Guess – Compute
consequences – Compare to experiment and see if it works (Richard Feynman)
Una di quelle cose non necessariamente utili che ti passano per la testa quando ti chiedi quanto diavolo pesa un ipercubo.
Immaginare
il punto adimensionale significa individuare sul piano una mera posizione. Trascinare
poi idealmente il punto sullo stesso piano fino a derivarne un segmento di linea
retta costituito di sola lunghezza, è una convenzione. Cioè, un artifizio
matematico utile a rappresentare figure geometriche ideali nel mondo reale.
Così, per esempio, il volume di un cubo unitario, di spigolo 1, viene costruito
trascinando il punto “di partenza” nelle tre dimensioni conosciute. Ciò è a
dire che originando da un punto che è una semplice collocazione nello spazio (o
nel piano), si può derivare un segmento privo di spessore e qualificato come
distanza tra due punti, cioè costituito dalla sola lunghezza virtuale n e successivamente ricavare un
quadrato, altrettanto privo di spessore, di lato n.
Nella geometria classica si immagina infatti di
“tirare” un ente adimensionale, il punto, fino a ricavarne una entità
geometrica (linea o segmento) definita dalla sola lunghezza quantificata numericamente n, per poi eventualmente ricavarne un
quadrato di superficie convenzionale n2
sul piano e infine un cubo di volume n3
nello spazio.
La consistenza sul piano e successivamente nello
spazio delle figure così delineate (punto, segmento, quadrato) è puramente
virtuale. Questo perché non è comprensibile, né calcolabile, la massa di un
punto che non ha dimensioni, così come di una linea costituita dalla sola
lunghezza. Né quella di un quadrato dotato di due sole dimensioni, che
consiste, cioè, in una mera estensione sul piano.
Queste figure sono astratte e prive di massa. E
di conseguenza sarebbe altrettanto evanescente la quantità di materia
(massa/peso) del cubo tridimensionale che matematicamente se ne può derivare.
Della figura tridimensionale così idealizzata e
rappresentata da un volume è infatti impossibile immaginare la massa. Cioè, ci
dovremmo chiedere prima quanto pesa un punto virtuale, o una linea ad una sola
dimensione e poi qual è il peso delle infinite superfici virtuali quadrate necessarie
a comporre un cubo immaginario. (TAB A)
Inventiamoci allora innanzitutto un punto
materiale “pesante”, cioè un macroscopico “quanto”
la cui massa minima, sia l’unità. Un oggetto per noi tridimensionale, che per
comodità di calcolo assumiamo di forma cubica, che abbia spigolo 1 e massa 1. Idea
che peraltro va d’accordo con la granularità della natura.
Dal nostro punto “di partenza” (che vediamo quindi come un piccolo cubo, per esempio, del peso di un chilo), possiamo poi costruire un oggetto, che considereremo bidimensionale, ma già dotato di massa, che chiameremo comunque “segmento” e che visivamente sarà costituito dalla somma di due cubi contigui. Sarà, cioè, un piccolo parallelepipedo di spessore 1, lunghezza 2 e massa 2.
Dal segmento come sopra indicato, potremo poi derivare
un quadrato di spessore 1, superficie n2
(4) e corrispondente massa m2
(4) e infine un cubo di volume matematico n3 (8) nel mondo tridimensionale.
Pensando alla consistenza del nostro oggetto
nel mondo oltre la terza dimensione percepita, la sua massa non potrà essere
quella portata dalle figure ontologicamente appartenenti al solo spazio
tridimensionale (in cui al cubo di volume n3
corrisponde massa m3). Dobbiamo
quindi immaginare che la sua sostanza (massa/peso) sia adeguata alla sua natura
oltre la terza dimensione. E’ infatti
intuibile che non solo l’ipercubo cui vogliamo pervenire sia esteso in quattro o
più dimensioni, ma che ovviamente lo siano stati anche i cubi unitari minimi
(quanti) di partenza, che appartengono sin dall’origine al mondo a quattro, a
cinque o a N dimensioni.
Assumiamo quindi che le masse delle unità che
andranno a formare l’oggetto destinato nel nostro esperimento alla quarta e
successive dimensioni, debbano essere adeguate fin dalle sue componenti minime
al mondo a quattro o più dimensioni. (TAB
B)
In altri termini, una quarta o quinta o
successiva dimensione c’è o non c’è. E se c’è (proprio quello che stiamo
ipotizzando), non vi è ragione perché il cubo unitario – cioè il punto “di partenza” – così come le altre
figure di transito non siano, esse per prime, estese e quindi “pesanti” quanto
suggerisce la loro natura di oggetti della quarta o quinta o successiva
dimensione. Natura per noi invisibile e ben difficilmente immaginabile, ma non incommensurabile.
Lanciamo quindi matematicamente il nostro
oggetto nella quarta dimensione (n4)
e chiamiamo fantasiosamente quantità
la sua consistenza/dimensione nel mondo quadridimensionale, cioè quella che non
possiamo vedere. Pesiamo poi i quanti/massa che derivano dalle successive
operazioni e annotiamo – al passaggio dalla seconda, alla terza e poi alla
quarta dimensione – gli aumenti di volume, quantità e massa in modo
esponenziale.
Al cubo campione derivante dal quadrato di lato
2 (che diventerà di quantità n4 (16), cioè sedici unità,
nella quarta dimensione) corrisponde un ipercubo che ha massa n8 (256) unità.
La progressione esponenziale attivata
considerando il rapporto tra dimensione e massa di questo oggetto, ci mostra poi
che ad un cubo “n+1”, derivante dal
quadrato di lato pari a 3 unità, già proiettato nella quinta dimensione, corrisponde
una misura di 81 unità della quarta dimensione e una massa di ben n8 (6,561) unità. Con il
passo successivo sino alla quinta dimensione ricaveremo una invisibile quantità virtuale di 35 (243) unità e una massa
di 59,046 unità. (TAB C)
E qui ci fermiamo perché è sorprendente immaginare
il nostro oggetto/evento a cinque dimensioni in relazione ai metri e ai chili
terrestri della parte che possiamo percepire.
Non so se è “oscura”, ma sembra un bel po’ di materia. Un vero peccato non poter vedere come è fatta.
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