martedì, ottobre 24, 2006

Confidential

Il 22 ottobre scorso la disinvolta testata on line israeliana Debkafile parlava di un pesante afflusso di combattenti - palestinesi di provenienza estera, siriani, iraniani, libanesi ed Hezbollah - tutti diretti a gonfiare le milizie di Hamas in vista di una ipotetica prova di forza tra le fazioni di Palestina. All'ineffabile rotocalco, che si dice bene informato da parte dell'intelligence israeliana, i consueti confidenti dell'ambiente militare avrebbero sussurrato che "combattenti stranieri si stanno introducendo a Gaza attraverso larghe aperture al confine con l'Egitto". Le informazioni anticipate da Debka parlavano di intere colonne di esperti in esplosivi ed istruttori di commandos in procinto di rimpolpare ed aggiornare le unità combattenti e la coalizione "terrorista" dei Comitati di Resistenza Popolare. Infine aggiungevano che farebbe parte dell'armata una nutrita schiera di "operativi di al-Qaeda di base nel Sinai".

L'eterogeneo gruppo di pirati sopra descritto era destinato - sempre secondo Debka - a confluire in un unico coacervo multifunzionale, indirizzato da un lato ad "assicurare ad Hamas una vittoria rapida su Mahmoud Abbas e sui servizi di sicurezza diretti dall'Autorità Nazionale Palestinese gestita da Fatah", dall'altro a posizionare [ndr contemporaneamente ?] squadre adatte ad imboscate "in stile Hezbollah", armate di missili, "per tendere agguati alle unità israeliane nel caso fosse lanciata un'offensiva per arginare gli attacchi dei palestinesi e il contrabbando di nuovi armamenti attraverso i tunnel nella Striscia di Gaza".

In proposito le fonti militari interpellate avrebbero contestualmente fatto trapelare che, secondo i pianificatori israeliani, "sarebbe una pazzia per Israele lanciare un attacco di terra su larga scala nella Striscia di Gaza" temendo, proprio alla vigilia di una guerra civile, che i soldati debbano farsi strada all'interno di una trappola preordinata da iraniani e siriani e si trovino contestualmente nella stessa difficile situazione di guerra civile in cui si trovano oggi le forze USA e inglesi in Iraq.

Il centrifugato di eventi ultimamente confezionato da Debka risulta francamente incomprensibile ed è destinato ad alimentare tensioni, dubbi o amara ilarità. Tra le ultime notizia - oggi in homepage - leggiamo che il capo di stato maggiore israeliano Dan Halutz ha detto che i palestinesi stanno costruendo una "città sotterranea" sotto la Striscia di Gaza. E' facile immaginare che ciò semplicemente preannunci futuri bombardamenti "esplorativi" e distruttivi sulla superficie della Striscia e sui suoi sfortunati abitanti civili (è comunque escluso a priori - almeno quello - che le informazioni comunicate a Debka possano riguardare lavori per una linea metropolitana nella Striscia di Gaza, dato che qualsiasi efficiente servizio di pubblico trasporto risulta da anni insopportabile alla compassionevole sensibilità di Tsahal).

In ogni caso sembra che in un paio di giorni sia stata abbandonata l'ipotesi che le fazioni palestinesi si stiano contendendo il sottosuolo per darsele di santa ragione in una riservatissima guerra civile. Il generale Halutz riferisce infatti che gran copia di tane e tunnel, già destinati al contrabbando palestinese lungo la cosiddetta Philadelphia Route (la striscia di confine tra Egitto e Gaza) sono oggi pieni di trabocchetti minati.

Riassumiamo allora in sintesi le bizzarre ipotesi fatte in questi ultimi due giorni da Debka: i palestinesi, impegnati in una sanguinosa guerra civile con intervento di una indistinta armata di briganti partigiani esterni (iraniani, siriani, Hezbollah e qaedisti) avrebbero oggi indistintamente in animo di fare a pezzi le forze israeliane - lanciate in una improbabile azione di terra - mentre danno corso ad una guerra civile e si giovano, tuttavia, di una erigenda città sotterranea, all'interno della quale toccherebbe loro soprassedere dal combattersi per questioni interne. Follia.

Parafrasando l'interessante recensione di S. Talia sulla "Macchina del Tempo", leggendo il pot pourri non omogeneo di notizie elaborato dalla testata di intelligence (?) - con la militare trovata della minaccia sotterranea - viene in mente una riedizione malamente frullata in chiave mediorientale della situazione in cui convivevano le due future razze umane immaginate da H.G. Wells: "gli Eloi e i Morlock. I primi vivono in quella sorta di ospitale e confortevole giardino che è diventata la superficie terrestre, e sono d’aspetto grazioso, miti e gentili, ma la loro intelligenza è pari a quella dei bambini. I secondi vivono sotto terra, sono astuti, infidi e d’aspetto repellente". Forse è proprio questo che vuole farci intendere la proposta di notizie allarmanti e contraddittorie di cui abbiamo trattato, la rappresentazione dei buoni e dei cattivi. Ma nel caso, purtroppo, la metafora è diversa: gli Eloi saremmo noi e i Morlock - ormai assediati dal tempo - confidano negli effetti delle assurdità propinate dai media "mainstream" e dalla propaganda per regalare al mondo le conseguenze riflesse di altri cinquant'anni di prevaricazione.

lunedì, ottobre 23, 2006

Dies Iran

Il titolo del post non è un inno che descrive in latino maccheronico il giorno del giudizio ma è quanto mi ha suggerito una notizia attesa e ormai purtroppo confermata, fresca di giornata. In proposito premetto che farebbe un grosso errore chi pensasse che le posizioni della destra e della sinistra israeliana differiscano sensibilmente nella gestione e nelle scelte - assai spesso trasversali - che riguardano la questione mediorientale, la politica estera e il problema palestinese in particolare. Occorrerebbe tuttavia forse fidarsi delle parole di Ury Avnery, ex membro della Knesset, pacifista radicale di sinistra, direttore del movimento e del sito Gush Shalom, quando scriveva che da questa novità non può venirne, per Israele e per tutti, nulla di buono. Trascrivo in proposito l'inserto a pagamento pubblicato a cura del movimento di Avnery su Haaretz del 17 ottobre: «Quando il razzista Joerg Haider entrò nel governo austriaco, il governo israeliano richiamò l'ambasciatore da Vienna. Ora c'è l'intenzione di accogliere nello stesso governo israeliano Avigdor Liberman, un razzista assai peggiore di Haider. L'introduzione di Liberman nel governo non è solo un cambiamento della coalizione, ma innalza una bandiera nera sullo Stato di Israele. La stessa idea che una persona simile, con una tale visione, possa essere un membro del governo israeliano è scioccante. E svergogna a chiunque lo sostenga. Liberman è una minaccia nell'edificio della società israeliana, una minaccia per un'intera fetta dei cittadini, una minaccia per la democrazia, una minaccia per qualsiasi possibilità di Israele di raggiungere la pace con i suoi vicini. La legge proposta per il cambio di regime, che è stata introdotta da Liberman alla Knesset, non è solo una proposta per un altro cambiamento nel meccanismo del governo. E' il primo passo verso lo stabilirsi di una dittatura, che porterà al disastro nazionale. Questa è una strada da cui non si ritorna. Un cinico primo ministro, in ballo per salvarsi la pelle, insieme con una banda di politici stupidi e/o corrotti, sta aiutando Liberman a metter piede nella democrazia israeliana. Chiunque si muova in favore di Liberman e delle sue proposte si muove contro lo Stato di Israele come definito nella Dichiarazione di Indipendenza, uno stato che avrebbe dovuto essere democratico e consacrato alla pace e all'uguaglianza di tutti i suoi cittadini. Ognuno di loro sarà ricordato per sempre con vergogna». [Gush Shalom - Grande inserto pubblicitario pubblicato su Ha'aretz del 17 ottobre 2006]

Solo ieri, 22 ottobre leggevamo poi [Ha'aretz] che Ehud Olmert aveva già deciso di includere nella coalizione di governo il partito russofono Israel Beitenu guidato appunto dal nazionalista di estrema destra Avigdor Liberman. Si diceva infatti che Olmert e Lieberman avevano raggiunto in merito una intesa di massima una volta caduti gli ostacoli ideologici che impedivano l'ingresso del suo partito al governo, allorchè Olmert aveva dichiarato che "non è più attuale il progetto per un profondo ritiro in Cisgiordania che comportava lo smantellamento di numerose colonie". Avigdor Liberman è nato nel 1958 in Moldova (che allora facente parte dell'Unione Sovietica), è emigrato in Israele nel 1978, dove ha prestato servizio militare e si è laureato in relazioni internazionali e scienze politiche all'università ebraica di Gerusalemme. E' entrato a far parte della Knesset, il parlamento israeliano, nel 1998 e dirige il partito Yisrael Beytenu, largamente formato da immigranti dei paesi della ex Unione Sovietica. Sotto questa veste Liberman continua a propugnare l'idea di spogliare alcuni arabi della cittadinanza israeliana e di applicare "test di lealtà" per quelli che rimangono. Nel maggio 2006 ha chiesto la condanna a morte dei politici arabi-israeliani che avessero avuto contatti con Hamas o che avessero celebrato la Nakba [catastrofe] palestinese anzicchè lo speculare giorno dell'indipendenza israeliano. Pur con queste premesse, secondo Wikipedia, in un sondaggio pubblicato da Yedioth Ahronoth il 21 settembre 2006 Liberman è risultato secondo solo a Netanyahu quale prossimo primo ministro israeliano, mentre Olmert si sarebbe piazzato settimo. In questi stessi giorni il presidente dell'Alto Comitato Arabo Israeliano, Shuweiki Hatib, aveva qualificato Yisrael Beytenu come "partito fascista" ed aveva chiesto al primo ministro Ehud Olmert di abbandonare gli accordi con Liberman per l'ingresso nella coalizione di governo. Parlando ad una conferenza stampa per commemorare il 50° anniversario del massacro di Kafr Qassem, Hatib aveva detto, infatti, che "l'esistenza di figure politiche che chiedono il trasferimento di cittadini arabi da Israele, devono accendere una luce rossa per la società israeliana". Detto fatto, il primo ministro Olmert e Avigdor Liberman hanno firmato oggi (23 ottobre) un accordo di coalizione, portando nel governo il partito di estrema destra Yisrael Beitenu. Secondo l'accordo, che deve essere ancora approvato dalla Knesset, Liberman avrà funzioni di vice premier e sarà pure ministro delle minacce strategiche all'interno dell'ufficio del primo ministro. Al riguardo Olmert ha detto, appunto, che intende nominare Liberman quale vice-primo ministro che si occupi delle "minacce strategiche contro Israele". Gli ha fatto eco Liberman con propositi per nulla tranquillizzanti, ma non originali, dichiarando che secondo lui la questione più pressante per Israele in questo momento è occuparsi dell'Iran. In sostanza Yisrael Beitenu porterà 11 deputati nella coalizione, dando ad Olmert il controllo di 78 seggi su 120. La sua decisione di far parte del governo Olmert è stata accolta tra le critiche della destra e della sinistra. Il capogruppo del partito di sinistra Meretz alla Knesset, Zahava Gal-On ha criticato aspramente questa mossa di Olmert, dichiarando con amara ironia che "Liberman è la minaccia strategica per la democrazia di Israele e il consenso del Labor sta permettendo a questa minaccia di diventare una realtà".

mercoledì, ottobre 18, 2006

Simple Barghouthi

Marwan Barghouthi, membro del Consiglio Rivoluzionario di Fatah, attualmente sta scontando l'ergastolo in un carcere di Israele ma è visto da tutti gli osservatori, anche da quelli israeliani come un potenziale futuro leader palestinese. La sua detenzione è considerata un atto politico e il suo rilascio - si dice - costituirà una parte sostanziale di ogni futuro passo avanti in merito alla soluzione della questione palestinese. Quello che segue è un breve stralcio iniziale dell'intervista rilasciata di recente da Barghouthi al giornale libanese al-Shira' (1) e tratta in ispecie dell'evoluzione dei rapporti ora apparentemente più vicini tra l'Autorità Nazionale Palestinese, facente capo a Fatah (il partito che fu di Yasser Arafat) e il governo a base islamica di Hamas. "...Penso che la formazione di istituzioni democratiche in Palestina consolidi la lotta palestinese e conduca al stabilizzazione dell'alleanza tra i vari poteri. Le elezioni presidenziali, locali e legislative sono un risultato che è fonte di orgoglio per i palestinesi e motivo di onore per gli aderenti a Fatah perchè è il loro movimento che ha precorso e fondato questa struttura democratica. Ora l'alleanza nazionale è incarnata nell'Autorità Nazionale Palestinese (PA) attraverso il presidente e il governo - cioè tra i movimenti di Fatah e Hamas - e comprende tutti i membri del Consiglio Legislativo Palestinese (PLC). A mio parere la possibilità di ritornare al tavolo dei negoziati e al cosiddetto processo di pace è considerevolmente, se non completamente, venuta meno. Questo è stato sopratutto il risultato di Camp David e della dichiarazione di Ehud Barak che "non c'è un partner palestinese". Ariel Sharon ha adottato questa dichiarazione, ne ha fatto il suo mantra e si è impegnato nella liquidazione dell'Autorità Nazionale Palestinese, incluso il suo presidente Yasser Arafat. Non sembra esistere un consenso generale in Israele riguardo ad una strategia di soluzione unilaterale che insieme ignori i palestinesi. Il ricorso di Israele ad una tale strategia deriva dalla sua riluttanza ad accettare una soluzione che possa dare ai palestinesi il livello minimo dei loro inalienabili diritti come nazione. I passi unilateralli non porteranno alla stabilità, alla sicurezza o alla pace. La pace può essere ottenuta solo con la fine dell'occupazione e con il ritiro completo di Israele dalle aree palestinesi occupate nel 1967, con lo stabilirsi di uno stato indipendente di Palestina con Gerusalemme quale capitale, con la garanzia e l'implementazione del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi". Il tono e il contenuto dell'intervista di questi giorni non sono molto lontani da quelli di analoga intervista concessa il 15 aprile 2006 da Barghouthi al quotidiano Yedioth Ahronoth (2). La rigidità dei picchetti teorici posti dal leader di Fatah può forse essere la sua carta vincente, ma effimera, per mantenere e rinsaldare il generale ascendente su parte della gente di Palestina, ma la scarsa flessibilità dei concetti e il rifiuto di ogni impopolare sottigliezza molto mal si conciliano con gli arzigogoli verbali e i raggiri ideati in passato dall'establishment israeliano allo scopo di accompagnare lentamente all'archivio degli insuccessi ed alla storia della diplomazia da baraccone ogni percorso di pacificazione insieme alla credibilità dei relativi sponsor. L'impegno messo dai vertici israeliani nel non impegnarsi a nulla, l'alacrità dimostrata dai centri di potere e dagli scudieri incaricati dallo Stato ebraico di elaborare le formule di promesse che sarebbero state lasciate a metà e non avrebbero mai costituito un vincolo né visto una firma, la tenacia con cui il sistema mediatico è riuscito viceversa ad instradare l'opinione pubblica lasciando che si addossasse ad altri - e in ispecie ad Arafat - la colpa degli insuccessi di ogni ipotesi di pace, meriterebbero forse oggi, da parte di Barghouthi, miglior considerazione.

(1) http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=22&ItemID=11210
(2) http://pipistro.wordpress.com/2006/04/18/peacekidding

lunedì, ottobre 16, 2006

Una volta non basta

No, il titolo del post non c'entra nulla con il best seller scandalistico di Jacqueline Susann. L'ex ispettore della IAEA, Scott Ritter, presenta in questo periodo il suo libro ""Target Iran: The Truth About the White House’s Plans for Regime Change” [Bersaglio Iran: la verità sui piani della Casa Bianca per il cambio di regime]. L'esperto di armi dell'ONU è stato intervistato da Amy Goodman, della rete americana Democracy Now. Ritter si dice convinto del fatto che la strada attualmente percorsa dagli USA condurrà inevitabilmente alla guerra con l'Iran e descrive il disegno di Bush e della sua amministrazione come un percorso che farà addirittura impallidire, in confronto, l'errore storico fatto con l'Iraq. Scott Ritter è chiarissimo sulle menzogne della banda del presidente americano. Alla domanda di Amy Goodman: "Può parlarci delle affinità o differenze che lei vede tra l'escalation fino all'invasione dell'Iraq e quello che sta accedendo ora con l'Iran?", Ritter risponde: "La più grossa similitudine che dobbiamo sottolineare è che in entrambi i casi nessuna prova è stata prodotta a sostegno delle illazioni che vengono fatte. L'Iraq venne accusato di avere un programma per le armi di distruzione di massa, di stare ricostruendo i programmi per le armi chimiche, biologiche, nucleari e quelli per i missili balistici a lunga gittata. Ci fu un procedimento di ispezioni sul posto attraverso le quali si ebbe accesso, pieno accesso, alle attrezzature in questione e nessun dato fu ottenuto con queste ispezioni che potesse sostenere le allegazioni dell'amministrazione Bush. Eppure agli iraqeni fu detto che non era compito degli ispettori trovare le armi, ma che era compito dell'Iraq provare che non esistevano. L'Iraq avrebbe dovuto provare [una circostanza] negativa. E non poteva. Ora sappiamo che sino dal 1991 Saddam Hussein aveva eliminato la totalità dei programmi sugli sviluppi degli armamenti. Non c'era altro da trovare, da scoprire. Non c'era alcuna minaccia". Ora, noi tutti sappiamo anche che le guerre si combattono ormai azionando prima e soprattutto i mezzi di comunicazione di massa ed è un errore pensare che sia possibile difendersi dal bombardamento dei media meglio che dalle bombe che prima o poi potrebbero esserci sganciate sopra la testa secondo le libidini di potere o di denaro del megalomane o del pupazzo che si sentisse a ciò investito da avidità, mistiche pulsioni, fili che lo manovrano o semplicemente dalla propria follia. Cerchiamo allora ed almeno di prendere per quel che sono i roboanti proclami, le promesse e le capriole di minuscoli personaggi e governi che, condotti da costoro, si fanno promotori (per assecondare il proprio tornaconto e poco lungimiranti aspettative nel breve periodo) e complici delle stesse pazzesche e criminali iniziative che un giorno potrebbero trovare proprio loro e - quel che è peggio - interi popoli sfortunati o sottomessi o terrorizzati, dalla parte sbagliata, quella del bersaglio. Leggevo oggi su Ha'aretz le capriole della redazione finalizzate a ricondurre la vicenda iraniana nell'alveo degli esperimenti nucleari nord coreani e delle sanzioni ONU che gravitano sulla testa dei paesi non allineati. Ogni scusa è buona, tutto può essere usato per innescare o alimentare una nuova spirale di odio, di guerra e di morte, anche gli elementari artifici dialettici che consentono di introdurre la minaccia persiana all'interno di una rubrica di cucina. Il mondo è purtroppo anche in mano di chi nell'inchiostro della scadente propaganda intinge la penna per firmare la propria condanna a morte.

venerdì, ottobre 13, 2006

Pericolo di pace

«Bashar al-Assad lo ha fatto di nuovo. E' riuscito a mettere in imbarazzo il governo israeliano. Fino a quando diffonderà le minacce rituali di liberare le Alture del Golan con la forza non disturberà nessuno. Dopo tutto, questo conferma solo ciò che molti vogliono sentire: che non c'è modo di raggiungere la pace con la Siria, che presto o tardi ci troveremo in guerra con loro. Perchè questo è un bene? Semplice: la pace con la Siria significherebbe restituire le Alture del Golan (territorio siriano sotto qualsiasi aspetto). Niente pace significa nessuna necessità di restituirle. Ma quando Bashar comincia a parlare di pace siamo nei guai. Quello è un disegno sinistro. Potrebbe - Dio non voglia - creare una situazione tale da costringerci a restituire quei territori [...] Perchè non facciamo la pace con la Siria? In questo momento ci sono due ragioni: una interna, l'altra internazionale. La ragione interna è l'esistenza di ventimila coloni sulle alture del Golan, che sono molto più popolari di quelli del West Bank. Non sono fanatici religiosi e i loro insediamenti sono stati costruiti sotto gli auspici del partito del Labor. Tutti i governi israeliani hanno avuto timore di toccarli [...] La seconda ragione per rifiutare la pace con la Siria è connessa con gli USA. La Siria appartiene all'"asse del male" di George Bush. Il presidente americano se ne frega degli interessi di Israele nel lungo periodo, quello che è importante per lui è raggiungere una specie di vittoria in Medio Oriente. La distruzione del regime siriano ("una vittoria per la democrazia") lo compenserà per il fiasco iraqeno. Nessun governo israeliano - e certamente non quello di Olmert - oserebbe disobbedire al presidente americano». (Uri Avnery, 11 ottobre 2006) Curioso, queste parole mi ricordano qualcosa. «I siriani vennero a Shepherdstown con una disposizione d'animo positiva e flessibile, ansiosi di raggiungere un accordo. Al contrario, Barak, che aveva spinto pesantemente per l'incontro, decise - apparentemente sulla base dei dati dei sondaggi - che aveva bisogno di rallentare il processo per alcuni giorni per convincere l'opinione pubblica israeliana di essere un negoziatore duro. Voleva che io usassi le mie buone relazioni con Shara [ndr. il ministro degli esteri siriano] e con [Hafez al] Assad, per tenerli buoni mentre lui si esponeva il meno possibile durante il periodo di attesa che si era imposto. Fui deluso, per dirla con un eufemismo ...». E' un piccolo assaggio dell'atteggiamento di Ehud Barak caparbiamente finalizzato a mandare a monte i colloqui di pace con la SIria nel gennaio 2000, v. Bill Clinton, My Life, L'ex presidente americano nella sua autobiografia sfata un altro spicchio del mito largamente diffuso dai media occidentali secondo cui furono Assad, prima e Arafat, poi, ad annichilire il percorso di pace subito prima della provocazione di Sharon (poi andato al governo) e della seconda intifada. Piccole cose, piccole persone hanno perpetuato gli insuccessi di ogni presunto tentativo di pacificazione della regione, almeno da Oslo in poi. Mancanza di coraggio e di volontà che devono essere attribuite più alle mezze figure espresse nei Governi israeliani e nell'Autorità palestinese che alla volontà viziata, convogliata, obnubilata e volutamente intorbidita della gente comune. Gente che soffre a causa di gente da poco.