Pur
ragionevolmente certi che nulla nell’universo evapori in nulla, resta il
terrore della perdita di soggettività e coscienza che ci ha imposto per
millenni l’illusione che il nostro essere fosse molto più di un miscuglio di
particelle fortunosamente compattate in forma e sostanza poco diverse da quelle
di un sasso.
Abbiamo
quindi immaginato di essere destinati all’immortalità senza considerare il
fatto che con il sasso abbiamo molte più cose in comune di quelle che ci siamo
fatti regalare dalle molteplici divinità psicopatiche costruite con i nostri
tratti e più spesso con le nostre passioni, emozioni e paure, aggiungendo - per
noi - quella di finire arrostiti se non seguiamo i loro suggerimenti.
E
tra esse la paura assoluta del dopo quale elemento intrinseco nella percezione unidirezionale
del tempo.
Il
tempo quindi abbiamo costruito e del tempo e della sua direzione abbiamo teorizzato
innumerevoli tracce. Tante da farci ritenere indispensabile la sua
considerazione a fianco di ogni cosa. E da ultimo, seppur tra alterne vicende, la
sua collocazione quale componente bizzarra e inscindibile del mollusco
gravitazionale teorizzato da Albert Einstein.
Tra
queste tracce subito emerge quella istintiva, culturale e psicologica, costituita
dalla sensazione soggettiva dello scorrere del tempo, dalla percezione di un
prima e di un dopo, accompagnata dalla constatazione di impermanenza dell’essere
umano. Per cui c’è un inizio e c’è una fine. E poi il principio di causalità –
ovvero il rapporto causa-effetto – con la consequenzialità temporale degli
eventi esemplificata in una delle prime possibili elaborazioni mentali del cucciolo
di animale: se piango mi accudiscono. E ancora, la traccia istituzionale e
scientifica della seconda legge della termodinamica, la necessaria evoluzione da
caldo a freddo, da bassa ad alta entropia.
Ma impegnandoci possiamo aggiungerne a piacere secondo il consueto esercizio
di estrapolare tutto ciò che confermi le nostre convinzioni. Così il percorso
radiale dell’onda elettromagnetica, la funzione d’onda quantistica, che collassa
ma non si è seriamente ipotizzato il contrario, la traccia cosmologica di espansione
dell’universo verso una situazione sempre più disordinata e la formazione dei
buchi neri se si dà credito all’idea di infinito e all'emergere di una singolarità.
Chissà
se nel piccolo di uomo e di animale nasce prima la sensazione del tempo che
passa o sia prima apprezzato il principio di causa ed effetto, che gli insegna immediatamente
che al pianto e al lamento corrisponde l’essere consolato e nutrito o comunque
una reazione.
Certo
è che piuttosto velocemente si attestano altri condizionamenti che valgono a
scolpire la percezione soggettiva del tempo come ripetizione o come durata
e soprattutto come limite per la
consapevolezza di essere solo episodi destinati a morire.
Nonostante
queste ed altre tracce, il tempo non è tuttavia un elemento fondamentale della
natura. Non riusciamo infatti a definire il tempo in se stesso e lo costruiamo come
variabile del tutto arbitraria, appurato che la vita biologica è a termine, mettendone
in relazione il percorso con il verificarsi di eventi della natura quali il
sole che sorge e tramonta, le fasi della luna, il movimento di un pendolo, il
battito cardiaco o in generale un’oscillazione ed ogni sorta di vibrazione.
Cioè, non sappiamo cosa sia il tempo, ma per questioni pratiche abbiamo dovuto
misurarlo facendo riferimento a quel che vedevamo del mondo intorno a noi: sarò
di ritorno tra due albe e due tramonti, con la nuova luna, quando la clessidra
sarà stata girata venti volte.
Superata
nel secolo scorso l’idea di un tempo assoluto quale elemento fondamentale valido
per l’intero universo, percepiamo oggi che il tempo non è un evento, ma un’utilità
nel nostro mondo macroscopico ed impariamo da ultimo che la sua essenza non può
comunque essere separata da quella dello spazio, qualsiasi cosa siano l’uno e
l’altro.
Ma
dobbiamo ammettere che la traccia termodinamica, in quanto opposta alla sopravvivenza
stessa dell’uomo, è proprio il motivo principale su cui poggiamo la nostra
percezione del tempo che passa e la consapevolezza dei limiti al nostro essere.
Traccia assai tenace posto che la nostra posizione biologica va in qualche modo
controcorrente rispetto al percorso dell’universo verso l’equilibrio, che
prevede espansione e raffreddamento. Siamo infatti un sistema – quello
biologico – che combatte per mantenersi in uno stato di bassa entropia, lontano
dall’equilibrio termico, nutrendosi in modo piuttosto complicato dell’energia che
in sostanza ci proviene dal sole.
Perché
questo bisognerebbe accettarlo. Cioè che i caratteri della nostra coscienza di
esistere siano solo un pregevole squilibrio che ci ha allontanato ma non
affrancato da un percorso che sembra orientato in tutt’altro modo. Quello per
cui tutto, pianeti e galassie, tutti noi e possibili miliardi di altre e
diverse entità vitali disperse quali microscopiche ed impercettibili increspature
dell’universo, si possa andare verso la deprimente eternità della morte termica.
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