Questo sentimento, questo timore, si riflette nella paura di contravvenire alla regola che si vuole imposta dalla divinità ed essere per questo puniti e deve, nel disegno di chi ha confezionato il sistema, indirizzare le azioni della comunità per conseguire i vantaggi preordinati alla creazione del sistema stesso, quali sono stati – storicamente, a titolo esemplificativo – la conservazione del patrimonio e l’aspirazione ad una relativa quanto spesso sterile tranquillità sociale.
In molti casi, ma per lo stesso motivo, la paura è pura manifestazione dell’apparato maschile che ha creato il sistema e sotto questo aspetto è stata per millenni associata alla sottoposizione della donna all’uomo, inteso come maschio, che ne ha poi fatto applicazione nel sistema politico laddove l’autorità del potere si è infine sostituita o aggiunta alla presunta autorità di dio, sovente peraltro corrotta dalla innaturale ed interessata concezione del piacere fisico come situazione premiale per l’uomo, indebita per la donna e peccaminosa per entrambi.
Ma se non c’è la paura, il sistema – qualsiasi sistema, sia esso religioso o sociale – con il venir meno della regola cui la paura è preordinata, crolla.
Così, un sistema ispirato al primitivo principio per cui la forza fisica nel breve periodo prevale e in cui un autore maschio ha disegnato dio a propria immagine anche per trarne un’effimera convenienza, si ribella al dissolversi della paura da cui deriva la sua stessa esistenza. E lo fa nel modo più rozzo e banale, con la violenza.
Sotto un diverso profilo occorre poi aggiungere che al mantenimento del sistema che ha visto nel maschio l’incontrastato dominus di ogni situazione, si è aggiunta fino a tempi recenti (ed anche oggi) la volonterosa collaborazione, in un ruolo subordinato e spesso parassitario, di una donna che ha preferito adeguarsi acriticamente al sistema, facendolo proprio, per raccoglierne qualche residuale vantaggio, ma rendendosi per ciò stesso la peggiore – inconsapevole o subdola – nemica di se stessa.
Con questo non si vuole certo dire che un amante reietto o un padre ignobile elaborino pensieri più profondi di una pozzanghera per giungere a maltrattare e uccidere – ritenendosi abbandonati e disonorati – la compagna o la figlia viste come fedifraghe, ma solo che il loro patrimonio genetico e culturale, così come quello delle donne che non vi si oppongono e per questo lo sostengono, stenta a disfarsi della patologia di un giogo durato millenni, che, fuor della loro testa, è solo volgare ed incancrenito allineamento agli anacronistici vantaggi cui era ispirato.
[La banalità del maschio] *
Nessun commento:
Posta un commento