Nazis and Nazi Collaborators (Punishment) Law 5710-1950, 1 Aug 1950. "Crimes against the Jewish people, crimes against humanity and war crimes. 1. (a) A person who has committed one of the following offences - (1) done, during the period of the Nazi regime, in an enemy country, an act constituting a crime against the Jewish people; (2) done, during the period of the Nazi regime, in an enemy country, an a act constituting a crime against humanity; (3) done, during the period of the Second World War, in an enemy country, an act constituting a war crime, is liable to the death penalty. (b) In this section - "crime against the Jewish people" means any of the following acts, committed with intent to destroy the Jewish people in whole or in part: (1) killing Jews; (2) causing serious bodily or mental harm to Jews; (3) placing Jews in living conditions calculated to bring about their physical destruction; (4) imposing measures intended to prevent births among Jews; (5) forcibly transferring Jewish children to another national or religious group; (6) destroying or desecrating Jewish religious or cultural assets or values; (7) inciting to hatred of Jews; "crime against humanity" means any of the following acts: murder, extermination, enslavement, starvation or deportation and other inhumane acts committed against any civilian population, and persecution on national, racial, religious or political grounds; "war crime" means any of the following acts: murder, ill-treatment or deportation to forced labour or for any other purpose, of civilian population of or in occupied territory; murder Or ill-treatment of prisoners of war or persons on the seas; killing of hostages; plunder of public or private property; wanton destruction of cities, towns or villages; and devastation not justified by military necessity".
Come sopra scritto nel testo inglese che si può trovare sul sito web del Ministero israeliano degli affari esteri, il primo articolo della legge istituita nell'agosto del 1950 dal neonato Stato di Israele per la punizione dei criminali nazisti e dei loro collaboratori definì crimine contro l'umanità ognuno di questi atti: assassinio, sterminio, riduzione in schiavitù, uccisione per fame o deportazione o altri atti inumani commessi contro qualsiasi popolazione civile, e persecuzione per motivi nazionali, razziali, religiosi o politici. E definì crimine di guerra ognuno dei seguenti atti: violazioni delle leggi o delle consuetudini di guerra, che comprendono - pur non limitandovisi - assassinio, maltrattamento o deportazione a scopo di lavoro forzato o a qualasiasi altro scopo della popolazione civile di un territorio occupato, assassinio o maltrattamento di prigionieri di guerra o di persone in mare, uccisione di ostaggi, saccheggio di proprietà pubbliche o private, distruzione arbitraria di città o villaggi, devastazione non giustificata da necessità militare.
Alcuni anni dopo, nel 1961, in occasione del processo al tenente colonnello nazista Adolf Eichmann, Moshe Pearlman ebbe occasione di scrivere che non solo Israele ma molte altre nazioni avevano incorporato quei principi nel loro codice penale, continuò affermando che gli stessi principi facevano parte della Convenzione dell'ONU contro il genocidio e precisò infine che "secondo la legge delle Nazioni Unite, nessun governo del mondo ha il potere di legalizzare gli atti di cui Eichmann è accusato". (M. Pearlman, The Capture of Adolf Eichmann - Gerusalemme 1961)
Naturalmente nessuno può oggi immaginare che le sole parole di Pearlman, che in ogni caso furono quelle di un "giornalista" emotivamente coinvolto e non di un tecnico del diritto, possano influire sulle operazioni che la deprimente china morale in cui è stato precipitato lo Stato ebraico ha reso pane quotidiano per la popolazione palestinese, sia per i protagonisti miserabili che per i ricchi e talvolta corrotti dirigenti della sua disperata resistenza. Ma i principi fondamentali del diritto e del diritto internazionale suggeriscono la correttezza, almeno in questo, del suo pensiero. Davanti allo sdegno e all'orrore esibiti ad Israele e al mondo in occasione del processo ad Eichmann (un alacre e scrupoloso burocrate, ufficiale nazista esperto di questioni ebraiche, spettatore condiscendente alla formulazione della soluzione finale, organizzatore di deportazioni sistematiche e in ultima analisi dello sterminio di centinaia di migliaia di persone), la legge emanata dallo Stato ebraico nel 1950 consentì di allargare la definizione dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra e non consente viceversa, oggi, per un intuitivo principio di giustizia, da un lato di circoscriverne contenuti e conseguenze ai delitti commessi dai soli nazisti nel solo periodo del regime nazista, dall'altro di trascurare il fatto (sottolineato appunto da Pearlman) che l'orrore universalmente suscitato dai delitti commessi nel periodo nazista avrebbe. da allora in avanti, a maggior ragione, impedito a un governo - a qualsiasi governo e per qualsiasi motivo - di legalizzare quelli o analoghi crimini. Ciò che il diritto internazionale appunto non consente.
Sbaglierebbe tuttavia chi assimilasse - come è in effetti accaduto - l'acuta patologia che ha originato il delirio nazista e lo sterminio alla situazione venutasi a creare in Palestina con l'imposizione dello Stato di Israele. E ciò non tanto e non solo per la differenza nei metodi, nei numeri e nei presupposti, quanto per la paziente originalità del disegno sionista, come sembra programmato all'annichilimento dell'ingombrante popolazione della "terra senza popolo" e finalizzato a guadagnare lo spazio destinato, in via esclusiva, ad esso "popolo senza terra". Sotto questo aspetto non è necessario cercare nel passato gli esempi più atroci e, si spera, irripetibili di epurazione. Il tentativo tuttora infruttuoso di annientare in modo internazionalmente presentabile il problema costituito dall'esistenza della gente di Palestina non ha avuto infatti bisogno di modelli, né di precedenti ed ha anzi goduto, oltre che di un consenso ingiustificato e largamente basato sulla necessità di rimozione, sulla propaganda e spesso sulla menzogna, di una sua criminosa e strisciante singolarità.
Nessuna esplicita teoria razzista è stata necessaria per legittimare agli occhi del mondo, nel secondo dopoguerra e ancora oggi, la costituzione di uno Stato esclusivamente ebraico, innanzitutto perchè il concetto stesso di razza come discriminante mal si adeguerebbe alle circostanze di fatto (nonostante frequenti riferimenti all'antisemitismo che, a priori, si è detto ancora animare i popoli arabi come, di preferenza, il resto del mondo) e in secondo luogo perchè Israele, avendo ereditato lo status secolare di persecuzione dei suoi componenti, acuito poi all'estremo limite negli orrori della Shoah, ha potuto largamente usufruire di un enfatizzato ricorso al principio e alla pratica dell'autodifesa nei confronti di quella che - a torto o a ragione - viene presentata come la perpetua minaccia alla sua stessa esistenza.
Al riguardo è legittimo quindi chiedersi se molta parte dell'atteggiamento assunto da tutti i dirigenti dello Stato ebraico e da una parte ondeggiante del paese nei confronti della comprensibile ostilità politica del mondo arabo e, al suo interno, nei confronti della soggiogata gente di Palestina, non sia il frutto della coesistenza di fattori ed interessi materiali con la irrazionale esasperazione dei sentimenti indotta in un popolo che aveva dovuto subire la duplice traumatica vergogna derivante dai ricordi della Shoah e della Nakba, poi concretatasi in un miscuglio di rimozione e spirito di rivalsa. E a questo dovrebbe aggiungersi (senza nulla togliere alla concomitante capacità palestinese di creare situazioni esplosive e di perdere al tavolino della diplomazia anche le guerre vinte) il determinante ed interessato intervento o la colpevole condiscendenza di tutti i governi e di tutte le comunità che, direttamente o indirettamente, avevano lasciato che si consumasse una criminale ingiustizia e di seguito avevano trovato il modo di autoassolversi assistendo con colpevole disinteresse all'evolvere di una seconda brutale ingiustizia.
Sia quel che sia, quasi sessant'anni dopo l'emanazione della legge fatta per punire i criminali nazisti, proprio in Israele sarebbe stato doveroso fare tesoro della inaccettabile e traumatica esperienza subita dal popolo ebraico in Europa e di tutti coloro i quali, dopo aver assistito passivamente alla distruzione di intere popolazioni non avrebbero mai più potuto dire "io non sapevo". E sarebbe stato necessario interiorizzare un principio assoluto esprimendo, nella teoria e nei fatti, la condanna incondizionata dei crimini contro l'umanità. Condanna che non poteva e non può essere relativizzata, sol che si pensi che il farlo era stato a monte delle giustificazioni avanzate da chi si era fatto portatore o zelante esecutore, spettatore o vittima rassegnata degli ordini e delle leggi criminali che avevano agevolato il sistematico annientamento di milioni di persone.
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