L'atteggiamento europeo nei confronti della questione israelo-palestinese soffre di un basilare malinteso. Nei fatti il senso di colpa degli europei occidentali per gli orrori della Shoah ha finito per porre l'accento su improbabili meriti ebraici - in un certo senso per quello che hanno subito gli ebrei d'Europa, deportazione e sterminio - piuttosto che per i crimini commessi dai nazisti e, più specificamente, per i demeriti, cioè per la condotta colpevole degli stessi europei, in ispecie nella prima metà del secolo trascorso.
Si tratta di una specie di auto assoluzione per essere stati principalmente spettatori disinvolti - se e quando non correi - di fronte al sistematico annichilimento degli ebrei d'Europa da parte dei nazisti. Solo così è stato di seguito possibile dimenticare le proprie colpe e in qualche modo cancellare la passata ingiustizia per aver favorito la deportazione di milioni di persone verso un destino di morte, e si concretizza gratificando con una sorta di salvacondotto ogni successivo crimine, non tanto ebraico, quanto israeliano. Due posizioni del tutto diverse, che possono coincidere solo nell'immaginario meno evoluto e nella guerra dei media.
Così gli europei sentono ancora oggi di purgare la loro colpevole connivenza coi carnefici e si giustificano nei confronti dell'ebraismo, trasferendo la colpa dei risultati dell'avidità israliana in terra di Palestina sulle loro stesse vittime.
In più, Israele nasceva nel 1948 e il mondo soffriva naturalmente della pressoché totale mancanza di informazione diretta dei fatti del mondo. Il conflitto nella terra di Canaan venne propagandato nascondendo la sostanziale sopraffazione sugli scarsi mezzi e sulla inesistente organizzazione delle milizie arabe e palestinesi da parte dell'esercito israeliano. L'ignoranza europea venne pilotata dando spazio alla rappresentazione di una lotta fantasiosa, che vedeva contrapposti un fasullo Davide ebraico contro un altrettanto inesistente Golia arabo. Una favola che si mantiene salda fino ad oggi, in Occidente, nella popolare ignoranza della questione palestinese.
Inoltre, senza menzionare qui l'ipocrisia britannica dei primi anni del 900, l'ambiguità dei paesi arabi e l'attuale influenza politica degli Stati Uniti sul fragile vecchio continente, va tenuto in debito conto un altro fattore generale. La propaganda è stata ed è in grado di enfatizzare la patologica mancanza di interesse dei cittadini europei per qualsiasi cosa sia oggi lontana dalla loro territoriale vita quotidiana. Il potere dei media e di chi li influenza detta l'atteggiamento europeo. Per provarlo basta uno sguardo alle sproporzionate illazioni diffuse in Europa dopo l'11 settembre 2001. Posto che, per quanto sbandierata, l'esplosione di un terrorismo islamico ha colpito il vecchio continente quasi esclusivamente in forma di generale paranoia e ha sostanzialmente risvegliato, anche violentemente, un disagio già sedimentato in conseguenza di annosi problemi interni.
Oggi la disonesta mediazione americana e l'avidità israeliana si nutrono di questo untuoso miscuglio europeo di ignoranza, senso di colpa e disinvolta soggezione al potere dei media di largo consumo popolare. E tutti questi fattori - peraltro surrettiziamente orchestrati - perpetuano la miserabile situazione palestinese.
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