lunedì, marzo 08, 2021

Ipotesi (parte seconda)


 Tempo fa, nel tentativo di darmi una risposta coerente alla inutile domanda su quanto potesse pesare un ipercubo e immaginando per questo la consistenza (massa/forza peso) di un oggetto appartenente ad un mondo oltre le tre dimensioni spaziali percepite, vagheggiavo che essa non potesse essere quella portata da oggetti ontologicamente appartenenti al solo spazio tridimensionale, in cui ad un cubo di volume n3 corrisponde massa m3 e di seguito m4 nella quarta ed m5 nella quinta dimensione.

Immediato corollario era che non solo l’ipercubo cui volevamo pervenire fosse esteso in quattro o più dimensioni, ma che ovviamente lo dovessero essere anche i cubi unitari minimi (quanti) di partenza, poiché appartenenti sin dall’origine al mondo a quattro, a cinque o a N dimensioni (v. Ipotesi 26/12/2020).

Con queste premesse ed un calcolo elementare, si perveniva ad una misura della massa, considerata come peso di un oggetto a riposo in gravità terrestre, che cresce in progressione esponenziale come da tabella riportata qui di seguito, prima nella parte (B) riferita ad un cubo campione proiettato nella sola quarta dimensione e poi in quella che stiamo ora considerando a titolo di esempio (C) riferita ad un cubo “n+1” - visivamente un cubo “di Rubik” - avente 3 unità di spigolo, volume di (33) 27 unità e massa (peso) corrispondente a 27 chilogrammi misurabili nelle tre dimensioni standard, ma di seguito proiettato sino alla quinta dimensione.

Come risulta dalla tabella (C) qui a fianco, al nostro ipercubo avente massa oggettivamente misurabile nei limiti delle sue tre dimensioni spaziali percepibili - come detto - di soli 27 kg, corrisponde nella quinta dimensione una massa (forza peso) di 59049 kg, cioè poco più di 59 tonnellate.

Ciò detto, nessuno ci impedisce di pensare che, nel suo mondo nascosto oltre il visibile ed oltre i limiti delle trasformazioni osservate, non solo una parte, ma tutta la massa dell’ipercubo “n+1” vivente in cinque dimensioni possa essere trasformata in energia equivalente a quella calcolabile attraverso la configurazione più semplice della relazione di Einstein in termini e nei limiti, appunto, di una massa a riposo, cioè  E = MC2

Il risultato (v. qui sotto) sarebbe abbagliante.


Per inquadrarne l'entità in termini familiari, se i calcoli adottati con le relative conversioni non sono sbagliati e premesso esemplificativamente che il consumo di energia in Italia per l’intero anno 2004 è stato di circa 304490 GWh, nei 27 chili tridimensionali ed unici percepibili del nostro ipercubo 5D – appunto perché nasconde 59 tonnellate di sé e un miliardo di GWh in un mondo invisibile – ci sarebbero circa 3284 (tremiladuecentottantaquattro) anni di fabbisogno energetico italiano.

Abbiamo detto invisibile, ma non inesistente, in un mondo che non diffonde segnali elettromagnetici di sé (e infatti non lo vediamo), che ben potrebbe essere considerato – ipotesi, appunto - sotto il profilo gravitazionale, con tutte le intuibili conseguenze sulla distribuzione di massa/energia nell’universo e sulla curvatura dello spazio-tempo. 

(08/03/2021)


martedì, marzo 02, 2021

La fine del tempo (parte seconda): oppure no

 

Reduce dal suo La Fine del Tempo del 1999 (Ed. it. Einaudi – ET Saggi), il Professor Julian Barbour con il suo The Janus Point A New Theory of Time (The Bodley Head – London / Penguin 2020) suggerisce, prendendo ad esempio il percorso mentale di Keplero, allorché evidentemente sfuggito alle sfere di cristallo che fino a poco tempo prima racchiudevano i pianeti e tutto il resto, di uscire a nostra volta da una scatola, cioè dal modello chiuso della termodinamica dei gas.

“Liberi dalle sfere di cristallo – scrive Barbour – i pianeti di Keplero furono in grado di seguire il loro corso; liberi dalla scatola [del modello chiuso della termodinamica] gli atomi possono volare in tutte le direzioni”. E in questo senso propone una nuova ed originale congettura sul tempo, con un punto di partenza, due percorsi speculari e due necessari postulati.

Primo. Che il Big Bang e con esso il tempo smettano di essere considerati nascita esplosiva ed unidirezionale dell’universo e del tempo, ma che venga invece individuata la loro natura quale punto di partenza bi-fronte (Janus Point, il Punto di Giano) contestuale al Big Bang, dal quale sia l’uno che l’altro – universo e tempo - si espandono in due opposte direzioni.

Secondo. Che si introduca – sulla falsariga dell’entropia – la considerazione di una diversa quantità, chiamata entaxy, che non cresce ed anzi decresce con l’evoluzione dell’universo in ragione dell’aumento della complessità di esso universo, e non del suo disordine. Complessità rappresentata dalla nascita e diffusione di strutture prima non esistenti, munite di sottosistemi all’interno dei quali soli cresce e misuriamo l’entropia tradizionale.

Per pura accademica curiosità cerco e leggo che con il termine entaxy si definiscono “i gradi di libertà esterni (entropia libera), creati a scapito della diminuzione ("negazione") dei gradi di libertà interni (entropia vincolata) in un sistema che subisce condensazione e gerarchizzazione”. Non riesco – ahimè - a trovare il collegamento, ma ne prendo atto.

Sia quel che sia, il Prof. Barbour elabora poi la congettura spiegando che, in sostanza, “visto il modo in cui la struttura dell’universo rappresentato come complessità evolve sui due lati dello Janus Point, la nozione di tempo cambia. Non ha più una sola direzione  - dal passato verso il futuro -  ma ne ha due: da un passato comune nel punto di Giano verso due futuri in due direzioni che da esso si allontanano”.

Intervistato, ormai un anno addietro, sui risvolti operativi a conferma della propria idea, rilevo che Barbour dà anche qualche suggerimento pratico su come sia possibile fornire in un tempo ragionevole (forse cinque anni) un supporto sperimentale o quantomeno osservabile al neonato principio dello Janus Point.

"Qualsiasi essere intelligente che osservi l'universo, è costretto a trovarsi su un lato o sull'altro lato del punto di Janus. Ed è quindi convinto che la direzione del tempo sia la propria. Non può vedere oltre [il proprio] universo, perché il resto sta dall'altra parte dello Janus Point, ma c’è. E non può guardare oltre anche perché in quel punto la situazione è caotica (.....) La matematica è giusta. Quello che potremmo essere in grado di fare è una predizione accurata partendo dall’universo al momento del Big Bang. E da lì, usando la teoria di Einstein e anche la meccanica quantistica ed altro [sic] capire come possa essere fatto l'universo in modo più dettagliato di quanto attualmente si sappia. Forse in cinque anni potremmo fare questa svolta e ricavarne una teoria che la gente a quel punto prenderebbe sul serio. Allora si potrebbe pianificare il lancio di una sonda spaziale, che farebbe osservazioni molto dettagliate. E a quel punto dire, sì, è giusto". (Julian Barbour in "Could the Big Bang have created a hidden 'twin' Universe?" - BBC REEL - YouTube, February 25, 2020 - Video by Howard Timberlake)

Bene. Cioè, bene? Non lo so. E intanto mi chiedo perché due futuri e non tre o un altro qualsiasi numero di futuri con altrettanti universi. Ma da semplice e svagato lettore, innanzitutto mi guardo bene dal mettere in dubbio alcunché, tantomeno ciò che viene descritto come il risultato di cinque decadi di lavoro, poi perché debbo senz’altro proseguire nella lettura e rilettura e infine perché l’idea alternativa della morte termica (*) non mi annovera – come altri, presumo - tra i più entusiasti estimatori di una fine descritta come freddissima e desolata.

Cerco quindi subito un po’ di conforto in quarta di copertina e annoto fiducioso che, benché “la maggior parte dei fisici creda che la seconda legge della termodinamica e l'aumento del disordine che descrive forzino un flusso unidirezionale e irreversibile del tempo, Barbour mostra perché quell'argomento è fallace e dimostra, invece, che il nostro universo non si sta dirigendo verso il disordine; piuttosto ne è emerso. Al centro della sua argomentazione c’è una nuova visione del Big Bang, che Barbour chiama Janus Point, da cui il tempo scorre in due direzioni, le sue correnti sono guidate dall'espansione dell'universo e dalla crescita dell'ordine nelle galassie, nei pianeti e nella vita stessa”.

Così va meglio. Benché accostare l’idea di entropia al disordine, più che all’equilibrio in uno schema che non siamo stati in grado di decodificare non mi abbia mai appassionato. Ma va bene lo stesso. Vale saltare le recensioni minime e procedere nello scorrere e ritornare sulle 331 pagine (più le note) del testo. Ma sempre in cerca di quelle scintille possibilmente alternative di scienza e conoscenza che invece molti, nei millenni, hanno ritenuto di trovare negli assurdi altissimi infiniti di ben più rassicuranti voli della mente.

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(*) La fine del tempo (parte prima)