giovedì, agosto 28, 2008

Free Gaza e Liberty, la missione continua

Free Gaza Movement - For immediate release. Gaza City, 28 agosto 2008. "Dopo aver sconvolto il blocco israeliano imposto a Gaza i primi giorni di questa settimana, il Free Gaza e il Liberty partiranno per Cipro alle 14 di oggi (ora locale). Parecchi palestinesi, cui era stato in passato negato da Israele il visto di uscita, si uniranno nel viaggio agli attivisti internazionali per i diritti umani. Tra i palestinesi in partenza c'è Saed Mosleh, dieci anni, di Beit Hanoon, Gaza. Saed ha perso un gamba a causa di un colpo sparato da un carro armato isrealiano e sta partendo con suo padre per ottenere cure mediche. A bordo c'è pure la famiglia Darwish, che potrà finalmente riunirsi con i propri familiari a Cipro (...)". Alcuni attivisti rimangono a Gaza. Tra questi anche Vittorio Arrigoni.
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"Message from the Free Gaza boats at 3.20 pm German time, received via Skype: "We just left Gaza and it looks like Israeli ships are waiting for us. Tell people to check back regularly this afternoon (Greek time) to see if the streaming is active: http://xserve1.systame.net/freegaza.sdp."
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martedì, agosto 26, 2008

Free Gaza, welcome dall'ONU

UN News Centre, 25 agosto 2008. Un esperto indipendente per i diritti umani dell'ONU ha accolto oggi con entusiasmo la notizia dello sbarco delle due imbarcazioni di legno che trasportavano 46 attivisti per i diritti umani come una simbolica vittoria chiave. Richard Falk, Referente Speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori Palestinesi ha dichiarato che gli attivisti - facenti parte del Free Gaza Movement - cercano di portare l'attenzione sulla situazione critica di un milione e mezzo di residenti, rimasti "sotto assedio" nell'ultimo anno. "Quell'assedio, il blocco della costa e il sorvolo da parte della flotta aerea israeliana sono tutte testimonianze del fatto che, nonostante il vantato "disimpegno" israeliano del 2005, queste realtà sul terreno dimostrano che Gaza rimane sotto occupazione israeliana e, di conseguenza, Israele rimane legalmente responsabile per la protezione dei diritti umani della sua popolazione civile" (...) Il funzionario incaricato dall'ONU non avrebbe potuto essere più chiaro e quanto dichiarato fa giustizia della vieta retorica gettata a piene mani in Israele e - more solito - su tutti i possibili canali di comunicazione: dal mainstream israeliano e mondiale, ai forum, ai blog, ai più oscuri aggregatori di notizie. La coordinata ed isterica reazione dei circoli israelo-conservatori di mezzo mondo si è infatti scatenata gettando palate di parole inconferenti, per lo più gratuite ed offensive, sulla missione e sui suoi protagonisti. E' buona notizia sapere che sia sotto il profilo pratico (le imbarcazioni sono approdate a Gaza nonostante le difficoltà opposte alla missione), sia sotto il profilo mediatico e delle pubbliche relazioni, lo sforzo di stampo lobbystico che tende ad aggiungere, al danno di una situazione insopportabile, la beffa delle ironiche dichiarazioni su chi ha avuto il coraggio di sfidare l'assedio di Gaza, è caduto nel vuoto. Anzi, ha scatenato - non altro che per rinnovata curiosità su fatti generalmente taciuti - la generale consapevolezza di quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza, del perchè e della vetusta, monocorde retorica della "lotta al terrorismo" adottata per coprire i misfatti di un'occupazione arrogante, oltre che illegale ed inumana. Significativo, in proposito, il dibattito diffuso da Al Jazeera (Inglese) all'interno del suo programma Inside Story, tra Huwaida Arraf dell'International Solidarity Movement, da Gaza e Ranaan Gissin, consulente dell'ex premier israeliano, da Tel Aviv (v. foto). ("Challenging Gaza siege" - su exexxx, video da YouTube - Al Jazeera English (Inside story) - 24 August 2008 - Part 1 & 2) Contemporaneamente apprendiamo (26 agosto 2008 "for immediate release") dal Free Gaza Movement, che "la SS Free Gaza e la SS Liberty lasceranno Gaza per Cipro giovedì (26 agosto) mattina alle 9:00. Parecchi studenti palestinesei cui è stato negato il visto di ingresso da Israele viaggeranno per Cipro sulle imbarcazioni. Un professore palestinese sarà finalmente in grado di tornare ad insegnare in Europa e una giovane donna palestinese potrà finalmente riunirsi al marito. Parecchi attivisti del movimento Free Gaza rimarranno a Gaza per proseguire il monitoraggio dei diritti umani".

lunedì, agosto 25, 2008

Enzo Baldoni, perchè non dimentichiamo

Il 4 dicembre 2004 viene lanciata, probabilmente dall'AGI, una notizia particolare su Enzo Baldoni, ucciso in Iraq poco più di tre mesi prima. Si tratta di delicate dichiarazioni del portavoce di Al Jazeera, la rete del Qatar che il 26 agosto 2004 aveva fornito alle locali autorità italiane la notizia e un fotogramma della morte di Enzo. Lo stesso giorno, il 4/12/2004, addirittura negli USA, Ogrish.com (sito piuttosto trucido in seguito raffinato e rinominato Live Leak) riferisce che "la televisione araba Al Jazeera ha materiale 'interessante' in relazione all'esecuzione di Enzo Baldoni e, qualora richiesta dai magistrati italiani, valuterà se consegnarlo senza rischiare le fonti giornalistiche". Ogrish comunica che l'annuncio è stato fatto da Jihad Ballout, portavoce del network televisivo arabo, durante una convenzione sul giornalismo e il Medio Oriente organizzato da Informazione Senza Frontiere a Firenze e precisa che Ballout ha detto che Al Jazeera non ha un video dell'effettiva esecuzione (il link non è più funzionante).
Information Safety and Freedom riporta la notizia lo stesso 4 dicembre, precisando che Jihad Ballout ha risposto a una domanda sul video dell'uccisione, dichiarando: “Non abbiamo la cassetta dell’uccisione di Enzo Baldoni, ma ‘al Jazeera’ possiede materiali televisivi sulla morte del giornalista italiano e se le autorità italiane ne faranno richiesta noi ci saremo", ma ha precisato che allo stato nessuna richiesta in tal senso era mai arrivata ad Al Jazeera da parte dell'autorità giudiziaria italiana. Di più, quando Aidan White (Segretario Generale della IFJ, Federazione Internazionale dei Giornalisti, a suo tempo fortemente critico della retorica italiana in occasione del sequestro di Baldoni) gli ha chiesto la disponibilità a mostrare quel video ad una delegazione internazionale composta da giornalisti anche italiani, Ballout ha risposto che al momento in cui la richiesta fosse arrivata ufficialmente sarebbe stata presa in considerazione con "mente aperta".
Sono passati quattro anni dalla notizia della morte di Enzo Baldoni e poco più tempo dall'offerta di informazioni di Al Jazeera. Non risulta che la magistratura italiana abbia avanzato una richiesta di documentazione usufruendo della disponibilità del network qatariota. E, se avanzata, nessuno conosce l'esito di questa richiesta. Tantomeno risulta che una delegazione internazionale (o nazionale o locale) di giornalisti abbia mai preso in considerazione l'idea che il materiale in possesso di Al Jazeera possa gettare un po' di luce sulla fine di Enzo Baldoni. Tutti sappiamo, invece, che le prove effettuate sul DNA dei pochi resti di Enzo provenienti dall'Iraq diedero, a suo tempo, esito positivo. Poi il vuoto dovuto anche al disimpegno italiano in Iraq ma forse favorito dai segreti che coprono una morte imbarazzante e i protagonisti di un'alleanza scomoda.

domenica, agosto 24, 2008

Free Gaza, lunedì a pesca

Lunedì mattina gli attivisti per i diritti umani andranno in mare a pesca. Gaza City, Gaza (24 agosto 2008) - "Due giorni dopo l'arrivo del Free Gaza e del Liberty, accolti da un festoso benvenuto a Gaza, tra 20 e 25 degli osservatori per i diritti umani andranno in mare con i pescatori per mostrare sostegno alla lotta per mantenere produttiva la loro attività. Secondo un recente articolo del Guardian, "nel 1990 l'attività di pesca a Gaza produceva un ricavo annuale di circa 5 milioni di sterline. Nel 2007 si era dimezzato e si sta ancora riducendo velocemente. Secondo gli accordi di Oslo, che nel 1993 si supponeva preannunciassero l'avvento di uno stato palestinese indipendente, i pescatori di Gaza avrebbero potuto percorrere 20 miglia marine verso il mare aperto [v. immagine a sinistra, mappa allegata all'accordo per Gaza e Gerico del 1994], dove avrebbero potuto prendere le sardine migranti dal delta del Nilo verso la Turchia in primavera. Ma negli anni recenti le navi della marina israeliana hanno imposto i loro limiti assai ridotti, qualche volta a meno di 6 miglia". Il gruppo partirà al mattino molto presto e andrà al largo del porto di Gaza almeno per 7 - 8 miglia, assicurandosi di esporre se stessi e le bandiere internazionali. Intendono stare in mare per parecchie ore fornendo protezione agli uomini che pescano. "Cosa dà a Israele il diritto di togliere il sostentamento a questi pescatori? E perchè il mondo permette loro di distruggere un'attività che serviva a mantenere migliaia di palestinesi?" si è chiesta Greta Berlin, uno dei cinque organizzatori del Free Gaza Movement. "Noi intendiamo sfidare quel diritto, sostenuto da navi da guerra e mitragliatrici, proprio come abbiamo sfidato il diritto di Israele di impedire il nostro approdo qui sabato". Gli organizzatori pensano che, dal momento che hanno navigato fino a Gaza senza interferenze delle forze militari israeliane, si sia stabilito un precedente per insistere per i diritti umani dei palestinesi, che non vogliono nulla più della loro libertà di procurarsi da vivere, andare a scuola e ricevere cure mediche". (Per maggiori informazioni, per favore contattate: (Gaza) Huwaida Arraf, tel. +972 599 130 426 - (Gaza) Jeff Halper, tel. +972 542 002 642 - (Cyprus) Osama Qashoo, tel. +357 99 793 595 / osamaqashoo@gmail.com - (Jerusalem) Angela Godfrey-Goldstein, tel. +972 547 366 393 / angela@icahd.org)

sabato, agosto 23, 2008

We've entered Gazan waters!

"Siamo entrati nelle acque di Gaza" - [Send to Friend] - Yvonne Ridley Date : 08-23-2008 - Un messaggio a tutti dalla SS Liberty: "Siamo entrati nelle acque di Gaza. Portiamo la bandiera palestinese e ora pensiamo che raggiungeremo le coste di Gaza molto presto. Ho perso per pochi giorni l'inizio della caduta del Muro di Berlino, ma ora so come si sentiva la gente quando ha abbattuto quei primi pochi mattoni. Oggi è una grande vittoria del popolo sul potere". --Yvonne Ridley, abord the SS Liberty, bound for Gaza, 23 Aug. 2008 ("We've entered Gazan waters!" - [Send to Friend] - Yvonne Ridley Date : 08-23-2008 - A Message to All from the SS Liberty: "We've entered Gazan waters. We're flying the Palestinian flag, and we now believe that we're going to reach the shores of Gaza very soon. I missed the start of the Berlin Wall coming down by just a few days, but now I know how people felt when they tore down those first few bricks. Today is a huge victory of people over power." --Yvonne Ridley, abord the SS Liberty, bound for Gaza, 23 Aug. 2008)

venerdì, agosto 22, 2008

Free Gaza, Liberty e la minaccia pirata

Larnaca (Cipro). Le autorità cipriote hanno permesso alle due imbarcazioni che trasportano i membri dell'organizzazione Free Gaza di partire alla volta della terra di Palestina. Le due barche, il Free Gaza e il Liberty, hanno passato i controlli di sicurezza a cura del Direttore della Cyprus Merchant Shipping, Sergios Serghiou e sono stati forniti della relativa documentazione (Associated Press su Haaretz). La partenza delle barche da Cipro prevista verso la mezzanotte del 21 agosto 2008, ora locale (quindi alle 23 in Italia) dovrebbe approdare a Gaza dopo un viaggio di circa 30 ore. La missione prevede la consegna di 200 apparecchi acustici ad un'assocazione di aiuti umanitari per i bambini palestinesi.

Il governo israeliano, pur riconoscendo esplicitamente il carattere umanitario della spedizione, l'ha ostacolata e contestata anche sulla base degli accordi di Oslo, minacciando di fare ricorso alla forza nei confronti dei vascelli ora in viaggio verso Gaza (Haaretz: "A position paper by the Foreign Ministry's legal department says Israel has the right to use force against the demonstrators as part of the Oslo Accords, which names Israel as responsible for Gaza's territorial waters"). Si tratta di un pretesto evidente. Non è stato rispettato uno solo dei termini, tutti ormai da tempo decorsi, per l'esecuzione di quegli accordi e l'intero impianto di Oslo è stato infine addirittura dichiarato inesistente dall'ex premier israeliano Sharon, che l'11 gennaio del 2001 affermava: "L'accordo di Oslo è un patto che non esiste più" (cfr. Time e New York Times: "The Oslo accord is an agreement that no longer exists").

In proposito sembra quindi addirittura ridicolo oltre che pretestuoso riferirsi ad Oslo e ai suoi corollari, tutti incompiuti e rinnegati. Così non ha senso riferirsi oggi alle inverosimili condizioni imposte alla nascente Autorità Palestinese e alla gente di Gaza, con la ratifica di Yasser Arafat, nello specifico Accordo per Gaza e Gerico del 4 maggio 1994, diretto derivato di Oslo che riguardava proprio la Striscia e il mare antistante, poichè non uno degli indispensabili presupposti di fatto e di diritto previsti nel patto (in particolare la nomina di un'autorità congiunta israelo-palestinese preposta al controllo di quel mare) ha mai visto la luce. Lo scritto già a suo tempo non valeva la carta su cui Rabin e Arafat vergarono le proprie firme, tanto in assoluto quanto in relazione alla susseguente condotta osservata in merito alla sua esecuzione. Sicché, in particolare, il suo annesso I, art. XI, par. 4, che regolava l'accesso dei natanti e il destino dei viaggi internazionali per la Striscia di Gaza in attesa della costruzione del suo porto, caduto di fatto nel vuoto, è oggi giuridicamente nullo e inefficace. O - se si preferisce - impossibile. Parimenti inefficace è pertanto la giugulatoria suddivisione e regolamentazione virtuale del mare antistante la Striscia di Gaza e la connessa creazione di una Maritime Activity Zone pressochè carceraria lungo la costa palestinese (un tratto di mare esteso 20 miglia verso il largo e teoricamente diviso in tre zone: "K" e "M" contigue alle acque territoriali di Israele ed Egitto, riservata alle attività della Marina israeliana, ed "L", compresa tra le due zone precedenti, aperta alle attività di pesca, economiche e ricreative, riservate ai battelli autorizzati dall’Autorità della Palestina). La stessa sorte spetta quindi alla (non) regolamentazione della responsabilità sul mare territoriale di Gaza evacuata e in ispecie alle odierne pretese israeliane.

Il vantato ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza del 2005 è cosa ufficiale, internazionalmente sbandierata. Minacciando la missione del Free Gaza e del Liberty e la sicurezza del loro equipaggio, la dirigenza dello stato ebraico si prepara, quindi, non tanto a sbugiardare definitivamente ed ufficialmente quell'affermazione, già vuota di ogni contenuto pratico, quanto a promuovere, tramite la propria marina, nei confronti di due vascelli la cui missione è stata riconosciuta come umanitaria, qualcosa di assai simile ad un atto di pirateria. O più precisamente di corsareria (il corsaro era al servizio di un governo dal quale otteneva lo status di combattente e la bandiera).

Non è inutile infatti ricordare che già la convenzione di Ginevra del 1958 (poi ripresa dall’ONU nel 1982, a Montego Bay, questa significativamente non firmata da Israele) definisce pirateria “ogni atto illecito di violenza e di sequestro o di rapina commesso in alto mare contro l’equipaggio o i passeggeri di una nave od un aeromobile”. Inoltre, anche qualora il blocco navale israeliano al largo della Striscia dovesse assumere - ma non si vede come - una parvenza di liceità internazionale, da esso dovrebbe essere in ogni caso escluso il blocco di beni di prima necessità, viveri e medicinali ed altri aiuti umanitari (art. 54, n. 1 del I Protocollo del 1977 addizionale alle Convenzioni di Ginevra di Diritto Umanitario del 1949).

Per quanto occorrer possa, in proposito, secondo Associated Press (notizia sempre ripresa da Haaretz), legali americani della National Lawyers' Guild provvederanno ad intraprendere le opportune azioni giudiziali nei confronti delle autorità israeliane se, come è stato minacciato dai vertici dello stato ebraico, si procedesse al sequestro degli attivisti in acque internazionali.
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Aggiornamenti

Haaretz - 16:16 23/08/2008 - Israele è sul punto di lasciare che le imbarcazioni che contestano l'assedio di Gaza approdino sulla Striscia - di Barak Ravid, corrispondente di Haaretz e Associated Press - Israele ha deciso sabato (23 agosto) di permettere ad un gruppo USA di attivisti che contestano il blocco israeliano alla Striscia di Gaza di portare due imbarcazioni che trasportano aiuti umanitari in territorio palestinese. Un alto ufficiale israeliano ha dichiarato sabato che il primo ministro Ehud Olmert, il ministro degli esteri Tzipi Livni e il ministro della difesa Ehud Barak si sono consultati a lungo sulla questione venerdì e hanno deciso di non ostacolare alle imbarcazioni, che trasportano 46 attivisti, l'approdo nella Striscia. L'ufficiale ha aggiunto che "gli organizzatori della missione cercavano di creare una provocazione ed è stato deciso di consentire loro l'approdo per prevenire la provocazione" (...)

Haaretz - 15:24 23/08/2008 - Free Gaza activists: Israel is sabotaging our mission, endangering lives of members - By The Associated Press - A group of pro-Palestinian activists ran into trouble Saturday as they tried to sail through Israel's blockade of the Gaza Strip, saying their boats' electronic communication systems were jammed and the vessels were struggling in rough Mediterranean waters. The Free Gaza activist group accused Israel of sabotaging the mission. The two boats carrying members of the U.S.-based activist group left Cyprus for Gaza on Friday to try and break Israel's blockade of the Palestinian territory, carrying a delivery of humanitarian supplies (...)

http://www.haaretz.com/hasen/spages/1014462.html
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martedì, agosto 19, 2008

Aree grigie

Gustoso quadretto offerto da Fox News agli esordi della crisi georgiano-osseta, a riprova del fatto che anche la macchina della propaganda per funzionare deve essere quanto meno oliata. Ospiti in diretta Amanda Kokoeva, dodici anni, sfuggita al bombardamento georgiano che l'ha colta mentre si trovava in un caffè a Tskhinvali, il 7 agosto e, con Amanda, la zia Laura Tedeeva Korewiski, anch'essa colta dai bombardamenti. Quali che siano gli errori passati, presenti e futuri, del gioco diplomatico e militare nel Caucaso - e per quanto possa contare, a futura memoria, chi e come abbia scatenato la crisi - vien fatto di notare che, in attesa delle spiegazioni consegnate alla storia, se e quando ci saranno e se saranno affidabili, le parti si sono immediatamente appoggiate ai media per diffondere riprovazione e biasimo, accuse di scorrettezza, di massacro e genocidio. Interessante l'enfasi con cui la bimba, forse già timorosa per l'impatto che avranno le sue parole e per la prevista reazione del network, si affretta a precisare cosa personalmente ha visto e cosa le è successo. L'intervista prende quindi una piega imprevedibile, il commentatore annaspa sovrapponendo con invidiabile tempismo un lancio pubblicitario alle amare espressioni di rimprovero della zia di Amanda per il governo georgiano. Ma zia Laura non è intimorita e rincara la dose con inequivocabile ironia ("Lo so, non volete sentire questo, ok"). L'osservazione finale del commentatore Fox è da antologia.

Amanda Kokoeva
(12 anni): "...prima che io dica qualsiasi altra cosa voglio solo dire che stavo scappando dai soldati georgiani che bombardavano [...la nostra città]. Non dai soldati russi. Voglio dire grazie ai soldati russi, ci stavano aiutando a fuggire".

Laura Tedeeva Korewiski (zia di Amanda): "...voglio che sappiate ...chi biasimare di... in questo conflitto, è il signor Saakashvili che ha iniziato questa guerra, e il signor Saakashvili che è aggressivo e che, che ...per due giorni la mia gente, la gente osseta è stato uccisa ed è stata sotto le bombe e duemila persone sono state uccise in un giorno ...e questo è perchè sono contro - [il commentatore introduce un break pubblicitario: "...Tornerò subito da voi"] - Lo so, non volete sentire questo, ok ...".

Break pubblicitario.

Laura Tedeeva Korewiski: "La mia casa è stata bruciata in Sud Ossezia, dove vivevo, e possiamo biasimare solo una persona e il governo georgiano, non biasimo il popolo georgiano, biasimo il governo georgiano e deve dimettersi....".

Commentatore FoxNews: "...ci sono aree grigie in guerra".

Video su YouTube.

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Post scriptum

Le teorie a monte della crisi attuale sono molteplici e tutte seguono una certa logica, percorsi relativi all’energia, alle vie del gas e del petrolio, alle strategie economiche e militari, a riflussi, potere e paura. I fatti meno. Ma c’è chi si fa in quattro per raccontarci uno spicchio della realtà, quella che si vede e si tocca. Per questo non possiamo che ringraziare Pino Scaccia e chi come lui rischia le penne - per i gabbiani è proprio il caso di dirlo - osservando e riferendo quanto vede. Per le discussioni e la polemica, per le teorie e le strategie, per gli sfoghi ideologici, ci sarà, ahinoi, ampio spazio. Dopo.

Preoccupante invece che le sorti di tutti noi siano affidate alla elementare e nauseante retorica di personaggi privi di spessore, incompetenti o apertamente imbecilli e diplomatici da opera buffa in una assurda gara di flessione di muscoli. Medaglia d’oro e menzione particolare per arrogante inconsistenza, a questo riguardo e da ultimo, alla segretaria di stato americana e a chi le suggerisce le giaculatorie.

E allora preoccupiamoci e tanto. Il problema, affidato alle attuali dirigenze (e a quelle a venire nell’immediato), è cosa suscettibile di sbriciolare gli equilibri, per quanto precari, del periodo post-sovietico, precipitandoci in una guerra assai meno “fredda” della precedente e colma di variabili del tutto imponderabili perchè sinora sconosciute. Situazione nel Caucaso, Iran, Pakistan, Medio Oriente, Cina in cammino e situazioni iraqena e afghana stagnanti, pre-accordi con Polonia e Repubblica Ceca, proclami germanici e viscerale disaccordo europeo sono elementi di una bomba a tempo e tutti suscettibili di esplosione.

C’è un momento (ne sa qualcosa G. H. W. Bush (padre), indotto ad abbozzare ai tempi di piazza Tien An Men) in cui decisioni mal soppesate e sfoggio di muscolatura, oliata nella forma ma quasi atrofizzata nel contenuto, recano conseguenze del tutto sproporzionate rispetto alla superficialità con cui vengono emessi. In altri termini tenere a freno la lingua, l’enfasi e la retorica e adeguarsi all’ipotesi di essere incudine e non martello, quando le circostanze lo richiedono, sono già nella situazione attuale ragionevoli opzioni. Ma si sa, alla fine la storia è fatta dalle persone e dalla loro capacità, se non di prevedere, di capire.
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venerdì, agosto 15, 2008

Ossezia, corrente e controcorrente

Poche ore fa, riferendo la martellante retorica del presidente americano sulla crisi in Georgia e Sud Ossezia, un importante notiziario italiano ha ipotizzato che George W. Bush si sia fatto cogliere in contropiede dagli eventi. C'è di che preoccuparsi. Per la crisi naturalmente, ma anche per l'autorevole rilancio occidentale di un'ipotesi che, in particolare negli USA, verrebbe considerata una via di mezzo tra la propaganda e l'assurdità. Per parte nostra ricordiamo che la guerra sporca tra gli imperi viene rivenduta sempre quale lotta tra i buoni e i cattivi ed è quindi utile non confidare nella tranquillizzante linearità di situazioni in cui in realtà nessuno è innocente.

Leggendo qui e là, la semplificazione è la regola e l'enfasi delle dichiarazioni politiche appare quantomeno eccessiva. Il punto di vista del presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, apparso in un fondo del Washington Post del 14 agosto (poi rimbalzato in Italia: Il Tempo), è un misto di retorica e di luoghi comuni: "L'invasione russa della Georgia colpisce al cuore i valori occidentali e il nostro sistema di sicurezza del ventunesimo secolo. Se la comunità internazionale permette alla Russia di distruggere il nostro stato democratico e indipendente, sarà come dare carta bianca ovunque ai governi autoritari. La Russi non intende distruggere solo un paese ma un'idea. Per troppo tempo abbiamo tutti sottovalutato la durezza del regime a Mosca. La giornata di ieri (mercoledì 13 agosto) ha portato nuove prove della sua doppiezza: entro le 24 ore dall'accordo della Russia al cessate il fuoco, le sue forze si scatenavano attraverso Gori; bloccavano il porto di Poti, affondavano vascelli georgiani; e - ancora peggio - cancellavano brutalmente villaggi georgiani dell'Ossezia meridionale, violentando le donne ed uccidendo gli uomini".

Sempre Saakashvili rincara la dose, aggiungendo che "da quando il nostro governo democratico è giunto al potere dopo la Rivoluzione delle Rose nel 2003, la Russia ha fatto uso di misure di embargo economico e ha chiuso i confini per isolarci e ha illegalmente deportato migliaia di georgiani in Russia. Ha cercato di destabilizzarci politicamente con l'aiuto di oligarchi criminali. Ha cercato di congelarci per sottometterci facendo esplodere cruciali gasdotti nel cuore dell'inverno. Quando tutto ciò non è riuscito a scuotere la determinazione del popolo georgiano, la Russia ci ha invaso. La settimana scorsa, la Russia, agendo per procura tramite i separatisti, ha attaccato diversi pacifici villaggi controllati dalla Georgia in Ossezia meridionale, uccidendo civili innocenti e danneggiando le infrastrutture. Il 6 agosto, poche ore dopo che un alto funzionario georgiano si era recato in Ossezia meridionale nel tentativo di negoziare, è stato lanciato un massiccio attacco contro insediamenti georgiani. Anche mentre eravamo sotto attacco, ho dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nella speranza di evitare una escalation e ho annunciato la nostra disponibilità a parlare con i separatisti con qualsiasi formula. Ma i separatisti e i loro padroni russi sono stati sordi ai nostri appelli di pace".

Di tutt'altro segno la Pravda, il Guardian e molta parte delle testate indipendenti americane, per cui il presidente georgiano Saakashvili è considerato né più, né meno che il burattino di un governo installato con un colpo di stato (la cosiddetta "Rivoluzione delle Rose") orchestrato dagli USA. Così Paul Craig Roberts, su pravda.ru, riferisce che l'ambasciatore M.K. Bhadrakumar (ex diplomatico indiano) lamenta la disinformazione sparsa dal regime di Bush e dichiara che sino dall'insorgere di violenze in Ossezia del Sud la Russia aveva cercato di interessare - nel totale disimpegno di Washington - il Consiglio di Sicurezza dell'ONU per ottenere che venissero deposte le armi in Georgia e Sud Ossezia. Sempre Roberts, sulle cause della crisi, è lapidario: "E' certo che l'invasione georgiana dell'Ossezia del Sud è stata un evento orchestrato dal regime di Bush. I media ameriani e i think tank neoconservatori erano pronti con i loro attacchi propagandistici. I neocon avevano pronto un editoriale di una pagina sul Wall Street Journal in cui Saakashvili dichiara che "la guerra in Georgia è una guerra per l'Occidente".

Esordisce con un rapporto piuttosto deciso Mike Whitney, su Counterpunch del 14 agosto ("Georgia and U.S. Strategy"): "L'esercito georgiano armato e addestrato dagli americani ha invaso l'Ossezia del Sud giovedì scorso (ndr il 7 agosto) uccidendo circa 2000 civili, costringendo 40 mila sud osseti a fuggire oltre il confine con la Russia e distruggendo gran parte della capitale Tskhinvali. L'attacco non è stato provocato e ha avuto luogo 24 ore piene prima che un solo soldato russo mettesse piede in Ossezia del Sud. Non di meno, la grande maggioranza degli americani crede ancora che l'esercito russo abbia invaso per primo il territorio georgiano. La BBC, l'AP, la NPR, il New York Times e il resto dell'establishment mediatico hanno abbondantemente e deliberatamente fuorviato i lettori facendo credere loro che la violenza in Ossezia del Sud sia stata provocata dal Cremlino. Per chiarezza, non è così. Per il vero non c'è disputa sui fatti, eccetto che tra la gente che si affida alla stampa occidentale per ottenere informazioni. A prescindere dalla loro stabile mancanza di credibilità, i media tradizionali continuano ad operare come arma della propaganda del Pentagono".

Di più, Whitney ricorda che l'ex presidente russo Mikhail Gorbachev ha fornito un riassunto preciso e sintetico degli eventi in un editoriale sul Washington Post del 12 agosto ("A Path to Peace in the Caucasus"): «Per un certo tempo è stata mantenuta una relativa calma in Ossezia del Sud. Le forze di peacekeeping composte da russi, georgiani e osseti, hanno adempiuto al loro compito e gli osseti e georgiani che vivono gli uni accanto agli altri hanno avuto almeno qualcosa in comune (...) Quello che è accaduto la notte del 7 agosto va al di là del comprensibile. L'esercito georgiano ha attaccato la capitale sud osseta di Tskhinvali con lanci multipli di razzi intesi a devastare larghe aree (...) Iniziare un attacco militare contro degli innocenti è stata una decisione irresponsabile le cui tragiche conseguenze per migliaia di persone di differenti nazionalità sono ora chiare. La leadership georgiana poteva fare questo solo con il sostegno esplicito e l'incoraggiamento di una forza molto più potente. Le forze armate georgiane sono state addestrate da centinaia di istruttori USA e il loro sofisticato equipaggiamento militare è stato comprato in una quantità di paesi. Questo, insieme alla promessa di entrare a far parte della NATO, ha incoraggiato i leader georgiani a pensare che se la potessero cavare con un "blitzkrieg" (guerra lampo) in Ossezia del Sud (...) a cui la Russia ha dovuto rispondere. Accusarla di aggressione contro la "piccola indifesa Georgia" non è solo ipocrita, ma dimostra mancanza di umanità».

Davvero, non è solo ipocrita. E' spudorato. E' ovvio che nessuno vuol fare qui l'apologia del metodo imposto da Putin e del suo atteggiamento dittatoriale nei confronti della dissidenza e dell'informazione, né della indiscriminata violenza del suo esercito (anche nella particolare occasione "si spara ai giornalisti"), né giustificare la politica russa nel Caucaso (chiunque abbia presente azioni e reazioni e crimini in seno alla crisi cecena sa di cosa parliamo) e tantomeno si vuole passare sotto silenzio lo strangolamento o l'invasione di stampo sovietico delle repubbliche ex sottoposte di Mosca, ma questi sei giorni di spargimento di sangue hanno innescato - precisa Seumas Milne sul Guardian - lo scarico (mai termine fu più adeguato) della più nauseante ipocrisia da parte dei politici occidentali e del mainstream mediatico loro generalmente asservito. L'establishment neocon americano, con il consueto codazzo di omologhi occidentali, ha infatti parlato immediatamente e solo di aggressione russa laddove, viceversa, Milne sostiene testualmente si tratti di "una storia di espansionismo USA".

Tant'è. Per i russi l'occidente è oggi nuovamente visto come il nemico. George W. Bush (considerato imbecille in patria dove molti ancora dubitano che abbia personalmente le capacità per essere un serio criminale) ci ha messo del suo. Ha fatto di più. Incurante del ridicolo o forse leggendo un appunto preparatogli dalla solerte Segretaria di Stato su predisposizione della junta che lo ha accompagnato sinora, ha accusato la Russia di avere "invaso uno stato sovrano" e di "aver minacciato un governo democraticamente eletto", aggiungendo ancora oggi che "bullismo e intimidazioni non sono modi accettabili per condurre la politica estera nel 21° secolo".

In proposito si sono chiesti al Guardian - e ci chiediamo noi - se sia questa la stessa accozzaglia di fanatici guerrafondai con lo stesso "illuminato portavoce" e per conto degli stessi governi che nel 2003 hanno invaso e occupato uno stato sovrano, l'Iraq, con pretesti e prove fasulle, a costo di centinaia di migliaia di vite umane. O se facciano parte degli stessi governi che hanno bloccato un cessate il fuoco, nell'estate del 2006, consentendo ad uno stato cliente e alla canaglia militare che lo dirige di polverizzare le infrastrutture libanesi e di uccidere più di mille civili come (pretestuosa perché preordinata) rappresaglia alla cattura di cinque soldati. Se sono gli stessi che mantengono sotto mortale ricatto un milione e mezzo di palestinesi punendoli del loro governo, anch'esso democraticamente eletto. Se sono gli stessi che alla faccia della Carta dell'ONU, dei risultati delle indagini dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, del Trattato di non proliferazione nucleare e dei risultati esposti dai loro stessi servizi di intelligence (NIE), minacciano di una guerra tendente al nucleare un altro stato sovrano. Se sono gli stessi che brigano malamente da anni (facendosi peraltro sputtanare dai servizi segreti domestici) per rovesciarne il regime, opinabile finchè si vuole, con l'aiuto di un'accozzaglia di ciarlatani, delinquenti internazionali e lacchè occidentali.

Sì, in parte sono gli stessi. E a quanto sembra non sono neppure in grado di provare vergogna. Allora come adesso. Ma con qualcuno e qualcosa in più. Non parliamo infatti dei consueti, svalutati e risibili Bolton, Cheney, Feith, Rumsfeld, ma - come precisa Whitney su Counterpunch - di personaggi ben più acuti, del calibro di Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, di Richard Holbrooke (plenipotenziario di Clinton nei Balcani) e di Madeleine Albright, tutti collegati per ora al carro di Barack Obama, forse in attesa di dimostrare al mondo che anche l'insipienza beluina del governo uscente potrebbe essere semplicemente un punto di partenza.

Sempre Mike Whitney ci ricorda infatti che proprio Brzezinski (architetto della campagna dei Mujaheddin orchestrata dagli USA contro i russi nell'Afghanistan occupato degli anni 80), nel suo "La Grande Scacchiera - Il primato americano e i suoi imperativi geostrategici", ha scritto che «da quando i continenti hanno iniziato ad interagire politicamente, circa cinquecento anni fa, l'Eurasia è stata il centro del potere mondiale.... La chiave per controllare l'Eurasia è controllare le Repubbliche centrali dell'Asia».

C'è davvero di che preoccuparsi.

giovedì, agosto 14, 2008

Niente giustizia per Fadel Shana

Il capo dell'avvocatura militare israeliana, Gen. Avi Mendelblit ha chiuso il 13 agosto le indagini sulla morte del cameraman della Reuters Fadel Shana (nella foto), ucciso da colpi sparati da un tank israeliano a Gaza il 17 aprile 2008. I risultati dell'inchiesta sono quelli che tutti si aspettavano, gli stessi che, fra gli altri, hanno assolto i militi israeliani che avevano preso di mira, uccidendolo, il fotografo italiano Raffaele Ciriello. La commissione militare dello stato ebraico ha infatti determinato che la condotta dell'equipaggio del carro armato, che "erroneamente" identificò Shana come uomo armato, non ha oltrepassato i limiti della procedura e di conseguenza nessuno dei soldati implicati verrà processato. Risibili le precisazioni del generale Mendelblit: "L'equipaggio del carro armato non è stato capace di determinare la natura dell'oggetto montato sul treppiede ed identificarlo positivamente come un missile anti-tank, o come un mortaio, o come una telecamera" (YnetNews).
Si ricorderà che Fadel Shana, 23 anni, palestinese, stava lavorando per Reuters sulle violenze in corso a Gaza quando veniva preso di mira e trucidato da un razzo sparato da un carro armato israeliano fermo a diverse centinaia di metri di distanza. Il cameraman proseguiva a filmare fino al momento in cui il colpo mortale centrava il bersaglio scelto dall'equipaggio del tank. Indubbiamente scelto, perchè le scritte a grandi caratteri sull'autovettura del giornalista non potevano lasciare dubbi sulla natura del veicolo e del suo equipaggio. Il missile (o i missili) caricati con le micidiali flechette, uccidevano altri otto ragazzi palestinesi di età tra i 12 e i 20 anni. Una strage. Human Rights Watch dichiarava che secondo la sua indagine l'equipaggio del carro armato dell'esercito di occupazione israeliano aveva operato in modo temerario o deliberato. Un'indagine condotta per conto dell'agenzia Reuters accertava che il veicolo di Fadel Shana aveva oltrepassato, appena un'ora prima, un posto di blocco a 700 metri dai carri armati (Independent).
L'esercito di occupazione che si autodefinisce "il più morale del mondo" ha colpito ancora una volta. Ha aggiunto oggi al crimine la beffa, diffondendo l'ennesima vergognosa apologia dei propri misfatti. Ma pensando ai soldati che anche stavolta (e per l'ennesima volta) eviteranno una giusta condanna, ci si deve chiedere se sia più criminale il milite arrogante, sobillato da una dirigenza irresponsabile e da una classe politica fanatica, falsa e guerrafondaia o l'esercito e la dirigenza che assolvendolo dal suo delitto cercano di assolvere se stessi da crimini ben più gravi.