giovedì, settembre 26, 2013

Versi di dei diversi

Un’ambigua ondata del più tardo perbenismo mischiato all’odore stantio del politicamente corretto tenta di imporsi. Così che, dopo millenni di rozzo rifiuto spesso istituzionalizzato nei confronti di chi era “diverso” (perché a vario titolo considerato tale) e risultando tuttora lento il percorso di adeguamento al fatto che poiché tutti sono diversi in definitiva nessuno lo è, siamo inondati dall'imposizione di regole per sopperire alla difficoltà dell’intelletto nell’adattarsi alle cose come sono o come sembra che natura le abbia fatte.
Ma quando quasi tutto è regola, ciò che per esser considerato temporaneamente irrisorio ne rimane fuori, viene discriminato, talvolta tacciato di crimine immondo e finisce per assumere d'imperio i caratteri di una nuova ed artificiosa diversità.
Discriminazioni alimentate da quisquilie estemporanee, crassa ignoranza ed apodittico malanimo, si alternano ad altre e più radicate, nonostante si viva in un contesto nel quale selvaggio non è ormai più chi non capisce, ma chi non vuol capire.
In un mondo che vogliamo codificare a misura delle nostre mobilissime pulsioni, ma con l'ansia di combattere anziché assimilare la diversità, non è più questa che necessita di regole, ma è la regola che finisce per creare nuova diversità. E allora, invece di stimolare il pensiero verso la doverosa accettazione del mondo quale naturale coacervo delle diversità, si preferisce scarabocchiare una regola contingente – sia essa norma di diritto o apologia di una prassi – e stemperarne la superficialità per abbellire gli effetti fatali della nostra colpevole insipienza.
Su questa deriva, dopo secoli e secoli di gratuito vilipendio del più debole, diventa invece problematico criticare Tizia perché è donna, Caio perché è nero, Sempronio perché è basso e così via lungo la strada segnata, a ritmo di umana schizofrenia, da ogni elucubrabile tabù.
Quasi scandaloso diventa anche solo mostrare di aver preso atto di qualità o caratteristiche a volte inconsuete e considerate nel corso del tempo, di volta in volta, germe e motivo del discrimine, ma dimenticando che si può ovviamente criticare una persona anche se essa appartiene – secondo i tempi che corrono – ad una minoranza o risulta comunque parte debole e reietta perché donna, nero, extracomunitario, giallo, occhialuto, gay, capellone o basso. E nel frattempo diventa consentito o addirittura doveroso lanciarsi con violenza nei confronti degli ultimi arrivati, i nuovi diversi.
Ma anche le peggiori invettive sono, il più delle volte, originate da cose assai semplici. Ed è ovviamente lecito avere opinioni sul cattivo operato di chiunque, o istintiva antipatia per chiunque o semplicemente constatare l'altrui pochezza senza alcun intento discriminatorio. E sì, perché tutti commettono errori ed orrori, indipendentemente dal fatto che siano iscritti ad una superata minoranza o alla minoranza del momento.
Ben venga, quindi, la libertà di mente necessaria per stigmatizzare, anche ferocemente (se si ritiene che lo meriti) chiunque. Che sia uomo o donna, basso o nero o a qualsiasi possibile minoranza appartenga. E in particolare che si critichi la vasta gamma di coloro che, per passata frustrazione, spirito di rivalsa e talvolta in perfetta malafede, sfruttano la propria conveniente e forse un tempo innominabile minorità. Purché si critichi sempre e comunque l’uomo e non – generalizzando – la sua condizione.
Che si critichino, quindi, costoro con tutti gli altri per quel che fanno e non per come sono. Questione, quest’ultima, incidentale, il più delle volte irrilevante ed inutile. Quanto inutili, in un contesto più consapevole – come quello vantato nel terzo millennio – sono certe trovate legislative e giornalistiche malamente preordinate ad enfatizzare problemi per confezionare, poi, soluzioni tanto barocche da ascendere a vertici inauditi di ipocrisia. 

sabato, agosto 24, 2013

Aspettando l'avvoltoio

Quello che sta succedendo è uno schifo sussumibile in poche parole: gli avvoltoi internazionali non hanno ancora capito chi e come possa affondare meglio i denti nella poca carne siriana.
Ma i condizionali dei proclami dell'ultima ora (la Siria sarebbe al 4° posto al mondo per possesso di armi chimiche), mi ricordano altri non lontani proclami sull'Iraq e sul suo "4° esercito al mondo". E questo mi fa pensare, ancora una volta, che i filibustieri che si stanno lentamente scervellando per trovare il modo di lucrare ed avvantaggiarsi (anche) di questa tragedia umana, non saranno "migliori" di quelli che la stanno causando.
E non mi rincuora certo il fatto che il regime assassino che sta violando milioni di vite e l'ingiusto dolore di un intero popolo che si dibatte nell'ambiguità di lotte fratricide non contribuiscano in realtà a peggiorare la componente umana, cancerogena, di questo pianeta.
Ma tutto quello che possiamo fare e pensare in questo momento, in attesa del peggio, è dimenticare i principi e le teorie. Se uno sta morendo dissanguato o di fame o di sete, non gli faccio una lezione di diplomazia internazionale, né gli insegno a lavorare per procacciarsi il necessario, gli allungo un pezzo di pane e magari aspetto con lui che scenda la notte, perché non affronti da solo la paura.

mercoledì, agosto 21, 2013

Strategia dell'attenzione

Quando il complotto, l'inganno e il sotterfugio sono sistematici, la dietrologia è l'unico mezzo che consente di guardare alle cose dalla parte giusta.

"Journalists, who investigated human rights violations in Fallujah, faced all kinds of obstacles.  Two reporters of Al-Arabiya were arrested by the Iraqi police, who confiscated their video tapes.  Enzo Baldoni was reporting on Fallujah, when he was kidnapped in August, 2004.  A short time later, he was killed by his abductors.  The Islamic Army in Iraq claimed the murder, asserting that Baldoni was a spy.[8]  Some critics, however, suspect that something about the abduction doesn’t add up.[9]  The enigma was never solved and the case has since been closed". 
In memory of Fallujah - Inge Van De Merlen, 24 June 2006
http://www.brusselstribunal.org/Reflections_On_Fallujah.htm#memory

[8] Iraqi fighters watching journalists.  Aljazeera, 26 March, 2006. (http://english.aljazeera.net/NR/exeres/AFC89603-2A72-44DF-BD14-80B807E9B3DA.htm) (off line)
[9] Enzo Baldoni, who’s killing him one more time?  Pipistro’s blog, 27 March, 2006. (http://pipistro.wordpress.com/2006/03/27/enzo-baldoni-why-are-they-killing-him-one-more-time)

Enzo Baldoni met the journalists of Fallujah

Chi erano e che fine hanno fatto i giornalisti di Fallujah?

lunedì, agosto 05, 2013

Vedremo...

Finalmente una dichiarazione di rivoluzionaria fermezza.



mercoledì, maggio 22, 2013

Uguali

Da destra e da manca si dice che delle miserie sessuali di un ex presidente del Consiglio interessi poco agli italiani o, più prosaicamente, che non freghi niente a nessuno. E ancora, che i magistrati italiani dovrebbero occuparsi di cose più importanti per il Paese. Il tutto con quella sufficiente superficialità che trasuda, di solito, dal miscuglio di comprensibile ignoranza e ingiustificata arroganza di chi non ha idea di leggi e di processi e per i propri limitati scopi non vuole nemmeno averne.
Sono i proclami diffusi da note bande mediatiche, testate quantomeno equivoche e pasionarie (ambosessi) della politica di contorno, che il più delle volte autorizzano il sospetto che chi parla o scrive sia più adatto al libro paga di un satrapo che ad esprimere in pubblico le proprie opinioni. Ma sono anche le grida della piazza meno qualificata e in più, nell'era di internet, le teorie twittaiole, da mezza frase e un quarto di pensiero, che atterrano a centinaia e migliaia sugli schermi dei computer.
Ma non dovrebbe essere difficile capire che il problema non è un politicante indecoroso, che la questione è generale, esorbita dalle piccolezze di questo o di quel personaggio passato, presente o (Dio non voglia) futuro, e coinvolge l'indispensabile senso di giustizia di una nazione.
Infatti certamente lecita è la pretesa di tutti i cittadini di non essere rappresentati davanti al mondo politico e alle nazioni da minuscoli personaggi che, magari attraverso le proprie dubbie fortune e tramite i buoni uffici dei relativi onnipresenti lacché, finiscano per trasferire impuniti nelle istituzioni la propria sfacciata propensione a delinquere, per imbrattarle di ridicolo, per ammantarle di un inammissibile fumus da lupanare. Ma non è tutto.
Guardando infatti all'abisso di mille e mille processi penali in base ai quali "in nome del Popolo Italiano" centinaia di migliaia di piccole persone vengono e verranno punite per un delitto che dopo un dibattimento da pochi minuti si riterrà sufficientemente provato e che spesso si intuisce esser frutto di miseria culturale, morale ed economica, la coscienza di questa nazione ha il dovere di interessarsi e chiedere che almeno davanti alla legge - che conosce le regole ma non deve premiare furbizia né fortuna - si sia per una volta uguali.
E proprio per tutti, per gli ultimi, comprese quelle piccole persone che non hanno nulla e per questo non contano nulla, per quelli che davanti al giudice non sono altro che una disturbante annotazione statistica, deve sussistere la pretesa che, seppur si possa essere condannati in base alla legge, non basti possedere danaro, uomini e mezzi, per valere e contare di più davanti alla stessa legge.

domenica, maggio 05, 2013

The banality of male *


Il timore di dio può essere definito come l'atteggiamento del fedele che si sente sottoposto al costante giudizio della divinità. E’ un modo di essere introdotto, se pure in diversa misura, in ogni elaborazione religiosa, laddove l’uomo si è sempre immaginato vessato, sottoposto o al più – in una concezione paternalistica vagamente più evoluta – protetto da dio.
Questo sentimento, questo timore, si riflette nella paura di contravvenire alla regola che si vuole imposta dalla divinità ed essere per questo puniti e deve, nel disegno di chi ha confezionato il sistema, indirizzare le azioni della comunità per conseguire i vantaggi preordinati alla creazione del sistema stesso, quali sono stati – storicamente, a titolo esemplificativo – la conservazione del patrimonio e l’aspirazione ad una relativa quanto spesso sterile tranquillità sociale. 
In molti casi, ma per lo stesso motivo, la paura è pura manifestazione dell’apparato maschile che ha creato il sistema e sotto questo aspetto è stata per millenni associata alla sottoposizione della donna all’uomo, inteso come maschio, che ne ha poi fatto applicazione nel sistema politico laddove l’autorità del potere si è infine sostituita o aggiunta alla presunta autorità di dio, sovente peraltro corrotta dalla innaturale ed interessata concezione del piacere fisico come situazione premiale per l’uomo, indebita per la donna e peccaminosa per entrambi. 
Ma se non c’è la paura, il sistema – qualsiasi sistema, sia esso religioso o sociale – con il venir meno della regola cui la paura è preordinata, crolla. 
Così, un sistema ispirato al primitivo principio per cui la forza fisica nel breve periodo prevale e in cui un autore maschio ha disegnato dio a propria immagine anche per trarne un’effimera convenienza, si ribella al dissolversi della paura da cui deriva la sua stessa esistenza. E lo fa nel modo più rozzo e banale, con la violenza. 
Sotto un diverso profilo occorre poi aggiungere che al mantenimento del sistema che ha visto nel maschio l’incontrastato dominus di ogni situazione, si è aggiunta fino a tempi recenti (ed anche oggi) la volonterosa collaborazione, in un ruolo subordinato e spesso parassitario, di una donna che ha preferito adeguarsi acriticamente al sistema, facendolo proprio, per raccoglierne qualche residuale vantaggio, ma rendendosi per ciò stesso la peggiore – inconsapevole o subdola – nemica di se stessa.
Con questo non si vuole certo dire che un amante reietto o un padre ignobile elaborino pensieri più profondi di una pozzanghera per giungere a maltrattare e uccidere – ritenendosi abbandonati e disonorati – la compagna o la figlia viste come fedifraghe, ma solo che il loro patrimonio genetico e culturale, così come quello delle donne che non vi si oppongono e per questo lo sostengono, stenta a disfarsi della patologia di un giogo durato millenni, che, fuor della loro testa, è solo volgare ed incancrenito allineamento agli anacronistici vantaggi cui era ispirato.
[La banalità del maschio] *

domenica, febbraio 24, 2013

Un giorno di febbraio