mercoledì, aprile 07, 2021

Black & White

 


lunedì, marzo 08, 2021

Ipotesi (parte seconda)


 Tempo fa, nel tentativo di darmi una risposta coerente alla inutile domanda su quanto potesse pesare un ipercubo e immaginando per questo la consistenza (massa/forza peso) di un oggetto appartenente ad un mondo oltre le tre dimensioni spaziali percepite, vagheggiavo che essa non potesse essere quella portata da oggetti ontologicamente appartenenti al solo spazio tridimensionale, in cui ad un cubo di volume n3 corrisponde massa m3 e di seguito m4 nella quarta ed m5 nella quinta dimensione.

Immediato corollario era che non solo l’ipercubo cui volevamo pervenire fosse esteso in quattro o più dimensioni, ma che ovviamente lo dovessero essere anche i cubi unitari minimi (quanti) di partenza, poiché appartenenti sin dall’origine al mondo a quattro, a cinque o a N dimensioni (v. Ipotesi 26/12/2020).

Con queste premesse ed un calcolo elementare, si perveniva ad una misura della massa, considerata come peso di un oggetto a riposo in gravità terrestre, che cresce in progressione esponenziale come da tabella riportata qui di seguito, prima nella parte (B) riferita ad un cubo campione proiettato nella sola quarta dimensione e poi in quella che stiamo ora considerando a titolo di esempio (C) riferita ad un cubo “n+1” - visivamente un cubo “di Rubik” - avente 3 unità di spigolo, volume di (33) 27 unità e massa (peso) corrispondente a 27 chilogrammi misurabili nelle tre dimensioni standard, ma di seguito proiettato sino alla quinta dimensione.

Come risulta dalla tabella (C) qui a fianco, al nostro ipercubo avente massa oggettivamente misurabile nei limiti delle sue tre dimensioni spaziali percepibili - come detto - di soli 27 kg, corrisponde nella quinta dimensione una massa (forza peso) di 59049 kg, cioè poco più di 59 tonnellate.

Ciò detto, nessuno ci impedisce di pensare che, nel suo mondo nascosto oltre il visibile ed oltre i limiti delle trasformazioni osservate, non solo una parte, ma tutta la massa dell’ipercubo “n+1” vivente in cinque dimensioni possa essere trasformata in energia equivalente a quella calcolabile attraverso la configurazione più semplice della relazione di Einstein in termini e nei limiti, appunto, di una massa a riposo, cioè  E = MC2

Il risultato (v. qui sotto) sarebbe abbagliante.


Per inquadrarne l'entità in termini familiari, se i calcoli adottati con le relative conversioni non sono sbagliati e premesso esemplificativamente che il consumo di energia in Italia per l’intero anno 2004 è stato di circa 304490 GWh, nei 27 chili tridimensionali ed unici percepibili del nostro ipercubo 5D – appunto perché nasconde 59 tonnellate di sé e un miliardo di GWh in un mondo invisibile – ci sarebbero circa 3284 (tremiladuecentottantaquattro) anni di fabbisogno energetico italiano.

Abbiamo detto invisibile, ma non inesistente, in un mondo che non diffonde segnali elettromagnetici di sé (e infatti non lo vediamo), che ben potrebbe essere considerato – ipotesi, appunto - sotto il profilo gravitazionale, con tutte le intuibili conseguenze sulla distribuzione di massa/energia nell’universo e sulla curvatura dello spazio-tempo. 

(08/03/2021)


martedì, marzo 02, 2021

La fine del tempo (parte seconda): oppure no

 

Reduce dal suo La Fine del Tempo del 1999 (Ed. it. Einaudi – ET Saggi), il Professor Julian Barbour con il suo The Janus Point A New Theory of Time (The Bodley Head – London / Penguin 2020) suggerisce, prendendo ad esempio il percorso mentale di Keplero, allorché evidentemente sfuggito alle sfere di cristallo che fino a poco tempo prima racchiudevano i pianeti e tutto il resto, di uscire a nostra volta da una scatola, cioè dal modello chiuso della termodinamica dei gas.

“Liberi dalle sfere di cristallo – scrive Barbour – i pianeti di Keplero furono in grado di seguire il loro corso; liberi dalla scatola [del modello chiuso della termodinamica] gli atomi possono volare in tutte le direzioni”. E in questo senso propone una nuova ed originale congettura sul tempo, con un punto di partenza, due percorsi speculari e due necessari postulati.

Primo. Che il Big Bang e con esso il tempo smettano di essere considerati nascita esplosiva ed unidirezionale dell’universo e del tempo, ma che venga invece individuata la loro natura quale punto di partenza bi-fronte (Janus Point, il Punto di Giano) contestuale al Big Bang, dal quale sia l’uno che l’altro – universo e tempo - si espandono in due opposte direzioni.

Secondo. Che si introduca – sulla falsariga dell’entropia – la considerazione di una diversa quantità, chiamata entaxy, che non cresce ed anzi decresce con l’evoluzione dell’universo in ragione dell’aumento della complessità di esso universo, e non del suo disordine. Complessità rappresentata dalla nascita e diffusione di strutture prima non esistenti, munite di sottosistemi all’interno dei quali soli cresce e misuriamo l’entropia tradizionale.

Per pura accademica curiosità cerco e leggo che con il termine entaxy si definiscono “i gradi di libertà esterni (entropia libera), creati a scapito della diminuzione ("negazione") dei gradi di libertà interni (entropia vincolata) in un sistema che subisce condensazione e gerarchizzazione”. Non riesco – ahimè - a trovare il collegamento, ma ne prendo atto.

Sia quel che sia, il Prof. Barbour elabora poi la congettura spiegando che, in sostanza, “visto il modo in cui la struttura dell’universo rappresentato come complessità evolve sui due lati dello Janus Point, la nozione di tempo cambia. Non ha più una sola direzione  - dal passato verso il futuro -  ma ne ha due: da un passato comune nel punto di Giano verso due futuri in due direzioni che da esso si allontanano”.

Intervistato, ormai un anno addietro, sui risvolti operativi a conferma della propria idea, rilevo che Barbour dà anche qualche suggerimento pratico su come sia possibile fornire in un tempo ragionevole (forse cinque anni) un supporto sperimentale o quantomeno osservabile al neonato principio dello Janus Point.

"Qualsiasi essere intelligente che osservi l'universo, è costretto a trovarsi su un lato o sull'altro lato del punto di Janus. Ed è quindi convinto che la direzione del tempo sia la propria. Non può vedere oltre [il proprio] universo, perché il resto sta dall'altra parte dello Janus Point, ma c’è. E non può guardare oltre anche perché in quel punto la situazione è caotica (.....) La matematica è giusta. Quello che potremmo essere in grado di fare è una predizione accurata partendo dall’universo al momento del Big Bang. E da lì, usando la teoria di Einstein e anche la meccanica quantistica ed altro [sic] capire come possa essere fatto l'universo in modo più dettagliato di quanto attualmente si sappia. Forse in cinque anni potremmo fare questa svolta e ricavarne una teoria che la gente a quel punto prenderebbe sul serio. Allora si potrebbe pianificare il lancio di una sonda spaziale, che farebbe osservazioni molto dettagliate. E a quel punto dire, sì, è giusto". (Julian Barbour in "Could the Big Bang have created a hidden 'twin' Universe?" - BBC REEL - YouTube, February 25, 2020 - Video by Howard Timberlake)

Bene. Cioè, bene? Non lo so. E intanto mi chiedo perché due futuri e non tre o un altro qualsiasi numero di futuri con altrettanti universi. Ma da semplice e svagato lettore, innanzitutto mi guardo bene dal mettere in dubbio alcunché, tantomeno ciò che viene descritto come il risultato di cinque decadi di lavoro, poi perché debbo senz’altro proseguire nella lettura e rilettura e infine perché l’idea alternativa della morte termica (*) non mi annovera – come altri, presumo - tra i più entusiasti estimatori di una fine descritta come freddissima e desolata.

Cerco quindi subito un po’ di conforto in quarta di copertina e annoto fiducioso che, benché “la maggior parte dei fisici creda che la seconda legge della termodinamica e l'aumento del disordine che descrive forzino un flusso unidirezionale e irreversibile del tempo, Barbour mostra perché quell'argomento è fallace e dimostra, invece, che il nostro universo non si sta dirigendo verso il disordine; piuttosto ne è emerso. Al centro della sua argomentazione c’è una nuova visione del Big Bang, che Barbour chiama Janus Point, da cui il tempo scorre in due direzioni, le sue correnti sono guidate dall'espansione dell'universo e dalla crescita dell'ordine nelle galassie, nei pianeti e nella vita stessa”.

Così va meglio. Benché accostare l’idea di entropia al disordine, più che all’equilibrio in uno schema che non siamo stati in grado di decodificare non mi abbia mai appassionato. Ma va bene lo stesso. Vale saltare le recensioni minime e procedere nello scorrere e ritornare sulle 331 pagine (più le note) del testo. Ma sempre in cerca di quelle scintille possibilmente alternative di scienza e conoscenza che invece molti, nei millenni, hanno ritenuto di trovare negli assurdi altissimi infiniti di ben più rassicuranti voli della mente.

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(*) La fine del tempo (parte prima)


venerdì, febbraio 26, 2021

Congettura

 

Il potere di una mente fresca che considera un problema
da una nuova prospettiva è una delle meraviglie del mondo. 

(Lee Smolin)



Per prima cosa e per essere molto chiari, so di non sapere. In realtà non credo ci sia abbondanza di quelle menti fresche di cui si parla sopra, ma allo stesso modo credo che ci sia qualcosa, nell'ignoranza tecnica, che libera da qualsiasi catena, sia essa un libro o un dogma, consentendo a chiunque di guardare e meravigliarsi ingenuamente delle cose del nostro universo con una mente aperta e, cosa più importante, senza il minimo pregiudizio.

Ho detto a chiunque. Quindi, andiamo avanti.

Poiché in un ipotetico mondo bidimensionale un oggetto tridimensionale è percepito come una sezione (v. Edwin A. Abbot - Flatlandia), penso sia ragionevole credere che qualcosa, diciamo una piccola parte tridimensionale di un oggetto immaginario extra-dimensionale, possa essere percepito anche da noi.

In questa prospettiva, nonostante l'evanescenza di ogni ipotesi sulle dimensioni superiori, penso che valga la pena di cercare tracce di incroci strani e poco familiari nell'universo conosciuto.

Dovrebbe essere qualche cosa che va oltre le nostre teorie nel momento in cui proviamo a misurarla. Cioè, un oggetto effimero e sfuggente, di cui non possiamo prevedere la natura e il comportamento, proprio perché sembra che noi si sia ontologicamente interdetti dal penetrare nella fisica di una dimensione superiore. Tale entità, tuttavia, dovrebbe essere percepibile, a condizione che venga fatta un'osservazione al momento ed entro i limiti in cui questo oggetto interagisce con il nostro mondo a “3 dimensioni note più il tempo”.

Parlando di indizi, è almeno attraente pensare alle entità sfuggenti che attualmente immaginiamo essere i buchi neri primordiali - non prodotti dalla contrazione di una stella massiccia - e forse, allo stesso tempo, immaginare una relazione tra il nostro effimero ospite e il 95% dell'universo che siamo lontani dall'aver classificato.

Benché ovviamente ci sia un problema al riguardo, dal momento che dovremmo presumere che la massa/energia di un oggetto extra-dimensionale possa essere misurata nella nostra realtà percepita tridimensionale, per quanto ne sappiamo non dovrebbe esserci davvero nulla di nuovo e contrario rispetto all'esistenza di massa ed energia racchiuse in qualcosa che non possiamo né vedere direttamente, né percepire per mezzo di onde elettromagnetiche. E penso prima di tutto ai buchi neri e poi a qualsiasi manifestazione di gravità, per non parlare di materia oscura e di ogni ipotetica presenza nella fluttuazione di un campo quantistico autonomo.

In questo senso, mi capita di leggere che "In molti e differenti luoghi dell'universo, abbiamo rilevato oggetti di massa elevata molto densi a causa della loro gravità, sia indirettamente tramite il loro effetto su cose luminose vicine, come stelle o dischi di accrescimento di gas e polvere, sia direttamente tramite le loro onde gravitazionali. Molte di queste cose dense e di massa elevata sono troppo scure per essere stelle normali, troppo compatte e troppo scure per essere ammassi di stelle e troppo pesanti per essere stelle di neutroni. Esistono, si comportano più o meno esattamente nel modo in cui la fisica prevede che i buchi neri si comporterebbero, e non c'è letteralmente nient'altro che potrebbero essere. Per citare un astronomo: abbiamo "una forte fiducia che esistano buchi neri, o almeno oggetti che hanno molte delle caratteristiche dei buchi neri". In altre parole, se sembra un buco nero e si comporta come un buco nero… lo chiamiamo buco nero ”. (How Do We Know Black Holes Even Exist? - YouTube channel MinutePhysics via Popular Mechanics Jan 11, 2018)

In effetti c'è così tanto mondo là fuori, e al riguardo assumiamo che solo il 5% sia qualcosa che già sappiamo e su cui possiamo fare affidamento. Nel restante 95%, da qualche parte nascosto nell'ignoto, potrebbe esserci un minuscolo pezzo di qualcosa di scuro che assomiglia a un buco nero e si comporta come un buco nero, ma è un'anatra.

(25/02/2021)


sabato, dicembre 26, 2020

Ipotesi

 
Guess – Compute consequences – Compare to experiment and see if it works (Richard Feynman)


Una di quelle cose non necessariamente utili che ti passano per la testa quando ti chiedi quanto diavolo pesa un ipercubo.

Immaginare il punto adimensionale significa individuare sul piano una mera posizione. Trascinare poi idealmente il punto sullo stesso piano fino a derivarne un segmento di linea retta costituito di sola lunghezza, è una convenzione. Cioè, un artifizio matematico utile a rappresentare figure geometriche ideali nel mondo reale.

Così, per esempio, il volume di un cubo unitario, di spigolo 1, viene costruito trascinando il punto “di partenza” nelle tre dimensioni conosciute. Ciò è a dire che originando da un punto che è una semplice collocazione nello spazio (o nel piano), si può derivare un segmento privo di spessore e qualificato come distanza tra due punti, cioè costituito dalla sola lunghezza virtuale n e successivamente ricavare un quadrato, altrettanto privo di spessore, di lato n.

Nella geometria classica si immagina infatti di “tirare” un ente adimensionale, il punto, fino a ricavarne una entità geometrica (linea o segmento) definita dalla sola lunghezza  quantificata numericamente n, per poi eventualmente ricavarne un quadrato di superficie convenzionale n2 sul piano e infine un cubo di volume n3 nello spazio.

La consistenza sul piano e successivamente nello spazio delle figure così delineate (punto, segmento, quadrato) è puramente virtuale. Questo perché non è comprensibile, né calcolabile, la massa di un punto che non ha dimensioni, così come di una linea costituita dalla sola lunghezza. Né quella di un quadrato dotato di due sole dimensioni, che consiste, cioè, in una mera estensione sul piano.  

Queste figure sono astratte e prive di massa. E di conseguenza sarebbe altrettanto evanescente la quantità di materia (massa/peso) del cubo tridimensionale che matematicamente se ne può derivare.

Della figura tridimensionale così idealizzata e rappresentata da un volume è infatti impossibile immaginare la massa. Cioè, ci dovremmo chiedere prima quanto pesa un punto virtuale, o una linea ad una sola dimensione e poi qual è il peso delle infinite superfici virtuali quadrate necessarie a comporre un cubo immaginario. (TAB A)

Inventiamoci allora innanzitutto un punto materiale “pesante”, cioè un macroscopico “quanto” la cui massa minima, sia l’unità. Un oggetto per noi tridimensionale, che per comodità di calcolo assumiamo di forma cubica, che abbia spigolo 1 e massa 1. Idea che peraltro va d’accordo con la granularità della natura.

Dal nostro punto “di partenza” (che vediamo quindi come un piccolo cubo, per esempio, del peso di un chilo), possiamo poi costruire un oggetto, che considereremo bidimensionale, ma già dotato di massa, che chiameremo comunque “segmento” e che visivamente sarà costituito dalla somma di due cubi contigui. Sarà, cioè, un piccolo parallelepipedo di spessore 1, lunghezza 2 e massa 2.

Dal segmento come sopra indicato, potremo poi derivare un quadrato di spessore 1, superficie n2 (4) e corrispondente massa m2 (4) e infine un cubo di volume matematico n3 (8) nel mondo tridimensionale.

Pensando alla consistenza del nostro oggetto nel mondo oltre la terza dimensione percepita, la sua massa non potrà essere quella portata dalle figure ontologicamente appartenenti al solo spazio tridimensionale (in cui al cubo di volume n3 corrisponde massa m3). Dobbiamo quindi immaginare che la sua sostanza (massa/peso) sia adeguata alla sua natura oltre la terza dimensione. E’ infatti intuibile che non solo l’ipercubo cui vogliamo pervenire sia esteso in quattro o più dimensioni, ma che ovviamente lo siano stati anche i cubi unitari minimi (quanti) di partenza, che appartengono sin dall’origine al mondo a quattro, a cinque o a N dimensioni.

Assumiamo quindi che le masse delle unità che andranno a formare l’oggetto destinato nel nostro esperimento alla quarta e successive dimensioni, debbano essere adeguate fin dalle sue componenti minime al mondo a quattro o più dimensioni. (TAB B)

In altri termini, una quarta o quinta o successiva dimensione c’è o non c’è. E se c’è (proprio quello che stiamo ipotizzando), non vi è ragione perché il cubo unitario – cioè il punto “di partenza” – così come le altre figure di transito non siano, esse per prime, estese e quindi “pesanti” quanto suggerisce la loro natura di oggetti della quarta o quinta o successiva dimensione. Natura per noi invisibile e ben difficilmente immaginabile, ma non incommensurabile.

Lanciamo quindi matematicamente il nostro oggetto nella quarta dimensione (n4) e chiamiamo fantasiosamente quantità la sua consistenza/dimensione nel mondo quadridimensionale, cioè quella che non possiamo vedere. Pesiamo poi i quanti/massa che derivano dalle successive operazioni e annotiamo – al passaggio dalla seconda, alla terza e poi alla quarta dimensione – gli aumenti di volume, quantità e massa in modo esponenziale.

Al cubo campione derivante dal quadrato di lato 2 (che diventerà di quantità n4 (16), cioè sedici unità, nella quarta dimensione) corrisponde un ipercubo che ha massa n8 (256) unità.

La progressione esponenziale attivata considerando il rapporto tra dimensione e massa di questo oggetto, ci mostra poi che ad un cubo “n+1”, derivante dal quadrato di lato pari a 3 unità, già proiettato nella quinta dimensione, corrisponde una misura di 81 unità della quarta dimensione e una massa di ben n8 (6,561) unità. Con il passo successivo sino alla quinta dimensione ricaveremo una invisibile quantità virtuale di 35 (243) unità e una massa di 59,046 unità. (TAB C)

E qui ci fermiamo perché è sorprendente immaginare il nostro oggetto/evento a cinque dimensioni in relazione ai metri e ai chili terrestri della parte che possiamo percepire.

Il mostro a cinque dimensioni appena ideato, del quale, tuttavia, come esseri legati al mondo tridimensionale, non potremmo naturalmente vedere e misurare altro che l’apparizione/intersezione (cfr. Edwin A. Abbot, Flatland) di un cubo di tre unità di spigolo e 27 miseri chili di massa, peserebbe invece, data la sua natura, alle condizioni terrestri (gravità) e in stato di quiete, oltre 59 tonnellate.

Non so se è “oscura”, ma sembra un bel po’ di materia. Un vero peccato non poter vedere come è fatta.

(3/7/2020)



Cubo campione (costituito da otto cubi unitari - Rif. Tab B) 

            

Cubo "n+1" (Rubik's Cube - Rif. Tab C)
          

Tesseract  (non badate a me, sono qui perché sono carino)


mercoledì, novembre 25, 2020

La fine del tempo (parte prima)

Dal passato verso il futuro, dalla nascita alla dissoluzione della morte. Motivo di angoscia per l’animale uomo e subito di superstizione, religione, rito e rimembranza per esorcizzare la precarietà del fatto biologico.

Pur ragionevolmente certi che nulla nell’universo evapori in nulla, resta il terrore della perdita di soggettività e coscienza che ci ha imposto per millenni l’illusione che il nostro essere fosse molto più di un miscuglio di particelle fortunosamente compattate in forma e sostanza poco diverse da quelle di un sasso.

Abbiamo quindi immaginato di essere destinati all’immortalità senza considerare il fatto che con il sasso abbiamo molte più cose in comune di quelle che ci siamo fatti regalare dalle molteplici divinità psicopatiche costruite con i nostri tratti e più spesso con le nostre passioni, emozioni e paure, aggiungendo - per noi - quella di finire arrostiti se non seguiamo i loro suggerimenti.

E tra esse la paura assoluta del dopo quale elemento intrinseco nella percezione unidirezionale del tempo.

Il tempo quindi abbiamo costruito e del tempo e della sua direzione abbiamo teorizzato innumerevoli tracce. Tante da farci ritenere indispensabile la sua considerazione a fianco di ogni cosa. E da ultimo, seppur tra alterne vicende, la sua collocazione quale componente bizzarra e inscindibile del mollusco gravitazionale teorizzato da Albert Einstein.

Tra queste tracce subito emerge quella istintiva, culturale e psicologica, costituita dalla sensazione soggettiva dello scorrere del tempo, dalla percezione di un prima e di un dopo, accompagnata dalla constatazione di impermanenza dell’essere umano. Per cui c’è un inizio e c’è una fine. E poi il principio di causalità – ovvero il rapporto causa-effetto – con la consequenzialità temporale degli eventi esemplificata in una delle prime possibili elaborazioni mentali del cucciolo di animale: se piango mi accudiscono. E ancora, la traccia istituzionale e scientifica della seconda legge della termodinamica, la necessaria evoluzione da caldo a freddo, da bassa ad alta entropia.

Ma impegnandoci possiamo aggiungerne a piacere secondo il consueto esercizio di estrapolare tutto ciò che confermi le nostre convinzioni. Così il percorso radiale dell’onda elettromagnetica, la funzione d’onda quantistica, che collassa ma non si è seriamente ipotizzato il contrario, la traccia cosmologica di espansione dell’universo verso una situazione sempre più disordinata e la formazione dei buchi neri se si dà credito all’idea di infinito e all'emergere di una singolarità.

Chissà se nel piccolo di uomo e di animale nasce prima la sensazione del tempo che passa o sia prima apprezzato il principio di causa ed effetto, che gli insegna immediatamente che al pianto e al lamento corrisponde l’essere consolato e nutrito o comunque una reazione.

Certo è che piuttosto velocemente si attestano altri condizionamenti che valgono a scolpire la percezione soggettiva del tempo come ripetizione o come durata e soprattutto come limite per la consapevolezza di essere solo episodi destinati a morire.

Nonostante queste ed altre tracce, il tempo non è tuttavia un elemento fondamentale della natura. Non riusciamo infatti a definire il tempo in se stesso e lo costruiamo come variabile del tutto arbitraria, appurato che la vita biologica è a termine, mettendone in relazione il percorso con il verificarsi di eventi della natura quali il sole che sorge e tramonta, le fasi della luna, il movimento di un pendolo, il battito cardiaco o in generale un’oscillazione ed ogni sorta di vibrazione.

Cioè, non sappiamo cosa sia il tempo, ma per questioni pratiche abbiamo dovuto misurarlo facendo riferimento a quel che vedevamo del mondo intorno a noi: sarò di ritorno tra due albe e due tramonti, con la nuova luna, quando la clessidra sarà stata girata venti volte.

Superata nel secolo scorso l’idea di un tempo assoluto quale elemento fondamentale valido per l’intero universo, percepiamo oggi che il tempo non è un evento, ma un’utilità nel nostro mondo macroscopico ed impariamo da ultimo che la sua essenza non può comunque essere separata da quella dello spazio, qualsiasi cosa siano l’uno e l’altro.

Ma dobbiamo ammettere che la traccia termodinamica, in quanto opposta alla sopravvivenza stessa dell’uomo, è proprio il motivo principale su cui poggiamo la nostra percezione del tempo che passa e la consapevolezza dei limiti al nostro essere. Traccia assai tenace posto che la nostra posizione biologica va in qualche modo controcorrente rispetto al percorso dell’universo verso l’equilibrio, che prevede espansione e raffreddamento. Siamo infatti un sistema – quello biologico – che combatte per mantenersi in uno stato di bassa entropia, lontano dall’equilibrio termico, nutrendosi in modo piuttosto complicato dell’energia che in sostanza ci proviene dal sole.

Perché questo bisognerebbe accettarlo. Cioè che i caratteri della nostra coscienza di esistere siano solo un pregevole squilibrio che ci ha allontanato ma non affrancato da un percorso che sembra orientato in tutt’altro modo. Quello per cui tutto, pianeti e galassie, tutti noi e possibili miliardi di altre e diverse entità vitali disperse quali microscopiche ed impercettibili increspature dell’universo, si possa andare verso la deprimente eternità della morte termica.  


sabato, aprile 25, 2020

Il fumo giustifica i mezzi

Francia, 22 aprile 2020. Le Monde pubblica un articolo in cui si sottolinea che secondo i dati preliminari di una ricerca scaturita dall'osservazione clinica nell'hôpital de la Pitié-Salpêtrière (AP-HP) di Parigi, il tasso di fumatori tra i pazienti infetti da Sars-CoV-2 su un campione di circa 350 pazienti con età media di 65 anni sarebbe molto basso, circa il 5% del totale. Per la precisione, il 4.4% con età media 65 anni e il 5.3% con età media 44 anni (tenendo presente che il tabagismo diminuisce in Francia con l'età).

Nel dettaglio l''articolo fa riferimento:
** a uno studio cinese da cui risulterebbe che la percentuale dei fumatori ricoverati per il coronavirus è stata in Cina del 12.6% e quindi assai inferiore alla percentuale dei fumatori in Cina, che è del 28%
** a uno studio francese su 11 mila ospedalizzati secondo l'Assistance publique-Hôpitaux de Paris (AP-HP) per cui la percentuale di fumatori sarebbe dell'8.5% contro una percentuale di fumatori in Francia del 25.4%.
Questi sono i numeri.

La notizia viene comunque riportata su parecchi media italiani.
Il 23 aprile, secondo le notizie on line, l'OMS fa "chiarezza", contestando ogni possibile effetto salvifico del fumo rispetto al virus, ma riproponendo nella sostanza un'unica, generica osservazione per cui - letteralmente - "i fumatori con Covid-19 probabilmente soffrono di condizioni più gravi rispetto agli altri e che queste potrebbero portare a morte prematura". Probabilmente.
Probabilmente sì, ma pur concordando senz'altro sul fatto che i polmoni e il sistema circolatorio di un fumatore siano quasi certamente in condizioni assai peggiori e quindi più suscettibili ad ogni accidente rispetto a quelli di un non fumatore, constatiamo che il panico per una notizia in qualche modo "scandalosa" conduce in men che non si dica all'emissione di altro fumo a fin di bene, con il più totale disinteresse per i (pochi) numeri a disposizione.

Confermando l'impressione che sia stato ritenuto inopportuno indagare il merito, un memorandum dell'OMS cita poi quali ulteriori fattori di rischio, il maneggio di sigarette e narghilè. Cioè il fatto di toccare, magari scambiandosele, attrezzature da fumo... per portarle alla bocca.
Ora, ovviamente nessuno si sogna di invitare al tabacco chi non ne fa uso o non ne ha mai sentito il bisogno, né a a riprendere un'abitudine dannosa da cui ci si sia per avventura liberati. Anzi, i numeri delle vittime dirette o indirette del tabagismo parlano comunque da soli.
Ma trascurare pur piccoli fatti e ricorrere all'intervento dell'uomo nero, come fossimo bimbi che potrebbero pericolosamente avvicinarsi alla marmellata, sembra davvero un po' eccessivo.

mercoledì, aprile 22, 2020

La difesa del complotto


Questo non è un pezzullo di medicina, né di scienza e sapienza. Ce n’è già troppa dell’una e delle altre sui social e su ogni rasserenante pubblicazione, che, come il buon padre di famiglia, dice quel che ogni figlio vuol sentirsi dire: non è successo niente.

Il dott. Montagnier non è un tipo particolarmente simpatico. Ha già 88 anni, è francese, ha un aspetto sanguigno, forse poco autorevole e ha pestato negli ultimi anni code assai sensibili, patrocinando idee omeopatiche, antivaccinali o altrimenti pericolose.

Incidentalmente ha vinto un Nobel, ma tant’è. Chi non ne ha vinto uno?

Da ultimo si è espresso a favore di un’ipotesi manipolativa del nostro Coronavirus – nostro nel senso che ci fa compagnia da mesi e sembra intenda fermarsi in giro ancora un po’ – approvando in sostanza e forse senza particolare approfondimento uno studio, definito all’unisono dai nostri media, con certa stomachevole ironia, “manoscritto”, pubblicato da taluni biologi di New Delhi.

Infatti, nonostante la sovrabbondanza dei successivi allarmati dinieghi e contestazioni a base di improperi e motti di spirito, esiste veramente ed è tuttora in rete lo studio di un laboratorio indiano, pubblicato il 30 gennaio 2020 ma tenuto in sospeso per mancanza di revisione della comunità scientifica (“peer review”) e virtualmente ritirato per un approfondimento da parte degli stessi autori, da cui risulterebbe che la sequenza del 2019-nCoV (altrimenti detto SARS-CoV2) contiene quattro inserti dell' HIV-1. 

Per i biologi del laboratorio indiano è una cosa improbabile (unlikely) che questa circostanza si verifichi in natura e quindi ne hanno dedotto che potrebbe trattarsi di un virus ingegnerizzato.

Magari – dubbio aggiunto con orrore ai livelli più popolari – di un c.d. chimera virus, geneticamente manipolato per aumentarne il potenziale.

Nel caso, da chi? Non si sa, non si saprà mai e comunque non è compito degli scienziati occuparsene. Ma per accomunare altri candidati al più istintivo capro cinese, occorre ricordare che sui media statunitensi  (e non solo) si è parlato di ambigui studi sulle origini del SARS Coronavirus, trasferiti operativamente dagli USA in Cina (a Wuhan) e finanziati dal governo USA su iniziativa del NIAID - National Institute of Allergy and Infectious Diseases di Anthony Fauci.

Ovvio che vada annotato e ripetuto che esistono da tempo abbondanti scritti assolutamente contrari all'ipotesi indiana (in particolare uno studio cino-americano pubblicato con rimarchevole velocità il 4/2/2020 e quello, successivo e meno tranchant, pubblicato su Nature Medicine il 17/3/2020). E poi pareri di segno diametralmente opposto alle deduzioni dei biologi indiani e al disinvolto patrocinio di Montagnier.

Così come sono stati riferiti e ancora sussistono dubbi e incertezze sull’origine e sul meccanismo di diffusione del virus anche da parte dell’establishment militare USA. Ma è stato già detto ed è comunque facile immaginare che le pressioni sul punto – cioè per non farne emergere definitivamente qualcosa, qualsiasi cosa – siano e saranno insuperabili.

Vero, falso o fuffa che sia, ovviamente non ci sono conclusioni. Quelle le possiamo lasciare ai milioni di saggi e scienziati che imperversano vantandosi a vario titolo di saperne in materia più dello stesso virus.

Le note a pie’ di pagina sono state omesse per cattiveria.



sabato, aprile 18, 2020

La difesa del dogma

«...un tale atteggiamento è considerato non privo di risvolti positivi [ed ammesso dallo stesso Popper, quando riconosce che]: "L'atteggiamento dogmatico consistente nell'aderire a una teoria il più a lungo possibile, ha una notevole importanza. Senza questo non potremmo mai scoprire quale è l'effettivo rilievo di una teoria - ce ne libereremmo prima di poter constatare la sua efficacia; e, di conseguenza, nessuna teoria potrebbe svolgere il proprio ruolo, [che consiste] nel conferire al mondo un ordine". Peccato però per il concetto di 'democrazia' nella scienza che sia proprio questo il momento in cui la straordinaria influenza delle élites dirigenti possa giocare le sue carte migliori, vale a dire nella scelta delle teorie che verranno testate ed insegnate per decenni prima che ce se ne possa sbarazzare, e naturalmente allora con altre teorie sempre suggerite da quei gruppi che sono in grado di controllare case editrici, politica editoriale delle riviste, concessione dei finanziamenti ai diversi progetti di ricerca, riconoscimenti pubblici, avanzamenti di carriera, etc.». (Umberto Bartocci - Albert Einstein e Olinto De Pretto, 2006)
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Per questo non stupisce che al sorgere di un'ipotesi 'controcorrente' - sia essa plausibile o peregrina - si accompagni il corrispettivo erigersi a "maître à penser" di un nutrito accrocchio di normalizzatori d'animo o di professione. Si tratta di semplici dilettanti o strutturati professorini, eroi della divulgazione o primedonne del web. Ma anche di moltissimi ordinari ed appassionati seguaci di una campana rassicurante e normalmente immutabile. 
Soggetti tutti costantemente impegnati nell'assicurarsi anche a futura memoria un posto quantomeno morale sul carro del vincitore, ben sapendo su quali ruote sarà poggiato. Chè, quand'anche il dogma dovesse all'occasione cedere di fronte ai fatti, esso sarà aggiustato e opportunamente reindirizzato dai medesimi soloni che ne erano stati un tempo strenui ambasciatori, rimasti naturalmente incollati - salvo possibili scivoloni - al gruppo che comunque decide.
E' ovvio che l'intensità dell'impegno richiesto nella predetta attività di normalizzazione, professionale o amatoriale, sia proporzionale alla consistenza dell'ipotesi scandalosa del momento. Cosa tanto più agevole quanto più chiaramente apodittica sia la teoria alternativa. 
Ne deriva che il nostro normalizzatore si guarderà bene dal dedicarsi alla confutazione di concrete possibilità alternative quando assai più allegramente potrà soffocare il dissenso scagliandosi, con un esempio che tutto copre, contro la prima ed immancabile ipotesi da baraccone.
E' infatti facile ridicolizzare l'idea di un intervento marziano e trascurare con disinvoltura il fatto che possa essere stato il tuo vicino di casa, nell'ombra, a rifilarti una bastonata sul crapino felice.


martedì, settembre 17, 2019

Naufraghi

Tutto si scrisse da alcuni e tanto si lesse da tutti in quel 2019, purché fosse rilanciato il terrore di un'invasione aliena o di una guerra tra ricchi e scaricato reale disagio o più spesso meschini malesseri dalla comoda poltrona del cosiddetto tastierista da social sulle spalle di veri disperati.
Perché ci sono sempre veri disperati quando il benessere si misura per differenza.
Ma l'agitazione durò poco, meno delle poche idee e delle tante invettive ribaltate migliaia di volte sulla rete e nelle sempre più rare diatribe da bar.
Ed è passato tanto tempo.
Poche idee ma tanta meschinità.
Certo, si vide di tutto.
Tuttavia, anche in quel momento, emerse puntuale una nota che sarebbe andata ad aggiungersi alle tante analoghe altre della storia e della leggenda.
Nel senso che quello spettacolo da circo, già capitato molti anni prima, venne ad aggiungersi ai palinsesti della vergogna.
E fu infatti ribadita più e più volte una di quelle superficiali osservazioni che riemergevano allora e sempre riemergono nei momenti in cui si galleggia in un mare di - ehm - difficoltà.
Appunto, come ora.
Va', nuotiamo.
Ma qualcuno dice ancora oggi, agitandosi tra i flutti, che i vari Salvini e Renzi fecero anche cose buone. 
L'avevamo già sentita 'sta cosa delle "cose buone".
E sono pensieri in fondo corretti tra una boccata e l'altra di acqua salata. Sempre che sia acqua.
Ma no, non c'è da stupirsi, perché qualcosa di buono - loro malgrado - la fecero veramente. Cioè, qualcosa sfuggì loro di mano, perché di testa e sopratutto di tasca nulla avrebbero lasciato a nessuno.
Come buchi neri prima dei ripensamenti di Hawking.
Ma una cosa buona appunto ci fu, fecero capire a molti milioni di italiani quanto fossero babbei molti altri milioni di italiani. Oggi nuotano, nuotiamo tutti insieme.
Sfortuna volle che non lo fecero capire a loro, ai babbei, una strepitosa maggioranza.
Vabbè, non ci fu il tempo.
Era solo il 2019.
E la riva è ancora lontana, nuotiamo.

lunedì, marzo 18, 2019

So what?

mercoledì, maggio 23, 2018

Grilli parlanti


domenica, agosto 07, 2016

HypothesIS

 Lo Stato Islamico è un accidente di derivazione occidentale originariamente indirizzato ad agevolare la riedizione degli equilibri in Medio Oriente, in particolar modo in Siria contro il governo di Assad e nei confronti dell'Iran e del potente movimento libanese degli Hezbollah. Ne ha favorito la nascita l'intensa attività statunitense di supporto all'egemonia israeliana nell'area mediorientale e di controllo sulle condotte di petrolio iraqeno. La metastasi è stata nutrita in un primo tempo con uomini e mezzi residui dell'invasione in Iraq per opera degli USA, che hanno inteso sfruttare la situazione di fermento popolare sunnita in Siria, poi con forniture indiscriminate a tutti i gruppi jihadisti anti Assad. L'operazione si è inserita nella seconda fase ritardata della scomposizione degli equilibri internazionali elaborata ad opera del neoconservatorismo guerrafondaio israelo-americano, inaugurata a New York nel settembre 2001.

Istituzionale beneficiario del sorgere dell'infezione, in un ruolo parassitario, il regime israeliano ne ha favorito la crescita e lo sviluppo, sia tramite legami con il gruppo salafita di Al-Nusra (violenta formazione jihadista ostile al governo di Assad), sia verosimilmente fornendo mezzi e addestramento o come anello di congiunzione per lo smercio del petrolio proveniente dallo Stato Islamico.

La prima linea di Isis, a fianco del nocciolo originario costituito da frange iraqene e siriane, è costituita da basi virtuali nei paesi del Golfo, che, sempre con le armi e il benestare dell'amico americano ai loro governi, hanno potuto attingere alle sacche di fanatismo wahhabita di casa loro. Contemporaneamente sono stati stimolati e gratificati del marchio Isis, accrocchi periferici anche più lontani e in particolare i disagiati prodotti del passato coloniale europeo.
In Europa i foreign fighters, essenzialmente autodidatti, si sono dimostrati presto disponibili ad aderire con pochissima o nessuna capacità critica alle pretese anche suicide di un'entità fumosa ma nominalmente islamista. Il mostro, creato a tavolino e diffuso quasi fosse un marchio, si è infatti dimostrato naturalmente fluido e come tale ha potuto incollarsi a qualsiasi approssimativa pulsione religiosa, ai centri del malcontento e ad ogni contingente spirito di rivalsa. Nei fatti è risultato elemento catalizzatore della rabbia suscitata dalle sciagurate imprese americane del terzo millennio, capitanate da un incapace come George W. Bush e dai criminali che lo hanno diretto, indirizzato e coadiuvato.

Tant'è, il risultato concreto dell'operazione Isis nel breve periodo è stato quello di agevolare una guerra civile in Siria e resuscitare l'odio di ogni balordo psicopatico armato di bombe, Kalashnikov, camion o coltello, in primo luogo verso gli avversari dell'Islam sciita, poi verso gli oppositori contingenti e infine verso i più vicini europei, visti come clienti del Grande Satana, e i colonizzatori istituzionali. Ovvero, in concreto, andando a colpire laddove si presume faccia più male, pur con qualche significativa eccezione.

L'atteggiamento pragmatico della Russia e la resistenza curda hanno sparigliato un po' le carte andando la prima a colpire e resistendo i secondi al focolaio dello Stato Islamico in Siria. Gli appoggi occidentali alle fazioni di resistenza pseudo popolare al regime di Assad hanno viceversa consentito ad Isis di rafforzarsi, sfruttando il più ampio malessere stabilito in Nord Africa e in Medio Oriente verso un sistema, quello europeo, già provato dalla crisi finanziaria e migratoria, oltre che fisiologicamente incapace di riconoscere i segni della strategia della tensione e le tracce di chi se ne avvantaggia.

Alla delicatezza della situazione si è aggiunta l'opportunistica connivenza petrolifera del governo turco, che ha spiegato i suoi effetti nell'aggressione contro curdi e oppositori, nella apparente stipula di un patto di disinteresse con Israele e in qualche non incidentale ricatto nei confronti dell'Europa.

Manco a dirlo, il burattinesco conato islamista - che non condivide con l'Islam altro che le cinque lettere iniziali - ha favorito l'incipiente deriva destrorsa conseguente alla recessione economica e al liberismo finanziario imposti alla vecchia Europa, oggi facilmente infarcita del razzismo di una minoranza fascistoide allo sbando, ingrassata dalla colpevole ignoranza di larghe fette della popolazione depauperata, incattivita, rimbambita dal culto della sicurezza e della prevenzione e angosciata da ogni ulteriore flusso di migranti in fuga dalla guerra. Flusso che è andato ad aggiungersi a quello convogliato nel Mediterraneo grazie ai sordidi maneggi della Francia e dei suoi mezzani in Libia cinque anni fa.

Non è difficile immaginare chi si giova di questa situazione, visto che il depauperamento economico dell'Europa, derivato dagli artifici politico finanziari mediante redistribuzione di risorse a danno della generalità della gente comune, specularmente avvantaggia i potentati legati alla guerra e al danaro che se ne può ricavare, ovunque esso sia.

Qui intanto si vive alla giornata. In Italia non è evidente una particolare e contingente infiltrazione di fanatici pseudo islamisti e mine vaganti che possa paragonarsi a quella francese e belga. Se poi altri paesi europei godono di condizioni più favorevoli dal punto di vista logistico, ambientale e sociale, di solito elaborate con capacità e lungimiranza, qui viceversa si tira a campare, magari confidando che la delinquenza locale o gli apparati dello stato facciano da argine ad uno spirito islamista vago e poco convincente per qualsiasi detentore di un Q.I. superiore a 40.

Da noi i politici, i balordi e i boiardi raccolgono le briciole e da buoni ladri di polli si accontentano di rubacchiare qui e là e svendere le terga al miglior offerente. E nel frattempo, certamente diretta dallo staterello che ha interesse ad auto definirsi ebraico esplode la colonizzazione politica dove più e meglio si riescono ad ungere ruote, seminare zizzania e infiltrare sicari. Il tutto nella consapevolezza che il mercato americano, per quanto babbeo, minaccia di non durare in eterno nonostante il collaudato sistema di investimenti incrociati tra Israele, la lobby ebraica, una politica cialtrona, avida e approssimativa, i disinvolti piazzisti di forniture e logistica militare e i venditori di petrolio e danaro.

Nella prospettiva di un cambiamento difficilmente valutabile dell'atteggiamento americano e del trend internazionale, la logica israeliana è tradizionalmente quella di portarsi avanti usufruendo della confusione, iniettando una sorta di infezione pseudo-sionista e alimentando qualunque specchietto per le allodole mentre si appropria en passant di quel che resta della Palestina. Così, tramite la lobby europea, annaspa dispiegando tutto il possibile armamentario retorico e una disperata aggressività. Sa che potrebbe essere l'ultima occasione, visto che ben difficilmente lo staterello teppista, malgrado l'abbondanza dei suoi tentacoli, potrà contare su una politica tanto miope, brutale e squilibrata, quanto quella che si immagina venga perseguita dalla attuale indecorosa candidata alla Casa Bianca.

giovedì, luglio 21, 2016

Syrian memo

Pericolo di pace (Friday, October 13, 2006) (stralcio)
«I siriani vennero a Shepherdstown con una disposizione d'animo positiva e flessibile, ansiosi di raggiungere un accordo. Al contrario, Barak, che aveva spinto pesantemente per l'incontro, decise - apparentemente sulla base dei dati dei sondaggi - che aveva bisogno di rallentare il processo per alcuni giorni per convincere l'opinione pubblica israeliana di essere un negoziatore duro. Voleva che io usassi le mie buone relazioni con Shara [ndr. il ministro degli esteri siriano] e con [Hafez al] Assad, per tenerli buoni mentre lui si esponeva il meno possibile durante il periodo di attesa che si era imposto. Fui deluso, per dirla con un eufemismo ...». E' un piccolo assaggio dell'atteggiamento di Ehud Barak caparbiamente finalizzato a mandare a monte i colloqui di pace con la Siria nel gennaio 2000, v. Bill Clinton, My Life, L'ex presidente americano nella sua autobiografia sfata un altro spicchio del mito largamente diffuso dai media occidentali secondo cui furono Assad, prima e Arafat, poi, ad annichilire il percorso di pace subito prima della provocazione di Sharon (poi andato al governo) e della seconda intifada. Piccole cose, piccole persone hanno perpetuato gli insuccessi di ogni presunto tentativo di pacificazione della regione, almeno da Oslo in poi. Mancanza di coraggio e di volontà che devono essere attribuite più alle mezze figure espresse nei Governi israeliani e nell'Autorità palestinese che alla volontà viziata, convogliata, obnubilata e volutamente intorbidita della gente comune. Gente che soffre a causa di gente da poco.

Deja vu (Wednesday, March 02, 2005)
Il presidente siriano Bashar al-Assad, parlando alla stampa ha paragonato la pressione degli USA sul suo paese a quella esercitata con il governo di Baghdad prima dell'invasione dell'Iraq nel 2003, sottolineando che si aspetta un attacco americano al suo paese dalla fine della guerra all'Iraq. Fra le altre cose, dopo aver messo in luce che il suo paese possiede 500 km di confini nel deserto assai difficili da controllare, il presidente siriano ha pure dichiarato di di aver ricevuto ufficiali del dipartimento della difesa USA e di aver discusso il problema dei confini con il Segretario di Stato americano, facendogli constatare che questi (confini) costituiscono un pericolo per la Siria. Ha quindi precisato di aver chiesto a Washington visori notturni e sistemi radar simili a quelli usati dagli americani ai confini con il Messico. Sembra che il medesimo presidente al-Assad abbia proposto in ottobre 2004 la formazione di un pattugliamento congiunto siriano-americano lungo il confine e di essere ancora in attesa di una risposta. Nulla di particolare, non c'è dubbio, queste cose si sono già sentite e lette, anche in Italia nei giorni scorsi, ma sono anche cose facilmente verificabili e si deve ritenere che gli USA non mancheranno di fornire ampie ed esaustive spiegazioni ed eventualmente smentire tali circostanze. Questo, si intende, prima di attaccare la Siria.

Intanto mettiamo qui un [recentissimo] timeline "casalingo" a futura memoria.

28 mar. 2003 - Rumsfeld mette in guardia la Siria chiedendo di interrompere l'invio di equipaggiamenti militari all'Iraq. [albawaba]
3 apr. 2003 - Rumsfeld ribadisce la sua convinzione che la Siria sta aiutando l'Iraq. [Agr]
13 apr. 2003 - Bush dichiara che la Siria ha armi chimiche e avvisa Damasco che "deve cooperare" con Washington contro Saddam Hussein. [albawaba]
14 apr. 2003 - Ari Fleischer dichiara che la Siria ospita terroristi e che è uno stato terrorista. [News24 - South Africa]
31 ott. 2003 - Gli Stati Uniti accusano la Siria di fiancheggiare il terrorismo e di minare la sicurezza in Iraq. "Washington non e' del tutto soddisfatta degli sforzi fatti da Damasco per contrastare il terrorismo. Washington ritiene che la Siria offra rifugio a elementi pericolosi sul proprio territorio". [Agr]
11 nov. 2003 - WASHINGTON, Il Congresso Usa approva sanzioni economiche e diplomatiche contro la Siria, perchè accusata di appoggiare il terrorismo. [ANSA]
10 mag. 2004 - Bush chiede sanzioni economiche contro la Siria perchè supporta il terrorismo e non fa abbastanza per prevenire che combattenti entrino nel vicino Iraq. L'amministrazione USA ritiene che la Siria abbia aggravato la tensione in Medioriente. Gli USA - parole di Bush - stanno ordinando sanzioni contro la Siria "perche non combatte il terrorismo e non si vuole unire [agli USA] nel combattere il terrorismo". [Intervista a Al-Ahram International del Cairo]. [Jerusalem Post]
8 feb. 2005 - Gli insorti in Iraq sarebbero tra i 12 e i 15 mila, fra cui la metà circa, tra i 5 e i 7 mila, costituirebbero il nucleo duro degli "irriducibili" del regime di Saddam Hussein. Lo indicano fonti del Pentagono anonime citate dalla Cnn, che afferma di avere l'informazione in esclusiva. La banda terroristica di Abu Musab al Zarqawi conterebbe un migliaio di elementi, tra cui massimo 500 stranieri (ndr. evidentemente tutti siriani).
16 feb. 2005 - Washington, Il presidente George Bush ha approvato un piano per una politica militare d'aggressione sul confine iraqeno con la Siria. Fonti ufficiali dicono che la Casa Bianca ha approvato un piano che garantirebbe alle forze USA il diritto di perseguire gli "insurgents iraqeni" dentro il territorio siriano. [MENL - MIDDLE EAST NEWS LINE]
17 feb. 2005 - Washington, Gli Stati Uniti non sanno se la Siria sia responsabile dell'attentato nel quale e' morto l'ex premier libanese Rafic Hariri. Lo ha dichiarato il presidente Usa George W. Bush aggiungendo che gli Stati Uniti sostengono l'avvio di un'inchiesta internazionale sull'episodio che lunedi' scorso e' costato la vita a ben 17 persone a Beirut, in Libano. Ai giornalisti Bush ha riferito che la Siria "non e' al passo" con gli altri Paesi del Medioriente, da qui il ritiro dell'ambasciatore americano da Damasco. [Agr]
17 feb. 2005 - Rice: vie diplomatiche con Usa. Per risolvere le divergenze con la Siria, gli Stati Uniti preferiscono le vie diplomatiche, ma non escludono l'uso della forza. Lo ha dichiarato al Senato il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, confermando che il presidente Bush "si riserva tutte le opzioni". Rice ha sottolineato che, dopo le tensioni derivate dall'assassinio del premier libanese Hariri, la Siria deve abbandonare il Libano. [Televideo]

"Cerastes Cerastes" Clinton's email (as simple as that)

UNCLASSIFIED U.S. Department of State Case No. F-2014-20439 Doc No. C05794498 Date: 11/30/2015

«The best way to help Israel deal with Iran's growing nuclear capability is to help the people of Syria overthrow the regime of Bashar Assad.
Negotiations to limit Iran's nuclear program will not solve Israel's security dilemma. Nor will they stop Iran from improving the crucial part of any nuclear weapons program — the capability to enrich uranium. At best, the talks between the world's major powers and Iran that began in Istanbul this April and will continue in Baghdad in May will enable Israel to postpone by a few months a decision whether to launch an attack on Iran that could provoke a major Mideast war.
Iran's nuclear program and Syria's civil war may seem unconnected, but they are. For Israeli leaders, the real threat from a nuclear-armed Iran is not the prospect of an insane Iranian leader launching an unprovoked Iranian nuclear attack on Israel that would lead to the annihilation of both countries. What Israeli military leaders really worry about -- but cannot talk about -- is losing their nuclear monopoly. An Iranian nuclear weapons capability would not only end that nuclear monopoly but could also prompt other adversaries, like Saudi Arabia and Egypt, to go nuclear as well. The result would be a precarious nuclear balance in which Israel could not respond to provocations with conventional military strikes on Syria and Lebanon, as it can today.
If Iran were to reach the threshold of a nuclear weapons state, Tehran would find it much easier to call on its allies in Syria and Hezbollah to strike Israel, knowing that its nuclear weapons would serve as a deterrent to Israel responding against Iran itself» (...)

«Bringing down Assad would not only be a massive boon to Israel's security, it would also ease Israel's understandable fear of losing its nuclear monopoly. Then, Israel and the United States might be able to develop a common view of when the Iranian program is so dangerous that military action could be warranted. Right now, it is the combination of Iran's strategic alliance with Syria and the steady progress in Iran's nuclear enrichment program that has led Israeli leaders to contemplate a surprise attack — if necessary over the objections of Washington. With Assad gone, and Iran no longer able to threaten Israel through its, proxies, it is possible that the United States and Israel can agree on red lines for when Iran's program has crossed an unacceptable threshold. In short, the White House can ease the tension that has developed with Israel over Iran by doing the right thing in Syria».

mercoledì, febbraio 18, 2015

confusione

L'ambiguità è voluta. E' un'arma dei pochi contro i molti. Senza l'ambiguità dei termini e l'ignoranza dei fatti, si sarebbe tutti fatalmente indirizzati verso la razionalità del pensiero. Una situazione, cioè, che rifugge la guerra e il dolore, che ostacola la diseguaglianza, che impedisce la miseria degli uni in favore del benessere degli altri.
I "pochi" (quelli della prima riga di questo commento) non hanno nessun interesse ad appoggiare la razionalità, la consapevolezza, la chiarezza delle idee e dei comportamenti. Specularmente, infatti, ovunque ci sia confusione, c'è qualche parassita disposto ad avvantaggiarsene.
La situazione in Palestina è responsabilità di Israele. Saltiamo a piè pari il prima - si può fare - e occupiamoci dell'ora. Perché nell'ora, nell'adesso viviamo.
Cosa si chiede al cosiddetto mondo ebraico? A un mondo ebraico che mediaticamente sempre sembra pretendere qualcosa in più, non tanto in virtù di propri meriti, quanto di altrui demeriti? Un mondo ebraico che nella narrativa internazionale rivendica a gran voce una posizione di privilegio a scapito di popoli e leggi?
Innanzitutto che si considerino prima di tutto uomini, esattamente come tutti dovrebbero fare. Poi cittadini, per nascita o stabilimento. E che svincolino il proprio essere, umano, da improbabili appartenenze, discendenze e divine investiture.
Si chiede di prendere le distanze dalla patologia del nazionalismo israeliano, di prendere posizione rispetto al giogo imposto su terra altrui, di prendere le distanze dagli arzigogoli politici che per avidità ed interesse rimescolano - ancora - in un'unica indistinta entità i termini antisemitismo e anti sionismo (o anti nazionalismo israeliano).
Quanto si legge da parte, ahimè, quasi indistintamente ebraica, consiste per lo più nell'appoggio acritico ed incondizionato all'irresponsabile, arrogante atteggiamento del piccolo stato che ama definirsi ebraico nei confronti del popolo di Palestina, al depauperamento delle risorse, alla crescita della colonizzazione. E all'occasione fornisce il supporto nazionalista (ma di quale nazione?) contro chiunque prospetti una diversa e ragionevole soluzione del conflitto - effettivo o potenziale - nell'area palestinese e mediorientale.
Leggiamo poi che da parte ebraica le voci fuori dal coro vengono emarginate e sabotate mentre l'accusa di antisemitismo risulta l'arma d'elezione, vergognosa come vergognoso è lo sfruttamento dei morti, da parte di una classe politica e di una grancassa mediatica misere nei contenuti e nelle prospettive.
La possibilità di spartire quella terra - se pure un tempo astrattamente pensabile - è stata annichilita. Si tratta ora di immaginare in quanto tempo e con quanto dolore si possa arrivare all'ipotesi residua di uno stato binazionale.
Gli slogan, le miserie umane e le eredità divine non favoriranno questo percorso.
Potete non essere d'accordo, ci mancherebbe. Me ne farò una ragione.