sabato, novembre 24, 2007

Pizza annapolitana

A tre giorni dalla Conferenza di Annapolis (Maryland, USA, 27 novembre) - come era fatale - i negoziatori israeliani e palestinesi non sono riusciti a raggiungere un accordo nemmeno sul documento di apertura dei lavori. Le squadre dei diplomatici non dovrebbero più incontrarsi prima di lunedì (negli USA), cioè un giorno prima del summit. Così che appare peregrina l'ipotesi che qualcosa di positivo possa trovare la via della carta. Se, come sembra, le rappresentanze israeliane e palestinesi non fossero poi in grado di formulare neppure una dichiarazione finale, la conferenza si concluderebbe con una dichiarazione del Segretario di Stato USA, Condoleezza Rice e non con una dichiarazione congiunta israelo palestinese.

Nessuno però si dovrebbe stupire, il fallimento dell'iniziativa promozionale di George W. Bush e dei suoi vecchi e nuovi clienti - il claudicante governo israeliano e il delegittimato presidente palestinese Mahmoud Abbas - e con la corte delle comparse, UE in prima linea, era nell'aria. Nè sarebbe potuto essere altrimenti vista l'incompatibilità tra le reciproche istanze della parti su tutti i punti decisivi di un possibile percorso di pacificazione. Ed anche su una bozza di dichiarazione iniziale. Il documento, in itinere, è stato infatti pubblicato da alcuni giorni e nessuno dei punti sensibili ha potuto ricevere la "benedizione" congiunta, anche solo formale, delle parti. Altri punti importanti non sono stati toccati nell'ipotesi di dichiarazione (per esempio gli insediamenti) sicché pure nel caso fosse stata estorto l'assenso all'emanazione di questo inutile pezzo di carta, esso avrebbe sortito un solo effetto concreto, accendere animi che non necessitano di ulteriore sollecitazione.

Ancora ieri una fonte imprecisata (vicina ai negoziatori, a Gerusalemme), secondo il quotidiano Haaretz, appariva possibilista, assumendo fosse stata stabilita una pausa nella stesura della bozza congiunta "in attesa solo di alcune decisioni dei leader" [Olmert e Abbas] in relazione alla scansione dei passi da compiere. Precisava questa fonte: "abbiamo ridotto le distanze e alcuni dei punti in contrasto sono stati semplicemente cancellati dalla dichiarazione per consentirci di andare avanti. Siamo ora al punto di decidere su due o tre parole di ogni questione". Diplomatica esternazione, una goccia di verità (la futura scansione temporale di questo ennesimo "percorso" è tuttora ferocemente dibattuta tra posizioni in assoluto contrasto e i punti decisivi vengono cancellati tout court) in un oceano di disperata menzogna. Siffatta dichiarazione, qualora dovesse vedere la luce, non significherebbe nulla. E sembra oggi assai più realistica la dichiarazione rassegnata del leader di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh: "Abbiamo capito che questa conferenza è nata morta e non sortirà alcun risultato per il popolo palestinese, né soddisferà alcuno dei diritti politici e legali ad esso dovuti".

Per rendersene conto basta del resto una scorsa alla battagliata bozza pubblicata da Haaretz. Alcuni punti per tutti: i negoziatori israeliani insistono per ottenere una prima formalizzazione del riconoscimento di Israele come Stato dei [soli] ebrei, non accettano la menzione di Gerusalemme tra i territori contesi, né la compatibilità del percorso con la risoluzione ONU 194 (sui diritti dei profughi palestinesi). Parte palestinese non accetta che la liberazione di Gilad Shalit (il soldato israeliano catturato nell'estate del 2006) diventi una condizione formale del percorso. Nel documento non si parla di insediamenti, né sotto il profilo di un assetto definitivo, né limitatamente ad un congelamento di quelli in itinere, né del muro in costruzione che strangola il West Bank, tantomeno si parla di confini, né vi è menzione della situazione di Gaza. D'accordo, sarebbe solo una dichiarazione di principi, un preambolo, ma, così com'è, ha lo stesso aspetto di una pagina vuota, inutile o dannosa. Come l'aspirazione del presidente americano a mettere la sua firma, insieme a due leader zoppi - è un eufemismo - sulla vergognosa riedizione dei "disaccordi" di Oslo.

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