo monologo? "Occupazione". Occupazione? Quale occupazione? Dove c'è un'occupazione? Qualcuno ha visto un'occupazione?». No, in questo squallido quadretto - descritto da Ury Avnery - nessuno si sarebbe alzato per dire: ehi! sono quarant'anni che i palestinesi sono sotto occupazione, alla faccia dell'autodeterminazione, dei due stati, delle Convenzioni di Ginevra e di dozzine di risoluzioni ONU! E nemmeno - come sempre Avnery ipotizza - per sputare in faccia ad Olmert. Cosa che avrebbe ben potuto fare il redivivo Mahmoud Abbas, mentre veniva "rinforzato" dalle generose concessioni - questo mi ricorda qualcosa - enumerate senza pudore dal premier israeliano. E via di seguito. «Nemmeno nei sogni più sfrenati i partecipanti arabi avrebbero potuto fantasticare su qualcosa di meglio che vedere "alleviate le restrizioni", rendendo la vita della popolazione sofferente un pochino meno difficile. Restituendo ai palestinesi le somme derivanti dalle tasse sui loro redditi (ciò è a dire che Israele potrebbe restituire un po' dei soldi intascati). Trasferendo qualche blocco stradale che impedisce alla gente di passare da un villaggio [palestinese] a quello vicino (cosa promessa già molte volte e che non capiterà nemmeno stavolta perchè l'esercito e lo Shin Bet si oppongono. Olmert ha già annunciato che sarà impossibile per "ragioni di sicurezza")». Ma c'è qualcosa in più. Nella pratica delle generose aperture prospettate al summit: il possibile rilascio di 250 (duecentocinquanta) prigionieri politici palestinesi ingabbiati per "motivi di sicurezza", sui 10.000 (diecimila) che affollano oltre misura ed oltre capacità le galere israeliane. In pratica un indultino da sovraffollamento. E un motivo più subdolo. Verrebbero infatti liberati i soli prigionieri di Fatah - e non di Hamas - contribuendo così a gettare un altro po' di veleno e una briciola di cibo tra i topi da laboratorio palestinesi (*) che dalla gabbia avevano osato fraternizzare nella costruzione del "documento dei prigionieri", il progetto di governo di unità nazionale poi abortito. Continua così, con parole amare, il resoconto fornito da Avnery su Gush Shalom. Il pacifista israeliano forse comincia ad intravedere l'agonia della soluzione a due stati che ha sempre patrocinato e che studiosi del calibro del compianto Edward Said e di Ilan Pappé sono stati costretti ad archiviare. E noi? Noi siamo gli astanti, gli spettatori disinteressati europei. Lo abbiamo già fatto. E ancora siamo disposti ad assaporare la lettura dei novelli unti cantori nostrani della guerra di civiltà e anneghiamo nelle menzogne del mainstream, salate dallo strumentale suggerimento di un rigurgito di "nuovo antisemitismo" dagli amministratori della Lobby filo-israeliana e dai loro interessati valletti.
(*) «What happens when one and a half million human beings are imprisoned in a tiny, arid territory, cut off from their compatriots and from any contact with the outside world, starved by an economic blockade and unable to feed their families? Some months ago, I described this situation as a sociological experiment set up by Israel, the United States and the European Union. The population of the Gaza Strip as guinea pigs. This week, the experiment showed results. They proved that human beings react exactly like other animals: when too many of them are crowded into a small area in miserable conditions, they become aggressive, and even murderous. The organizers of the experiment in Jerusalem, Washington, Berlin, Oslo, Ottawa and other capitals could rub their hands in satisfaction. The subjects of the experiment reacted as foreseen. Many of them even died in the interests of science ...». (Gush Shalom - Crocodile Tears)
giovedì, luglio 05, 2007
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