sabato, aprile 25, 2020

Il fumo giustifica i mezzi

Francia, 22 aprile 2020. Le Monde pubblica un articolo in cui si sottolinea che secondo i dati preliminari di una ricerca scaturita dall'osservazione clinica nell'hôpital de la Pitié-Salpêtrière (AP-HP) di Parigi, il tasso di fumatori tra i pazienti infetti da Sars-CoV-2 su un campione di circa 350 pazienti con età media di 65 anni sarebbe molto basso, circa il 5% del totale. Per la precisione, il 4.4% con età media 65 anni e il 5.3% con età media 44 anni (tenendo presente che il tabagismo diminuisce in Francia con l'età).

Nel dettaglio l''articolo fa riferimento:
** a uno studio cinese da cui risulterebbe che la percentuale dei fumatori ricoverati per il coronavirus è stata in Cina del 12.6% e quindi assai inferiore alla percentuale dei fumatori in Cina, che è del 28%
** a uno studio francese su 11 mila ospedalizzati secondo l'Assistance publique-Hôpitaux de Paris (AP-HP) per cui la percentuale di fumatori sarebbe dell'8.5% contro una percentuale di fumatori in Francia del 25.4%.
Questi sono i numeri.

La notizia viene comunque riportata su parecchi media italiani.
Il 23 aprile, secondo le notizie on line, l'OMS fa "chiarezza", contestando ogni possibile effetto salvifico del fumo rispetto al virus, ma riproponendo nella sostanza un'unica, generica osservazione per cui - letteralmente - "i fumatori con Covid-19 probabilmente soffrono di condizioni più gravi rispetto agli altri e che queste potrebbero portare a morte prematura". Probabilmente.
Probabilmente sì, ma pur concordando senz'altro sul fatto che i polmoni e il sistema circolatorio di un fumatore siano quasi certamente in condizioni assai peggiori e quindi più suscettibili ad ogni accidente rispetto a quelli di un non fumatore, constatiamo che il panico per una notizia in qualche modo "scandalosa" conduce in men che non si dica all'emissione di altro fumo a fin di bene, con il più totale disinteresse per i (pochi) numeri a disposizione.

Confermando l'impressione che sia stato ritenuto inopportuno indagare il merito, un memorandum dell'OMS cita poi quali ulteriori fattori di rischio, il maneggio di sigarette e narghilè. Cioè il fatto di toccare, magari scambiandosele, attrezzature da fumo... per portarle alla bocca.
Ora, ovviamente nessuno si sogna di invitare al tabacco chi non ne fa uso o non ne ha mai sentito il bisogno, né a a riprendere un'abitudine dannosa da cui ci si sia per avventura liberati. Anzi, i numeri delle vittime dirette o indirette del tabagismo parlano comunque da soli.
Ma trascurare pur piccoli fatti e ricorrere all'intervento dell'uomo nero, come fossimo bimbi che potrebbero pericolosamente avvicinarsi alla marmellata, sembra davvero un po' eccessivo.

mercoledì, aprile 22, 2020

La difesa del complotto


Questo non è un pezzullo di medicina, né di scienza e sapienza. Ce n’è già troppa dell’una e delle altre sui social e su ogni rasserenante pubblicazione, che, come il buon padre di famiglia, dice quel che ogni figlio vuol sentirsi dire: non è successo niente.

Il dott. Montagnier non è un tipo particolarmente simpatico. Ha già 88 anni, è francese, ha un aspetto sanguigno, forse poco autorevole e ha pestato negli ultimi anni code assai sensibili, patrocinando idee omeopatiche, antivaccinali o altrimenti pericolose.

Incidentalmente ha vinto un Nobel, ma tant’è. Chi non ne ha vinto uno?

Da ultimo si è espresso a favore di un’ipotesi manipolativa del nostro Coronavirus – nostro nel senso che ci fa compagnia da mesi e sembra intenda fermarsi in giro ancora un po’ – approvando in sostanza e forse senza particolare approfondimento uno studio, definito all’unisono dai nostri media, con certa stomachevole ironia, “manoscritto”, pubblicato da taluni biologi di New Delhi.

Infatti, nonostante la sovrabbondanza dei successivi allarmati dinieghi e contestazioni a base di improperi e motti di spirito, esiste veramente ed è tuttora in rete lo studio di un laboratorio indiano, pubblicato il 30 gennaio 2020 ma tenuto in sospeso per mancanza di revisione della comunità scientifica (“peer review”) e virtualmente ritirato per un approfondimento da parte degli stessi autori, da cui risulterebbe che la sequenza del 2019-nCoV (altrimenti detto SARS-CoV2) contiene quattro inserti dell' HIV-1. 

Per i biologi del laboratorio indiano è una cosa improbabile (unlikely) che questa circostanza si verifichi in natura e quindi ne hanno dedotto che potrebbe trattarsi di un virus ingegnerizzato.

Magari – dubbio aggiunto con orrore ai livelli più popolari – di un c.d. chimera virus, geneticamente manipolato per aumentarne il potenziale.

Nel caso, da chi? Non si sa, non si saprà mai e comunque non è compito degli scienziati occuparsene. Ma per accomunare altri candidati al più istintivo capro cinese, occorre ricordare che sui media statunitensi  (e non solo) si è parlato di ambigui studi sulle origini del SARS Coronavirus, trasferiti operativamente dagli USA in Cina (a Wuhan) e finanziati dal governo USA su iniziativa del NIAID - National Institute of Allergy and Infectious Diseases di Anthony Fauci.

Ovvio che vada annotato e ripetuto che esistono da tempo abbondanti scritti assolutamente contrari all'ipotesi indiana (in particolare uno studio cino-americano pubblicato con rimarchevole velocità il 4/2/2020 e quello, successivo e meno tranchant, pubblicato su Nature Medicine il 17/3/2020). E poi pareri di segno diametralmente opposto alle deduzioni dei biologi indiani e al disinvolto patrocinio di Montagnier.

Così come sono stati riferiti e ancora sussistono dubbi e incertezze sull’origine e sul meccanismo di diffusione del virus anche da parte dell’establishment militare USA. Ma è stato già detto ed è comunque facile immaginare che le pressioni sul punto – cioè per non farne emergere definitivamente qualcosa, qualsiasi cosa – siano e saranno insuperabili.

Vero, falso o fuffa che sia, ovviamente non ci sono conclusioni. Quelle le possiamo lasciare ai milioni di saggi e scienziati che imperversano vantandosi a vario titolo di saperne in materia più dello stesso virus.

Le note a pie’ di pagina sono state omesse per cattiveria.



sabato, aprile 18, 2020

La difesa del dogma

«...un tale atteggiamento è considerato non privo di risvolti positivi [ed ammesso dallo stesso Popper, quando riconosce che]: "L'atteggiamento dogmatico consistente nell'aderire a una teoria il più a lungo possibile, ha una notevole importanza. Senza questo non potremmo mai scoprire quale è l'effettivo rilievo di una teoria - ce ne libereremmo prima di poter constatare la sua efficacia; e, di conseguenza, nessuna teoria potrebbe svolgere il proprio ruolo, [che consiste] nel conferire al mondo un ordine". Peccato però per il concetto di 'democrazia' nella scienza che sia proprio questo il momento in cui la straordinaria influenza delle élites dirigenti possa giocare le sue carte migliori, vale a dire nella scelta delle teorie che verranno testate ed insegnate per decenni prima che ce se ne possa sbarazzare, e naturalmente allora con altre teorie sempre suggerite da quei gruppi che sono in grado di controllare case editrici, politica editoriale delle riviste, concessione dei finanziamenti ai diversi progetti di ricerca, riconoscimenti pubblici, avanzamenti di carriera, etc.». (Umberto Bartocci - Albert Einstein e Olinto De Pretto, 2006)
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Per questo non stupisce che al sorgere di un'ipotesi 'controcorrente' - sia essa plausibile o peregrina - si accompagni il corrispettivo erigersi a "maître à penser" di un nutrito accrocchio di normalizzatori d'animo o di professione. Si tratta di semplici dilettanti o strutturati professorini, eroi della divulgazione o primedonne del web. Ma anche di moltissimi ordinari ed appassionati seguaci di una campana rassicurante e normalmente immutabile. 
Soggetti tutti costantemente impegnati nell'assicurarsi anche a futura memoria un posto quantomeno morale sul carro del vincitore, ben sapendo su quali ruote sarà poggiato. Chè, quand'anche il dogma dovesse all'occasione cedere di fronte ai fatti, esso sarà aggiustato e opportunamente reindirizzato dai medesimi soloni che ne erano stati un tempo strenui ambasciatori, rimasti naturalmente incollati - salvo possibili scivoloni - al gruppo che comunque decide.
E' ovvio che l'intensità dell'impegno richiesto nella predetta attività di normalizzazione, professionale o amatoriale, sia proporzionale alla consistenza dell'ipotesi scandalosa del momento. Cosa tanto più agevole quanto più chiaramente apodittica sia la teoria alternativa. 
Ne deriva che il nostro normalizzatore si guarderà bene dal dedicarsi alla confutazione di concrete possibilità alternative quando assai più allegramente potrà soffocare il dissenso scagliandosi, con un esempio che tutto copre, contro la prima ed immancabile ipotesi da baraccone.
E' infatti facile ridicolizzare l'idea di un intervento marziano e trascurare con disinvoltura il fatto che possa essere stato il tuo vicino di casa, nell'ombra, a rifilarti una bastonata sul crapino felice.