venerdì, agosto 15, 2008

Ossezia, corrente e controcorrente

Poche ore fa, riferendo la martellante retorica del presidente americano sulla crisi in Georgia e Sud Ossezia, un importante notiziario italiano ha ipotizzato che George W. Bush si sia fatto cogliere in contropiede dagli eventi. C'è di che preoccuparsi. Per la crisi naturalmente, ma anche per l'autorevole rilancio occidentale di un'ipotesi che, in particolare negli USA, verrebbe considerata una via di mezzo tra la propaganda e l'assurdità. Per parte nostra ricordiamo che la guerra sporca tra gli imperi viene rivenduta sempre quale lotta tra i buoni e i cattivi ed è quindi utile non confidare nella tranquillizzante linearità di situazioni in cui in realtà nessuno è innocente.

Leggendo qui e là, la semplificazione è la regola e l'enfasi delle dichiarazioni politiche appare quantomeno eccessiva. Il punto di vista del presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, apparso in un fondo del Washington Post del 14 agosto (poi rimbalzato in Italia: Il Tempo), è un misto di retorica e di luoghi comuni: "L'invasione russa della Georgia colpisce al cuore i valori occidentali e il nostro sistema di sicurezza del ventunesimo secolo. Se la comunità internazionale permette alla Russia di distruggere il nostro stato democratico e indipendente, sarà come dare carta bianca ovunque ai governi autoritari. La Russi non intende distruggere solo un paese ma un'idea. Per troppo tempo abbiamo tutti sottovalutato la durezza del regime a Mosca. La giornata di ieri (mercoledì 13 agosto) ha portato nuove prove della sua doppiezza: entro le 24 ore dall'accordo della Russia al cessate il fuoco, le sue forze si scatenavano attraverso Gori; bloccavano il porto di Poti, affondavano vascelli georgiani; e - ancora peggio - cancellavano brutalmente villaggi georgiani dell'Ossezia meridionale, violentando le donne ed uccidendo gli uomini".

Sempre Saakashvili rincara la dose, aggiungendo che "da quando il nostro governo democratico è giunto al potere dopo la Rivoluzione delle Rose nel 2003, la Russia ha fatto uso di misure di embargo economico e ha chiuso i confini per isolarci e ha illegalmente deportato migliaia di georgiani in Russia. Ha cercato di destabilizzarci politicamente con l'aiuto di oligarchi criminali. Ha cercato di congelarci per sottometterci facendo esplodere cruciali gasdotti nel cuore dell'inverno. Quando tutto ciò non è riuscito a scuotere la determinazione del popolo georgiano, la Russia ci ha invaso. La settimana scorsa, la Russia, agendo per procura tramite i separatisti, ha attaccato diversi pacifici villaggi controllati dalla Georgia in Ossezia meridionale, uccidendo civili innocenti e danneggiando le infrastrutture. Il 6 agosto, poche ore dopo che un alto funzionario georgiano si era recato in Ossezia meridionale nel tentativo di negoziare, è stato lanciato un massiccio attacco contro insediamenti georgiani. Anche mentre eravamo sotto attacco, ho dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nella speranza di evitare una escalation e ho annunciato la nostra disponibilità a parlare con i separatisti con qualsiasi formula. Ma i separatisti e i loro padroni russi sono stati sordi ai nostri appelli di pace".

Di tutt'altro segno la Pravda, il Guardian e molta parte delle testate indipendenti americane, per cui il presidente georgiano Saakashvili è considerato né più, né meno che il burattino di un governo installato con un colpo di stato (la cosiddetta "Rivoluzione delle Rose") orchestrato dagli USA. Così Paul Craig Roberts, su pravda.ru, riferisce che l'ambasciatore M.K. Bhadrakumar (ex diplomatico indiano) lamenta la disinformazione sparsa dal regime di Bush e dichiara che sino dall'insorgere di violenze in Ossezia del Sud la Russia aveva cercato di interessare - nel totale disimpegno di Washington - il Consiglio di Sicurezza dell'ONU per ottenere che venissero deposte le armi in Georgia e Sud Ossezia. Sempre Roberts, sulle cause della crisi, è lapidario: "E' certo che l'invasione georgiana dell'Ossezia del Sud è stata un evento orchestrato dal regime di Bush. I media ameriani e i think tank neoconservatori erano pronti con i loro attacchi propagandistici. I neocon avevano pronto un editoriale di una pagina sul Wall Street Journal in cui Saakashvili dichiara che "la guerra in Georgia è una guerra per l'Occidente".

Esordisce con un rapporto piuttosto deciso Mike Whitney, su Counterpunch del 14 agosto ("Georgia and U.S. Strategy"): "L'esercito georgiano armato e addestrato dagli americani ha invaso l'Ossezia del Sud giovedì scorso (ndr il 7 agosto) uccidendo circa 2000 civili, costringendo 40 mila sud osseti a fuggire oltre il confine con la Russia e distruggendo gran parte della capitale Tskhinvali. L'attacco non è stato provocato e ha avuto luogo 24 ore piene prima che un solo soldato russo mettesse piede in Ossezia del Sud. Non di meno, la grande maggioranza degli americani crede ancora che l'esercito russo abbia invaso per primo il territorio georgiano. La BBC, l'AP, la NPR, il New York Times e il resto dell'establishment mediatico hanno abbondantemente e deliberatamente fuorviato i lettori facendo credere loro che la violenza in Ossezia del Sud sia stata provocata dal Cremlino. Per chiarezza, non è così. Per il vero non c'è disputa sui fatti, eccetto che tra la gente che si affida alla stampa occidentale per ottenere informazioni. A prescindere dalla loro stabile mancanza di credibilità, i media tradizionali continuano ad operare come arma della propaganda del Pentagono".

Di più, Whitney ricorda che l'ex presidente russo Mikhail Gorbachev ha fornito un riassunto preciso e sintetico degli eventi in un editoriale sul Washington Post del 12 agosto ("A Path to Peace in the Caucasus"): «Per un certo tempo è stata mantenuta una relativa calma in Ossezia del Sud. Le forze di peacekeeping composte da russi, georgiani e osseti, hanno adempiuto al loro compito e gli osseti e georgiani che vivono gli uni accanto agli altri hanno avuto almeno qualcosa in comune (...) Quello che è accaduto la notte del 7 agosto va al di là del comprensibile. L'esercito georgiano ha attaccato la capitale sud osseta di Tskhinvali con lanci multipli di razzi intesi a devastare larghe aree (...) Iniziare un attacco militare contro degli innocenti è stata una decisione irresponsabile le cui tragiche conseguenze per migliaia di persone di differenti nazionalità sono ora chiare. La leadership georgiana poteva fare questo solo con il sostegno esplicito e l'incoraggiamento di una forza molto più potente. Le forze armate georgiane sono state addestrate da centinaia di istruttori USA e il loro sofisticato equipaggiamento militare è stato comprato in una quantità di paesi. Questo, insieme alla promessa di entrare a far parte della NATO, ha incoraggiato i leader georgiani a pensare che se la potessero cavare con un "blitzkrieg" (guerra lampo) in Ossezia del Sud (...) a cui la Russia ha dovuto rispondere. Accusarla di aggressione contro la "piccola indifesa Georgia" non è solo ipocrita, ma dimostra mancanza di umanità».

Davvero, non è solo ipocrita. E' spudorato. E' ovvio che nessuno vuol fare qui l'apologia del metodo imposto da Putin e del suo atteggiamento dittatoriale nei confronti della dissidenza e dell'informazione, né della indiscriminata violenza del suo esercito (anche nella particolare occasione "si spara ai giornalisti"), né giustificare la politica russa nel Caucaso (chiunque abbia presente azioni e reazioni e crimini in seno alla crisi cecena sa di cosa parliamo) e tantomeno si vuole passare sotto silenzio lo strangolamento o l'invasione di stampo sovietico delle repubbliche ex sottoposte di Mosca, ma questi sei giorni di spargimento di sangue hanno innescato - precisa Seumas Milne sul Guardian - lo scarico (mai termine fu più adeguato) della più nauseante ipocrisia da parte dei politici occidentali e del mainstream mediatico loro generalmente asservito. L'establishment neocon americano, con il consueto codazzo di omologhi occidentali, ha infatti parlato immediatamente e solo di aggressione russa laddove, viceversa, Milne sostiene testualmente si tratti di "una storia di espansionismo USA".

Tant'è. Per i russi l'occidente è oggi nuovamente visto come il nemico. George W. Bush (considerato imbecille in patria dove molti ancora dubitano che abbia personalmente le capacità per essere un serio criminale) ci ha messo del suo. Ha fatto di più. Incurante del ridicolo o forse leggendo un appunto preparatogli dalla solerte Segretaria di Stato su predisposizione della junta che lo ha accompagnato sinora, ha accusato la Russia di avere "invaso uno stato sovrano" e di "aver minacciato un governo democraticamente eletto", aggiungendo ancora oggi che "bullismo e intimidazioni non sono modi accettabili per condurre la politica estera nel 21° secolo".

In proposito si sono chiesti al Guardian - e ci chiediamo noi - se sia questa la stessa accozzaglia di fanatici guerrafondai con lo stesso "illuminato portavoce" e per conto degli stessi governi che nel 2003 hanno invaso e occupato uno stato sovrano, l'Iraq, con pretesti e prove fasulle, a costo di centinaia di migliaia di vite umane. O se facciano parte degli stessi governi che hanno bloccato un cessate il fuoco, nell'estate del 2006, consentendo ad uno stato cliente e alla canaglia militare che lo dirige di polverizzare le infrastrutture libanesi e di uccidere più di mille civili come (pretestuosa perché preordinata) rappresaglia alla cattura di cinque soldati. Se sono gli stessi che mantengono sotto mortale ricatto un milione e mezzo di palestinesi punendoli del loro governo, anch'esso democraticamente eletto. Se sono gli stessi che alla faccia della Carta dell'ONU, dei risultati delle indagini dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, del Trattato di non proliferazione nucleare e dei risultati esposti dai loro stessi servizi di intelligence (NIE), minacciano di una guerra tendente al nucleare un altro stato sovrano. Se sono gli stessi che brigano malamente da anni (facendosi peraltro sputtanare dai servizi segreti domestici) per rovesciarne il regime, opinabile finchè si vuole, con l'aiuto di un'accozzaglia di ciarlatani, delinquenti internazionali e lacchè occidentali.

Sì, in parte sono gli stessi. E a quanto sembra non sono neppure in grado di provare vergogna. Allora come adesso. Ma con qualcuno e qualcosa in più. Non parliamo infatti dei consueti, svalutati e risibili Bolton, Cheney, Feith, Rumsfeld, ma - come precisa Whitney su Counterpunch - di personaggi ben più acuti, del calibro di Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, di Richard Holbrooke (plenipotenziario di Clinton nei Balcani) e di Madeleine Albright, tutti collegati per ora al carro di Barack Obama, forse in attesa di dimostrare al mondo che anche l'insipienza beluina del governo uscente potrebbe essere semplicemente un punto di partenza.

Sempre Mike Whitney ci ricorda infatti che proprio Brzezinski (architetto della campagna dei Mujaheddin orchestrata dagli USA contro i russi nell'Afghanistan occupato degli anni 80), nel suo "La Grande Scacchiera - Il primato americano e i suoi imperativi geostrategici", ha scritto che «da quando i continenti hanno iniziato ad interagire politicamente, circa cinquecento anni fa, l'Eurasia è stata il centro del potere mondiale.... La chiave per controllare l'Eurasia è controllare le Repubbliche centrali dell'Asia».

C'è davvero di che preoccuparsi.

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