«"We have to make you do a little sports," the Shin Bet interrogator said, launching four successive days of questioning accompanied by brutal physical torture. The result: Luwaii Ashqar can no longer stand on his feet. He sits in his wheelchair, dressed in a fashionable quasi-military suit, super-elegant, new Caterpillar-brand shoes on his paralyzed feet. "I love this color," he says about his uniform. "It's the color of the soldiers who came to arrest me for the interrogation that did all this to me." His smile is captivating, his Hebrew rich and incisive. He is a young man whose world fell apart. He entered prison sound of body and mind and emerged a broken man. For four days and four nights nonstop, he says, he was interrogated and subjected to torture of the most brutal kind. The result is the person we see before us in the wheelchair, in the elegant home high in the village of Saida, north of Tul Karm, which was placed at his disposal by a friend after he was released from Israeli prison a month ago. Was there a judgment by the High Court of Justice? There was. It banned precisely the types of torture he underwent: the "banana posture," the "shabah" (body stretching with hands tied to a chair), "invisible" blows and the "frog posture" (being forced to stand for hours on the toes in a crouching position) - all the way to a vicious kick to his chest that bent his body backward while he was tied to a chair with his arms and legs, and which was the probable cause of the partial paralysis of his legs. Throwing up with the vomit entering his nostrils, losing consciousness and being given only saltwater to drink, relieving himself in his pants, not sleeping or resting - all of that for four consecutive days and nights ...» [Gideon Levy - Haaretz, 15 giugno 2007]
Gideon Levy ci riferisce il dettagliato racconto di Luwaii Ashqar, 30 anni, arrestato per presunti delitti di "terrorismo" ma senza una formale accusa e torturato fino alla paralisi nelle carceri dello Shin Beth per essere infine condannato, tempo dopo, a 14 mesi di prigione per favoreggiamento e uso di un documento falso. Da una sedia a rotelle il racconto di Luwaii Ashqar è letteralmente sconvolgente. E sconvolgenti sono molti dei talkback all'articolo del quotidiano israeliano per la becera ed astiosa ignoranza che tutto giustifica in virtù dell'odio montato su un fasullo pericolo esistenziale. Mentre l'avvocato Dershowitz, in qualità di autoreferenziato paladino dei diritti umani, nello sforzo di giustificare anche questo aspetto criminale dell'unica sedicente democrazia del medioriente prende ufficialmente posizione a favore della tortura e taluni rappresentanti del nostro Paese, privi del senso della vergogna e del ridicolo, si crogiolano agli ufficiali sorrisi di una dirigenza israeliana al meglio egoista o più spesso corrotta, ma sempre aguzzina, le poche urla di disperazione per la barbara deriva intrapresa dallo Stato Ebraico - da chiunque provengano, anche e soprattutto dal suo interno - rimangono inascoltate. Chi saranno, in futuro (e questa volta davvero consapevoli, perchè documentati) i "willing executioners" immaginati da Goldhagen? E in Europa quanti nostri benedicenti spettatori, disinteressati, in mala fede o semplicemente ignoranti, pagheranno per la patologica e tremebonda omertà regalata, da uno scranno occupato indegnamente, alla gente di Palestina e di Israele ed alla nostra gente in cambio del mandato ricevuto?
giovedì, giugno 21, 2007
mercoledì, giugno 20, 2007
Noi non sapevamo
«Come palestinese sono sconvolto dal fatto che l'Unione Europea e gli Stati Uniti abbiano spalleggiato il cosiddetto "governo d'emergenza" di Mahmoud Abbas nella città di Ramallah occupata dagli israeliani. La legge basilare in Palestina non prevede un tale sviluppo. Hamas, qualsiasi cosa uno possa pensarne, ha vinto le elezioni del gennaio 2006 chiaramente e nettamente. Alla vigilia della sua vittoria, aveva già osservato una tregua unilaterale di un anno con Israele. Secondo il gruppo per i diritti umani B'Tselem, Israele ha ucciso quasi 700 palestinesi nel 2006, dei quali metà erano civili disarmati e 141 erano bambini. Per converso i palestinesi hanno ucciso 23 israeliani. Su quali basi, allora, l'Unione Europea ha deliberatamente evitato i rappresentanti eletti di un popolo sotto occupazione, permettendo agli occupanti di continuare il saccheggio, l'omicidio volontario di civili e il furto di terra per gli insediamenti solo ebraici senza alcun motivo? Hamas ha tentato di entrare nel mainstream politico dalla porta principale, modellando esplicitamente le sue politiche su quelle dell'IRA nel contesto del processo di pace irlandese. La porta gli è stata sbattuta in faccia visto che gli USA hanno costituito una milizia armata inspiegabile e corrotta il cui lavoro è stato quello di minare i risultati di una elezione democratica e l'Unione Europea ha umilmente aderito nell'imporre crudeli sanzioni contro un popolo occupato. Le autorità della UE possono consolarsi pensando di appoggiare un governo palestinese "legittimo". Come studioso di storia europea vedo uno stretto rapporto con i regimi collaborazionisti di Quisling in Norvegia e Pétain in Francia durante la seconda guerra mondiale. L'Europa ha veramente imparato qualcosa dalla sua storia? L'Irlanda ha imparato qualcosa dal suo stesso penoso passato, come dello spettacolare successo del processo di pace nel Nord? Il risultato di queste miopi politiche dell'Unione Europea sarà quello di aggravare la spaccatura tra i palestinesi e dare ad Israele mano libera per continuare la sua violenta colonizzazione di terra illegalmente occupata». [Ali Abunimah - lettera a The Irish Times 19 giugno 2007 - su Electronic Intifada]
venerdì, giugno 15, 2007
Palestina - Separazione illegale
Il Jerusalem Post riferisce oggi, 15 giugno 2007, i proclami di un [innominato] leader di Hamas a margine degli scontri in corso a Gaza. Questi avrebbe dichiarato che nella Striscia di Gaza "ora il laicismo e l'eresia stanno per finire". La testata israeliana enfatizza così la connotazione religiosa degli scontri ed autorizza in occidente i peggiori presagi di sventura islamica circa le sorti della questione umana in quel martoriato spicchio di terra. Ma non è sola. E nulla è più ipocrita del tam tam mediatico in questo momento e nulla è più stupido e superficiale, da parte nostra, del basarci sugli scampoli di malcelata propaganda e sulla semplificazione di una situazione largamente indotta dai nefasti dell'occupazione e dalle lotte di potere patrocinate in quella terra in funzione governativa filo-israeliana. Prima di chiedersi quali saranno i risultati della deriva confessionale incombente su Gaza è forse meglio chiedersi quale sia il motivo scatenante di una promessa radicale islamica a fronte di ben più concrete istanze della popolazione palestinese. Cioè quali siano i fattori determinanti dello sfaldamento dell'ente palestinese in due blocchi, dell'affossamento della soluzione binazionale (propugnata per sessant'anni dall'ONU) e della possibile insorgenza antidemocratica in una minuscola porzione di ciò che resta dell'idea di Stato di Palestina. Chiedersi quanto la gestione di marca guerrafondaia neocon USA abbia portato al boicottaggio di un governo palestinese democraticamente eletto, alla contemporanea mancata restituzione delle imposte incassate da Israele per conto del governo palestinese, al congelamento degli aiuti internazionali, allo stato di povertà ed alla fame per un milione e mezzo di persone nella sola Striscia di Gaza. Una vittoria di Pirro, questa, per la giunta militare israeliana e per il progetto di egemonia USA. Un disastro per chiunque in quella terra debba continuare a vivere, da una parte o dall'altra del confine tuttora virtuale che separa due popoli per i quali la violenza e l'incertezza sono stati resi pane quotidiano.
«La drammatica disfatta degli USA e delle milizie palestinesi appoggiate da Israele a Gaza, da parte delle forze di Hamas, rappresenta una capitale sconfitta della dottrina Bush in Palestina. Ali Abunimah, co-fondatore del portale Electronic Intifada [ed autorevole patrocinatore della "One State Solution"], esamina come - da quando Hamas vinse le elezioni legislative palestinesi nei territori occupati, nel gennaio 2006 - elementi della leadership dell'anziano movimento dominante Fatah, compreso il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, con i suoi consiglieri, abbiano cospirato con Israele, con gli USA e con i servizi di intelligence di parecchi stati arabi per ostacolare ed indebolire Hamas [...] Il cuore della strategia USA in Asia centrale e sud occidentale, in particolare in Afghanistan, in Iraq, in Palestina e in Libano è quello di installare regimi fantoccio che combattano i nemici dell'America al posto degli USA. Questa strategia si è rivelata fallimentare ovunque. I Taliban stanno riemergendo in Afghanistan. Nonostante l'incrementato impegno gli USA non sono più vicini a sconfiggere la resistenza in Iraq e non possono nemmeno fare affidamento nell'esercito iraqeno. L'esercito libanese, che gli USA sperano di utilizzare come contrappeso nei confronti degli Hezbollah, ha dimostrato scarse capacità [addirittura] contro qualche centinaio di combattenti stranieri infiltrati nel campo profughi di Nahr al-Bared (pur causando morte e devastazione per molti innocenti rifugiati palestinesi). Ora, a Gaza, l'ultimo colpo».
«La drammatica disfatta degli USA e delle milizie palestinesi appoggiate da Israele a Gaza, da parte delle forze di Hamas, rappresenta una capitale sconfitta della dottrina Bush in Palestina. Ali Abunimah, co-fondatore del portale Electronic Intifada [ed autorevole patrocinatore della "One State Solution"], esamina come - da quando Hamas vinse le elezioni legislative palestinesi nei territori occupati, nel gennaio 2006 - elementi della leadership dell'anziano movimento dominante Fatah, compreso il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, con i suoi consiglieri, abbiano cospirato con Israele, con gli USA e con i servizi di intelligence di parecchi stati arabi per ostacolare ed indebolire Hamas [...] Il cuore della strategia USA in Asia centrale e sud occidentale, in particolare in Afghanistan, in Iraq, in Palestina e in Libano è quello di installare regimi fantoccio che combattano i nemici dell'America al posto degli USA. Questa strategia si è rivelata fallimentare ovunque. I Taliban stanno riemergendo in Afghanistan. Nonostante l'incrementato impegno gli USA non sono più vicini a sconfiggere la resistenza in Iraq e non possono nemmeno fare affidamento nell'esercito iraqeno. L'esercito libanese, che gli USA sperano di utilizzare come contrappeso nei confronti degli Hezbollah, ha dimostrato scarse capacità [addirittura] contro qualche centinaio di combattenti stranieri infiltrati nel campo profughi di Nahr al-Bared (pur causando morte e devastazione per molti innocenti rifugiati palestinesi). Ora, a Gaza, l'ultimo colpo».
lunedì, giugno 11, 2007
Lobby - Negata la cattedra a Finkelstein
Non siamo rimasti stupefatti della risposta negativa indotta nella DePaul University alla promozione del più anziano assistente universitario d'America, ma ciò nondimeno è risultata deprimente la sbilanciata decisione del Consiglio deputato all'assegnazione di promozioni e cattedre ed ancor più l'ipocrita comunicazione rilasciata in proposito dal Presidente dell'istituto, Reverendo Dennis H. Holtschneider. Ci siamo chiesti, al riguardo, cosa intenda il religioso, parlando dell'assenza di quelle "rare evenienze" e "ragioni cogenti" che gli avrebbero consentito di ribaltare il verdetto del Board for Promotion and Tenure, diverse dall'evidenza del fatto che Finkelstein ha pubblicamente subito un violentissimo attacco politico anche per aver smascherato la menzognera spudoratezza degli scritti dell'avvocato Alan Dershowitz. Sotto altro profilo bisogna sottolineare che contrattaccando Dershowitz, Norman Finkelstein non si è trovato in una disputa storica sui fatti e sulla loro interpretazione, ma ha dovuto fronteggiare, da un lato, i più bassi standard adottati da un difensore legale professionale, dall'altro, l'assenza di una giuria imparziale, vista l'enorme pressione politica gettata sull'argomento.
Cambiano i suonatori, ma la musica filo-israeliana negli USA resta sempre la stessa. La troviamo e ne estraiamo un campione qui di seguito, a scopo puramente accademico, in una breve intervista a Joel Beinin, professore di storia del Medio Oriente alla Princeton University, attualmente (e fino al 2008) distaccato in qualità di Direttore degli Studi sul Medio Oriente e professore di storia all'Università Americana del Cairo. Beinin, che nel febbraio scorso doveva tenere una conferenza alla Harker School di San Jose, ha appreso, un giorno prima della data stabilita per il suo intervento, che il Jewish Community Relations Council di Silicon Valley era intervenuto nei confronti della direzione dell'istituto e che in virtù di tale intervento la sua conferenza era stata cancellata. Quello che segue è uno stralcio dell'intervista a Beinin, raccolta pochi giorni dopo, il 2 febbraio di quest'anno, dal San Francisco Chronicle. Lo sfogo amareggiato di Beinin è rivolto, nel caso, più all'arrogante sistema lobbistico pro-israeliano negli USA, che all'atteggiamento in Israele, dove la popolazione ebraica è più che altro gratificata di una ignorante ed ottusa leggerezza di intenti.
«...Sono stato tirato su credendo che essere ebreo volesse dire essere attivamente impegnato per la giustizia sociale. Mi sono spostato in Israele pensando di poter seguire questo ideale, eppure molto di quello che ho visto ha messo in forse questa idea [...] Avevo partecipato ai movimenti per i diritti civili in America, picchettando i negozi di Woolworth che non volevano servire gli afroamericani. E in Israele trovai la stessa brusca forma di razzismo. Come poteva questo portare la pace tra i palestinesi e gli israeliani? Pur rimanendo a vivere in Israele cominciai a perorare l'uguaglianza di diritti per i palestinesi come avevo fatto per i neri americani. Le organizzazioni che proclamano di rappresentare gli ebrei americani sono impegnate in una sistematica campagna di diffamazione, censura e incitamento all'odio per tacitare le critiche alla politica israeliana. Affossano il nocciolo etico della tradizione ebraica, agendo come se il più alto significato dell'ebraismo fosse difendere Israele, giusto o sbagliato che sia. Nessuno è risparmiato. Anche il professor Tony Judt dell'Università di New York è arrivato in Israele con un'idea di giustizia. Judt ha imparato, come me, che la maggior parte degli israeliani è "rimarchevolmente inconsapevole del fatto che un popolo è stato buttato fuori dalla sua terra e soffre in campi profughi per rendere possibili le loro fantasie". In ottobre [2006] il Consolato di Polonia a New York ha cancellato una conferenza di Judt per la pressione esercitata dalla Anti-Defamation League e dall'American Jewish Committee. Addirittura gli ex presidenti americani non sono immuni. Jimmy Carter è stato bersaglio di una campagna calunniosa dalla pubblicazione del suo ultimo libro: "Palestina, Pace non Apartheid". Le più veementi critiche su Carter non sono state rivolte sui contenuti [del libro]. Piuttosto lo hanno screditato con attacchi personali, insinuando anche che l'uomo che aveva fatto più di ogni altro presidente americano per la pace tra arabi e israeliani fosse un antisemita. Perchè screditare, diffamare ed imbavagliare quelli che hanno punti di vista diversi? Credo sia perchè la lobby sionista sa che non può vincere basandosi sui fatti. Un'onesta discussione può portare ad una sola conclusione: lo status quo - in cui Israele afferma che solo esso ha diritti ed intende imporre la sua volontà sul più debole popolo palestinese, privandolo in modo permanente della sua terra, delle sue risorse e dei suoi diritti - non può portare ad una pace durevole. Abbiamo bisogno di un dibattito aperto e della libertà di discutere fatti imbarazzanti ed esplorare l'intera gamma delle opzioni politiche. Solo allora potremo adottare una politica estera utile agli interessi americani e possa veramente portare ad una giusta pace per i palestinesi e gli israeliani». [San Francisco Chronicle]
Cambiano i suonatori, ma la musica filo-israeliana negli USA resta sempre la stessa. La troviamo e ne estraiamo un campione qui di seguito, a scopo puramente accademico, in una breve intervista a Joel Beinin, professore di storia del Medio Oriente alla Princeton University, attualmente (e fino al 2008) distaccato in qualità di Direttore degli Studi sul Medio Oriente e professore di storia all'Università Americana del Cairo. Beinin, che nel febbraio scorso doveva tenere una conferenza alla Harker School di San Jose, ha appreso, un giorno prima della data stabilita per il suo intervento, che il Jewish Community Relations Council di Silicon Valley era intervenuto nei confronti della direzione dell'istituto e che in virtù di tale intervento la sua conferenza era stata cancellata. Quello che segue è uno stralcio dell'intervista a Beinin, raccolta pochi giorni dopo, il 2 febbraio di quest'anno, dal San Francisco Chronicle. Lo sfogo amareggiato di Beinin è rivolto, nel caso, più all'arrogante sistema lobbistico pro-israeliano negli USA, che all'atteggiamento in Israele, dove la popolazione ebraica è più che altro gratificata di una ignorante ed ottusa leggerezza di intenti.
«...Sono stato tirato su credendo che essere ebreo volesse dire essere attivamente impegnato per la giustizia sociale. Mi sono spostato in Israele pensando di poter seguire questo ideale, eppure molto di quello che ho visto ha messo in forse questa idea [...] Avevo partecipato ai movimenti per i diritti civili in America, picchettando i negozi di Woolworth che non volevano servire gli afroamericani. E in Israele trovai la stessa brusca forma di razzismo. Come poteva questo portare la pace tra i palestinesi e gli israeliani? Pur rimanendo a vivere in Israele cominciai a perorare l'uguaglianza di diritti per i palestinesi come avevo fatto per i neri americani. Le organizzazioni che proclamano di rappresentare gli ebrei americani sono impegnate in una sistematica campagna di diffamazione, censura e incitamento all'odio per tacitare le critiche alla politica israeliana. Affossano il nocciolo etico della tradizione ebraica, agendo come se il più alto significato dell'ebraismo fosse difendere Israele, giusto o sbagliato che sia. Nessuno è risparmiato. Anche il professor Tony Judt dell'Università di New York è arrivato in Israele con un'idea di giustizia. Judt ha imparato, come me, che la maggior parte degli israeliani è "rimarchevolmente inconsapevole del fatto che un popolo è stato buttato fuori dalla sua terra e soffre in campi profughi per rendere possibili le loro fantasie". In ottobre [2006] il Consolato di Polonia a New York ha cancellato una conferenza di Judt per la pressione esercitata dalla Anti-Defamation League e dall'American Jewish Committee. Addirittura gli ex presidenti americani non sono immuni. Jimmy Carter è stato bersaglio di una campagna calunniosa dalla pubblicazione del suo ultimo libro: "Palestina, Pace non Apartheid". Le più veementi critiche su Carter non sono state rivolte sui contenuti [del libro]. Piuttosto lo hanno screditato con attacchi personali, insinuando anche che l'uomo che aveva fatto più di ogni altro presidente americano per la pace tra arabi e israeliani fosse un antisemita. Perchè screditare, diffamare ed imbavagliare quelli che hanno punti di vista diversi? Credo sia perchè la lobby sionista sa che non può vincere basandosi sui fatti. Un'onesta discussione può portare ad una sola conclusione: lo status quo - in cui Israele afferma che solo esso ha diritti ed intende imporre la sua volontà sul più debole popolo palestinese, privandolo in modo permanente della sua terra, delle sue risorse e dei suoi diritti - non può portare ad una pace durevole. Abbiamo bisogno di un dibattito aperto e della libertà di discutere fatti imbarazzanti ed esplorare l'intera gamma delle opzioni politiche. Solo allora potremo adottare una politica estera utile agli interessi americani e possa veramente portare ad una giusta pace per i palestinesi e gli israeliani». [San Francisco Chronicle]
giovedì, giugno 07, 2007
Lo scienziato e il professore
Continua negli USA, accompagnata da un rilevantissimo tam tam mediatico internazionale, una battaglia accademico ideologica su cui i nostri media nazionali non hanno inteso dedicare, forse, più che qualche goccia di inchiostro. La questione non è di lana caprina, posto fra l'altro che i protagonisti noti di questa vicenda sono due rinomati accademici, estremamente prolifici e se pure a livelli diversi, impegnati ed accesi antagonisti nella descrizione del problema mediorientale. L'attualità della vicenda dice che il potente Professor Alan Dershowitz (cattedratico di Harvard e - secondo alcuni - il più famoso avvocato progressista negli USA) è stato infine messo all'angolo a causa della sua stessa evidentissima operazione di lobbying contro l'assegnazione di una cattedra a Norman Finkelstein (assistente di Scienze Politiche alla DePaul University di Chicago, figlio di sopravvissuti alla Shoah, ha dedicato gran parte della sua vita alla questione israelo palestinese in guisa fortemente critica della politica israeliana e dell'uso opportunistico di quanto ha battezzato, con il suo libro più rinomato, "L'Industria dell'Olocausto"). Sempre più gente sostiene, infatti, che la DePaul University non vorrà negare il riconoscimento accademico al cinquantatreenne assistente di Scienze Politiche, proprio a causa della micidiale campagna denigratoria e delle pressioni su di essa esercitate dall'illustre Felix Frankfurter Professor of Law di Harvard. L'avvocato Dershowitz è quindi passato al contrattacco, utilizzando letteralmente la neolingua di Orwell in ausilio a quel che resta della propria aggressione ideologica "ad hominem" e cercando di stigmatizzare, con l'attribuire loro le ragioni della propria infruttuosa operazione, gli accademici che hanno osato lasciarlo «virtualmente solo nell'opporsi alla cattedra» di Finkelstein. Sappiamo che l'idea basilare della neolingua di orwelliana memoria (nel suo "1984") è quella di rimuovere tutte le sfumature dal linguaggio, confinandolo ad una serie di semplici dicotomie. Ebbene, il neo-apice del velenoso attacco di Dershowitz al valore accademico di Finkelstein e qui più in particolare alla libertà della DePaul University di riconoscere quella competenza nell'assegnargli una cattedra, è una sorprendente e speciosa richiesta all'istituto americano di trascurare doverosamente le pressioni (quelle diverse dalla propria, ovviamente), ritornare al merito e prendere la decisione "giusta", cioè negare la cattedra. Tutti possono ora apprezzare il fatto che - secondo Dershowitz - le sfumature sono state rimosse e i nudi fatti sono sintetizzabili in una semplice dicotomia: «io, il professore, ho ragione e Finkelstein è un malefico antisemita» (virgolettato da me). Il pensiero del rinomato accademico di Harvard diventa così un assioma che non necessita per ciò stesso di dimostrazione. E va da sé che la metà del mondo che la pensa diversamente sui meriti accademici di Finkelstein, sulla sua acuta capacità di analizzare la storia e sviscerare gli argomenti del Medio Oriente e sul suo lavoro in generale, ha torto. Con ciò includendo, nel novero degli sconsiderati, l'Università di Princeton che ha dato a Finkelstein il suo PH.D., milioni di lettori dei suoi libri, centinaia e centinaia di studenti della DePaul University e migliaia di suoi sostenitori nell'ambito accademico. Tra di essi, Noam Chomsky, Avi Shlaim, Raul Hilberg, nonchè - sulla specifica questione della cattedra - Peter Novick. Oltre a me, naturalmente per quel che può valere. La decisione della DePaul è attesa nei prossimi giorni.
Aggiornamento
Alla fine la DePaul University ha negato la cattedra a Norman Finkelstein. Con una comunicazione di venerdì 8 giugno, l'istituto americano ha dichiarato che nonostante il dipartimento di Scienze Politiche e il collegio di "Liberal Arts and Science" avessero raccomandato l'attribuzione della cattedra, il Preside e il Consiglio deputato alla concessione hanno votato contro l'ingresso di Finkelstein. Il Presidente della DePaul, Rev. Dennis Holtschneider ha formalizzato la decisione dichiarando che non ci sono "ragioni convincenti per ribaltare" l'indicazione del Consiglio. In una intervista di ieri, Finkelstein ha detto di essere deluso, ma che la decisione non riuscirà ad imbavagliarlo: "Ho giocato secondo le regole e semplicemente non è stato abbastanza per superare l'opposizione politica alle mie esternazioni sul conflitto israelo palestinese. Questa decisione non varrà ad impedirmi di esprimere dichiarazioni che, per quanto posso affermare in base al giudizio degli esperti nel campo, sono corrette e basate sui fatti" (info sul Chronicle of Higher Education).
mercoledì, giugno 06, 2007
Spettatori
«Silenziosamente, in segreto, al riparo dalle telecamere, la guerra all'Iran è già iniziata. Molte fonti confermano che gli Stati Uniti, determinati alla destabilizzazione della Repubblica Islamica, hanno aumentato gli aiuti ai movimenti armati tra le minoranze etinche degli azeri, dei beluci, degli arabi e dei curdi, che formano circa il 40% della popolazione iraniana. ABC News ha riferito in aprile che gli USA hanno assistito segretamente il gruppo di beluci Jund al-Islam (Soldati dell'Islam), responsabile di un recente attacco in cui sono stati uccisi una ventina di membri della Guardia Rivoluzionaria. Secondo un rapporto della American Foundation, commandos USA operano in Iran dal 2004. Il presidente G.W.Bush ha catalogato l'Iran, insieme alla Corea del Nord e all'Iraq, come "asse del male" nel suo discorso sullo stato dell'Unione nel gennaio 2002. Poi, nel giugno 2003, ha detto che gli USA e i suoi alleati dovrebbero mettere in chiaro che "non intendono tollerare" la produzione di un'arma nucleare in Iran [...] Contrariamente a quanto normalmente si afferma, l'ostacolo principale [ad una escalation della crisi] non è la determinazione di Tehran di arricchire l'uranio. L'Iran ha il diritto di farlo secondo il Trattato di Non Proliferazione, ma ha sempre affermato di essere preparato ad imporsi restrizioni volontarie di quel diritto e ad agevolare ispezioni della AIEA per prevenire ogni possibile utilizzo dell'uranio per finalità militari. La preoccupazione fondamentale della Repubblica Islamica va ricercata altrove. Testimone ne è l'accordo sottoscritto il 14 novembre 2004 con la Francia, l'Inghilterra e la Germania, in base al quale l'Iran ha aderito ad una sospensione temporanea dell'arricchimento dell'uranio sull'intesa che un accordo di lungo periodo avrebbe "procurato fermi impegni sulle questioni di sicurezza". Washington ha rifiutato qualsivoglia impegno del genere e l'Iran ha ripreso il suo programma di arricchimento. L'Unione Europea ha scelto di non seguire una linea indipendente e di seguire le direttive di Washington ...». [Alain Gresh, caporedattore di Le Monde Diplomatique sino al 2005 ed esperto di problemi mediorientali - su Counterpunch]
Semplice, lineare, significativo. La linea perseguita dal governo USA - opportunamente istigato e con il pilatesco beneplacito dell'Unione Europea - non è un braccio di ferro con la Persia di Ahmadinejad. E' la miope, criminale apertura di un capitolo dalle conseguenze imprevedibili. In fondo sono gli uomini e non i governi che fanno la storia. Ed altri, tanti uomini e non governi ne pagano le conseguenze. Altrettanti uomini, quindi, all'occasione, hanno il dovere di urlare la follia dei loro spesso indegni rappresentanti, finchè resta fiato. [pipistro - letta forse da qualche parte chissà quando]
Semplice, lineare, significativo. La linea perseguita dal governo USA - opportunamente istigato e con il pilatesco beneplacito dell'Unione Europea - non è un braccio di ferro con la Persia di Ahmadinejad. E' la miope, criminale apertura di un capitolo dalle conseguenze imprevedibili. In fondo sono gli uomini e non i governi che fanno la storia. Ed altri, tanti uomini e non governi ne pagano le conseguenze. Altrettanti uomini, quindi, all'occasione, hanno il dovere di urlare la follia dei loro spesso indegni rappresentanti, finchè resta fiato. [pipistro - letta forse da qualche parte chissà quando]
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