sabato, gennaio 17, 2009

Gaza e il cane pazzo israeliano

Quanto sta accadendo da ventidue giorni a Gaza è indicibile, ma è anche guerra dei media. La filiale locale della Lobby filo israeliana si è scatenata per ventiquattro ore sulle miserie della nostra informazione televisiva. I peones politici italiani si son dati da fare, da par loro, seminando ulteriore indignazione prezzolata e sostenendo le veline di regime. Ma mentre sui nostri monitor impazzano le sintesi storiche da rotocalco, i proclami di esperti avariati e il pollaio mediatico, altrove emittenti di più accurata fattura e ben altro livello - ma anche fonti indipendenti con mezzi assai più esigui - diffondono il pensiero dei maggiori studiosi della questione palestinese. Di esempi, dalla BBC in giù, ce ne sono a bizzeffe. E' di tutta evidenza che la vergogna non alberga nelle menti, men che meno negli animi, dei molti capintesta istituzionali, dei frequentatori professionisti e dei censori per vocazione che fanno capolino nei nostri media o imbrattano la carta stampata per fornire una versione edulcorata dei crimini di questi giorni.
Sull'episodio mediatico - di una pochezza annunziata - cui si è fatto riferimento, si sono esercitate centinaia di testate in queste ore italiane e si è crogiolata la schiuma politica del bel paese (trascurando con malcelato sollievo la storia, i fatti e la disperazione di quei luoghi). Non merita che il silenzio.
Di seguito trascrivo invece un breve intervento di Avi Shlaim (Professore di relazioni internazionali alla Oxford University), che ha servito nell'esercito israeliano negli anni sessanta ed è considerato uno di maggiori studiosi al mondo del conflitto arabo-israeliano, da una lunga intervista filmata rilasciata a DemocracyNow! il 14 gennaio scorso. Una sola frase, perché basta poco per capire. E per cominciare non c'è molto altro da sapere. Il resto è sangue e tutti già possono vederlo.
"In una prospettiva storica di lungo periodo comincerei dalla creazione dello stato di Israele nel 1948. Ho scritto un libro -che hai menzionato nell'introduzione- che si intitola Il Muro di Ferro: Israele e il Mondo Arabo (Avi Shlaim, The Iron Wall: Israel and the Arab World). E' la storia del conflitto arabo-israeliano dal 1948. E' un libro molto lungo, ma posso riassumerlo in una frase. Lungo i suoi sessant'anni Israele è stato notevolmente restio nell'intraprendere negoziati significativi con le sue controparti arabe per risolvere la disputa tra di essi e sempre troppo disposto a ricorrere alla forza militare per imporre la sua volontà su di essi. L'attuale orribile massacro israeliano della gente di Gaza è l'apice della vecchia politica israeliana di sfuggire alla diplomazia e basarsi sulla forza bruta militare".

"Israel must be like a mad dog, too dangerous to bother" (Israele deve essere come un cane pazzo, troppo pericoloso da disturbare), ha detto a suo tempo Moshe Dayan. Ma non tutti si rendono conto che il cane, reso pazzo dalla sofferenza e dal lutto mai elaborati, sembra indirizzato dall'odio che ormai lo accompagna, con il sangue ingiustamente reclamato, verso un percorso suicida.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

notevole

Anonimo ha detto...

Se l’autobomba con 100 kg di esplosivo piazzata nel parcheggio del centro commerciale “Lev Hamifratz” di Haifa fosse esplosa, come previsto, poco dopo le 21.20 di sabato scorso, il bilancio delle vittime sarebbe stato spaventosamente elevato: l’equivalente, hanno detto gli artificieri, di una decina di attenti suicidi contemporaneamente. Per fortuna l’ordigno si è inceppato ed è stato scoperto in tempo, prima che i terroristi palestinesi riuscissero a trasformare una normale serata di shopping e passeggio in un incubo di morte e devastazione.
L’incidente non fa che ricordare, a noi israeliani, con che chi abbiamo a che fare: con un nemico il cui modus operandi di prima scelta è fare strage di civili, costringendoci a proteggere ogni luogo – dalle scuole ai supermercati, dai cinema agli ospedali – come fossero obiettivi militari.
Molti osservatori sono affascinati da come una società di tipo occidentale, aperta e tollerante, epicentro della civilizzazione ebraica, riesca a funzionare in un ambiente caratterizzato da una belligeranza così spietata. Quando questi estranei ci guardano anche con empatia a lucidità di giudizio, tendono a vedere Israele come uno straordinario esperimento che merita d’essere incoraggiato, nonostante le sue tante imperfezioni.
Gli idealisti utopisti, invece, sia in Israele che all’estero, pretendono da Israele standard di comportamento diversi e unici. Non fanno che domandarsi se ci comportiamo davvero ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette, come modelli di virtù del tutto scevri dei naturali difetti che gravano sui comuni mortali. E quando – sorpresa delle sorprese – scoprono che il nostro comportamento non corrisponde a questo standard, immediatamente ci etichettano come uguali se non peggiori dei nostri nemici (quelli della bomba di sabato nel centro commerciale di Haifa, tanto per intenderci).
Come altrimenti si dovrebbero considerare le testimonianze di soldati che hanno servito a Gaza, sollecitate e diffuse da Dani Zamir, fondatore del corso preparatorio pre-servizio di leva “Yitzhak Rabin” all’Oranim Academic College, presso Haifa? Le quali sostengono che, a causa di “regole di ingaggio troppo permissive” diversi civili palestinesi sarebbero stati uccisi senza vero motivo durante la controffensiva a Gaza. In uno dei più eclatanti casi citati, un paracadutista israeliano avrebbe sparato per errore su una madre palestinese coi suoi due figli. La testimonianza del crimine non consiste nell’eventuale errore (che in guerra può capitare), ma nel fatto che il soldato che ha parlato nella sessione di gruppo di Zamir ha avuto “l’impressione” che il tiratore scelto “non si sentisse troppo male” per averlo fatto. Nel secondo caso citato, una donna palestinese descritta come “anziana” sarebbe stata colpita a cento metri di distanza mentre si avvicinava a una postazione israeliana (forse temevano che si trattasse di un’attentatrice suicida? Le testimonianze raccolte da Zamir non dicono).
Queste “rivelazioni” hanno avuto per tre giorni consecutivi la prima pagina su Ha’aretz, e sono comparse venerdì su Ma’ariv, sebbene Zamir fosse riluttante a rivelare l’identità dei suoi “testimoni”. E non è nemmeno chiaro se gli uomini che hanno preso parte a quella sessione fossero consapevoli che le affermazioni sulle loro “impressioni” sarebbero state pubblicate come “testimonianze” fattuali.
La BBC, che ha dato a malapena notizia della strage sventata per un pelo a Haifa, ha enfatizzato il più possibile le accuse di Zamir: “Soldati israeliani ammettono abusi a Gaza, comprese uccisioni a sangue freddo”. L’International Herald Tribune venerdì ha aperto con “Macabra testimonianza sull’attacco israeliano: soldati riferiscono l’uccisione di civili disarmati a Gaza”. E l’impareggiabile Independent di Londra sparava su tutta la prima pagina: “Gli sporchi segreti di Israele a Gaza”.
Naturalmente altre “rivelazioni” sono in arrivo. Canale 10 ha già scoperto un comandante di compagnia che avrebbe detto ai suoi uomini, che stavano per andare in battaglia: “Voglio aggressività. Se c’è qualcuno di sospetto ai piani alti di un edificio, colpitelo. Se un edificio è sospetto, tiriamolo giù. Quando è o noi o loro, che tocchi a loro”. O cielo! E cosa avrebbe mai detto Zamir della celebre uscita del generale George Patton: “Ricordatevi bene una cosa: nessun bastardo ha mai vinto una guerra morendo per la propria patria, ma facendo morire il bastardo dall'altra parte per la sua”.
Le accuse tutt’altro che provate di Zamir contribuiscono a confondere la distinzione fra “noi e loro”. Ma la verità è che noi non ci ripromettiamo mai di andare a uccidere degli innocenti, e quando accade la nostra società né è profondamente angosciata e scossa. Loro, invece, si dedicano programmaticamente all’uccisione di innocenti, e quando non riescono a farlo ci restano pure male.

(Da: Jerusalem Post, 23.03.09)