giovedì, luglio 27, 2006

Terra e pace

Insolenti e bituminose le parole di Simon Peres, il Nobel. Parole che resteranno incollate sulla pelle martoriata di un milione di nuovi profughi libanesi e sui cadaveri neri e secchi di quelli che sono stati oggi bombardati in casa, come sulle decine di migliaia di palestinesi vessati e umiliati e annichiliti, a Gaza e nel West Bank, a Hebron e a Gerusalemme Est, sulle colpe presunte di migliaia di prigionieri politici nelle galere di Davide, detenuti amministrativi trattenuti a piacere senza processo, sulle apparecchiature confiscate ai giornalisti, sui pacifisti maltrattati e bastonati, sugli anziani e le donne lasciati a cuocere e a marcire sotto il sole, tra gli insulti e l'umiliante trafila dei checkpoints, sui bambini che raccolgono gli sputi dei coloni, sugli ulivi sradicati, sull'acqua lesinata e negata. «E con chi dovremmo parlare? Si diceva scambiamo terra con pace, ci siamo ritirati in Libano e a Gaza da terra e mare e dov'è la nostra pace? Hezbollah parla di scambiare i due soldati che ha rapito? E poi? Ne rapisce degli altri? Qui si tratta di capire la crisi in corso. E se anche avessimo previsto l'attacco cosa potevamo fare? Come avrebbero reagito i nostri critici? No, noi ci difendiamo [...] Il dramma è capire cosa vogliono i palestinesi, qual è la loro razionale base di trattativa. Io non capisco ...». Molti non capiscono. Ha detto, scambiamo terra con pace, meglio: restituiamo terra e vogliamo pace. Una storia vecchia. Ma cosa vogliono i palestinesi? E dov'è la pace di Israele? Forse nel ventre sterile di una nazione che sta morendo e uccide il seme dell'altra che non è mai nata.

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