Non siamo rimasti stupefatti della risposta negativa indotta nella DePaul University alla promozione del più anziano assistente universitario d'America, ma ciò nondimeno è risultata deprimente la sbilanciata decisione del Consiglio deputato all'assegnazione di promozioni e cattedre ed ancor più l'ipocrita comunicazione rilasciata in proposito dal Presidente dell'istituto, Reverendo Dennis H. Holtschneider. Ci siamo chiesti, al riguardo, cosa intenda il religioso, parlando dell'assenza di quelle "rare evenienze" e "ragioni cogenti" che gli avrebbero consentito di ribaltare il verdetto del Board for Promotion and Tenure, diverse dall'evidenza del fatto che Finkelstein ha pubblicamente subito un violentissimo attacco politico anche per aver smascherato la menzognera spudoratezza degli scritti dell'avvocato Alan Dershowitz. Sotto altro profilo bisogna sottolineare che contrattaccando Dershowitz, Norman Finkelstein non si è trovato in una disputa storica sui fatti e sulla loro interpretazione, ma ha dovuto fronteggiare, da un lato, i più bassi standard adottati da un difensore legale professionale, dall'altro, l'assenza di una giuria imparziale, vista l'enorme pressione politica gettata sull'argomento.
Cambiano i suonatori, ma la musica filo-israeliana negli USA resta sempre la stessa. La troviamo e ne estraiamo un campione qui di seguito, a scopo puramente accademico, in una breve intervista a Joel Beinin, professore di storia del Medio Oriente alla Princeton University, attualmente (e fino al 2008) distaccato in qualità di Direttore degli Studi sul Medio Oriente e professore di storia all'Università Americana del Cairo. Beinin, che nel febbraio scorso doveva tenere una conferenza alla Harker School di San Jose, ha appreso, un giorno prima della data stabilita per il suo intervento, che il Jewish Community Relations Council di Silicon Valley era intervenuto nei confronti della direzione dell'istituto e che in virtù di tale intervento la sua conferenza era stata cancellata. Quello che segue è uno stralcio dell'intervista a Beinin, raccolta pochi giorni dopo, il 2 febbraio di quest'anno, dal San Francisco Chronicle. Lo sfogo amareggiato di Beinin è rivolto, nel caso, più all'arrogante sistema lobbistico pro-israeliano negli USA, che all'atteggiamento in Israele, dove la popolazione ebraica è più che altro gratificata di una ignorante ed ottusa leggerezza di intenti.
«...Sono stato tirato su credendo che essere ebreo volesse dire essere attivamente impegnato per la giustizia sociale. Mi sono spostato in Israele pensando di poter seguire questo ideale, eppure molto di quello che ho visto ha messo in forse questa idea [...] Avevo partecipato ai movimenti per i diritti civili in America, picchettando i negozi di Woolworth che non volevano servire gli afroamericani. E in Israele trovai la stessa brusca forma di razzismo. Come poteva questo portare la pace tra i palestinesi e gli israeliani? Pur rimanendo a vivere in Israele cominciai a perorare l'uguaglianza di diritti per i palestinesi come avevo fatto per i neri americani. Le organizzazioni che proclamano di rappresentare gli ebrei americani sono impegnate in una sistematica campagna di diffamazione, censura e incitamento all'odio per tacitare le critiche alla politica israeliana. Affossano il nocciolo etico della tradizione ebraica, agendo come se il più alto significato dell'ebraismo fosse difendere Israele, giusto o sbagliato che sia. Nessuno è risparmiato. Anche il professor Tony Judt dell'Università di New York è arrivato in Israele con un'idea di giustizia. Judt ha imparato, come me, che la maggior parte degli israeliani è "rimarchevolmente inconsapevole del fatto che un popolo è stato buttato fuori dalla sua terra e soffre in campi profughi per rendere possibili le loro fantasie". In ottobre [2006] il Consolato di Polonia a New York ha cancellato una conferenza di Judt per la pressione esercitata dalla Anti-Defamation League e dall'American Jewish Committee. Addirittura gli ex presidenti americani non sono immuni. Jimmy Carter è stato bersaglio di una campagna calunniosa dalla pubblicazione del suo ultimo libro: "Palestina, Pace non Apartheid". Le più veementi critiche su Carter non sono state rivolte sui contenuti [del libro]. Piuttosto lo hanno screditato con attacchi personali, insinuando anche che l'uomo che aveva fatto più di ogni altro presidente americano per la pace tra arabi e israeliani fosse un antisemita. Perchè screditare, diffamare ed imbavagliare quelli che hanno punti di vista diversi? Credo sia perchè la lobby sionista sa che non può vincere basandosi sui fatti. Un'onesta discussione può portare ad una sola conclusione: lo status quo - in cui Israele afferma che solo esso ha diritti ed intende imporre la sua volontà sul più debole popolo palestinese, privandolo in modo permanente della sua terra, delle sue risorse e dei suoi diritti - non può portare ad una pace durevole. Abbiamo bisogno di un dibattito aperto e della libertà di discutere fatti imbarazzanti ed esplorare l'intera gamma delle opzioni politiche. Solo allora potremo adottare una politica estera utile agli interessi americani e possa veramente portare ad una giusta pace per i palestinesi e gli israeliani». [San Francisco Chronicle]
lunedì, giugno 11, 2007
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