domenica, ottobre 02, 2005

Il conflitto arabo israeliano palestinese for dummies (terza parte 1971-1992)

Siamo nel 1971. Come abbiamo detto, la resistenza armata palestinese si è fatta cacciare dalle forze congiunte giordane e siriane verso nord (Libano). Nell’aprile del 1971 non ci sono più basi della guerriglia palestinese in Giordania, ma nel frattempo sono morte più di 4500 persone, di cui 4000 civili. Viene sviluppata una bozza di accordo di pace tra Giordania e Israele che prevede il rientro dell’occupazione israeliana ai confini precedenti il 1967. Israele non accetta e non se ne fa nulla.
In particolare Golda Meir (primo ministro israeliano) rifiuta di restituire il Sinai all’Egitto a richiesta del nuovo presidente egiziano, Anwar el-Sadat (Nasser è morto nel settembre 1970), che spingerà sempre per trovare una soluzione concordata del problema mediorientale.
Nel 1972 il re di Giordania (Hussein) propone la costituzione – sotto di sè – di un “Regno Arabo Unito” tra palestinesi della Cisgiordania (West Bank) e Giordania (East Bank). Proposta che viene naturalmente intesa dagli stati arabi come un modo per annettersi la Cisgiordania e provoca un deterioramento dei rapporti tra Giordania ed Egitto.
La “resistenza palestinese” è viva e attiva e sceglie di interessare platealmente il mondo al problema della Palestina. Sarà una scelta sanguinosa e forse “efficace” dal punto di vista della pressione su Israele, ma comporterà da un lato reazioni anche indiscriminate e dall’altro allontanerà il movimento palestinese da possibili simpatie internazionali. In pratica non porterà alcun vantaggio e procrastinerà di molti anni ogni intervento occidentale in favore della causa palestinese.
Andiamo avanti.
Durante i giochi olimpici del 1972, a Monaco, il gruppo armato palestinese “Settembre Nero” (che ha preso il nome dall’episodio di repressione avvenuto in Giordania due anni prima) sequestra gli atleti israeliani nel villaggio olimpico e ne uccide nove. Come volevasi dimostrare, inizia una rappresaglia durissima da parte israeliana, viene bombardato il Libano (dove nel frattempo si sono insediati i guerriglieri palestinesi) e fino al 1973 seguono una serie di assassini di dirigenti palestinesi in Europa (a Roma e Parigi) verosimilmente orchestrati dal Mossad, servizio segreto israeliano per l’estero, e in Libano (a Beirut).

Nel 1973 dopo l’ennesima richiesta egiziana di restituzione del Sinai (occupato nel 1967), Egitto, Siria e Giordania (con l’aiuto finanziario della Libia di Gheddafi, che dirige una sospensione delle forniture di petrolio per costringere gli USA ad esercitare pressioni su Israele), si accordano per attaccare Israele. Il 6 ottobre 1973 durante la festività ebraica del Kippur (digiuno annuale di espiazione), gli eserciti di Egitto, Siria e Giordania “attaccano” Israele.
E’ il quarto conflitto arabo-israeliano che verrà appunto ricordato come guerra del Kippur.
Ma cosa vuol dire “attaccano”? Che l’esercito egiziano, a sud, passa il canale di Suez e avanza nel Sinai (occupato nel 1967 dalle forze armate israeliane) e l’esercito siriano-giordano cerca di rioccupare le alture del Golan, a nord. Gli è che gli eserciti arabi non sono organizzati e militarmente preparati per affrontare, nonostante la sorpresa, l’esercito israeliano che gode immediatamente del massiccio aiuto militare americano, ed è in grado di reagire ed avanzare in territorio egiziano e in Siria, facendo a polpette gli eserciti arabi, invadere la Siria e arrivare a 30 km da Damasco.
Senonchè, nel frattempo i paesi arabi dell’OPEC (fornitori di petrolio a mezzo mondo) si accordano per ridurre la produzione, bloccare le forniture a USA e Olanda ed alzare il prezzo del petrolio a tutti i paesi filoisraeliani.
Il ricatto economico petrolifero funziona (mai toglierci la benzina a noi occidentali!), il Consiglio di Sicurezza dell’ONU (risoluzione 338) impone un immediato cessate il fuoco e dispone l’inizio di negoziati per una “pace giusta e durevole” in Medioriente.
Il 21 dicembre 1973 è convocata la Conferenza di Pace dell’ONU sul Medioriente e vi partecipano: Egitto, Giordania Israele, URSS e USA.
Intanto si è sviluppata una fazione “politica” più moderata all’interno dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, presidente Arafat), che il 14 ottobre 1974 ottiene dall’Assemblea Generale dell’ONU, con la risoluzione 3210, di partecipare alle deliberazioni plenarie sulla questione palestinese. E’ la prima volta che una persona, in rappresentanza di un movimento di liberazione e non di uno Stato membro, può rivolgersi ed indirizzare le proprie proposte all’Assemblea dell’ONU.
Seguono una serie di risoluzioni che tendono a confermare lo “status” dell’OLP in sede ONU e il diritto del popolo palestinese alla autodeterminazione. (Di queste ultime ce ne saranno a pacchi).
Ma sono tutti d’accordo? Beati e pacifici? Col cavolo!
Il blocco Israele/USA – con la tacita approvazione dell’occidente – tenta (e tenterà sovente) di imporre ai palestinesi una “pace dei vincitori” concedendo, o meglio, restituendo molto lentamente molto meno di quello che era stato tolto. Contemporaneamente vengono incrementati gli insediamenti israeliani in territorio palestinese occupato, la Palestina subisce comunque le decisioni economiche di Israele e fra l’altro deve sottostare alle decisioni israeliane sulla gestione delle risorse d’acqua (che i palestinesi comunque non sanno e non possono gestire), che viene distribuita da Israele a proprio piacimento e a vantaggio dei coloni ebrei.
Nel frattempo – siamo tra il 1973 e il 1974 – il blocco della guerriglia palestinese si è insediato nei villaggi (musulmani sciiti) del sud del Libano, ai confini con Israele, dove ci sono moltissimi profughi palestinesi, ed intende assumere un certo controllo dei locali movimenti indipendentisti (musulmani) e, in prospettiva, far partire dal territorio libanese ogni possibile azione contro Israele.
Israele bombarderà a più riprese le postazioni libanesi dal 1973 in poi.
Le popolazioni locali si trovano tra due fuochi: esercito israeliano da una parte e guerriglieri palestinesi dall’altra. Inizia un’ondata di profughi dal sud del Libano verso Beirut.
Nel 1975 inizia la guerra civile in Libano e la guerriglia palestinese si aggrega al movimento patriottico libanese.e finirà, nel 1976, per combattere anche contro l’esercito siriano che appoggia il governo del Presidente libanese.

Nel luglio 1977 un gruppo di guerriglieri/terroristi del PFLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) dirotta un aereo dell’Air France partito da Israele e lo costringe ad atterrare a Entebbe, in Uganda, paese ostile ad Israele. Il governo israeliano manda in Uganda (con rotta sopra il mar rosso) due Boeing carichi di paracadutisti e quattro Hercules d’appoggio. L’azione sul territorio ugandese dura circa 90 minuti. Vengono uccisi i sette dirottatori, vengono distrutti a terra 11 MIG ugandesi e liberati i 109 ostaggi.
Nel 1978 Israele occupa la parte sud del Libano, dove controlla e si avvale delle milizie mercenarie della South Libanese Army che conducono ogni sorta di sporca azione militare per loro conto, contro i guerriglieri palestinesi, contro i civili e addirittura contro le forze multinazionali nel frattempo inutilmente inviate dall’ONU. Nel marzo 1978, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (n. 425) che impone ad Israele il ritiro immediato e incondizionato dal Libano, ma rimane lettera morta.
Sempre nel 1978 nel sud del Libano nasce il movimento islamico degli Hezbollah.

La situazione dei palestinesi sotto occupazione è intanto talmente grama che su pressione del “blocco arabo” il 10 novembre 1975 l’Assemblea Generale dell’ONU (attenzione: l’Assemblea non ha praticamente il potere di imporre nulla, è il Consiglio di Sicurezza che prende le effettive decisioni vincolanti in campo internazionale) adotta una risoluzione politicamente devastante per Israele - la n. 3379 - che determina che il Sionismo è una forma di razzismo (questa risoluzione verrà annullata dall’Assemblea alcuni anni dopo).
Tra settembre e novembre 1977 a Camp David (USA) venivano intanto stipulati accordi tra Sadat (Egitto) e il primo ministro israeliano Begin, con la mediazione del presidente americano Jimmy Carter. Accordi che pongono la base per il trattato di pace tra Egitto e Israele e del ritiro di Israele dal Sinai. La pace tra Egitto e Israele viene firmata a Washington il 26 marzo 1979. Il Sinai è restituito all’Egitto nel 1980.
Gli Arabi si sentiranno traditi perché Israele, accordandosi con l’Egitto, non dovrà più preoccuparsi di attacchi da sud ed è libero di attaccare il Libano a Nord. Anche per questo Sadat verrà assassinato da killer fondamentalisti nel 1981.

Nel 1982, con la scusa di dare la caccia ai “terroristi”, Israele invade nuovamente il Libano e le sue forze, avvalendosi delle milizie cristiane maronite libanesi, si dirigono a Beirut (dove si trova Arafat con i guerriglieri dell’OLP). Con una mediazione USA, Arafat e i suoi riescono a scappare da Beirut, ma lasciano campo libero ai miliziani cristiano-maroniti sotto il controllo di Israele, che se la prendono con i profughi (civili) palestinesi nei campi di Sabra e Chatila. E’ un massacro: vengono ammazzate – si dice – 1700 persone. Sharon, allora ministro della difesa e presente sul campo, subirà una specie di “processo” affidato ad una commissione israeliana, che attesterà una sua responsabilità indiretta e perlomeno lo costringerà a dimettersi. (Ancora oggi, confidando nell’applicazione di una Legge belga, che consentiva di processare chiunque per crimini di guerra commessi ovunque, i parenti di quei palestinesi hanno tentato di far processare Sharon. Morale, sotto pressioni USA, il Belgio ha reinterpretato la Legge in modo che non la si possa applicare al caso. Ma la questione è ancora in qualche misura aperta.)
Le reazioni internazionali ai massacri di Sabra e Chatila saranno unanimi, ma Israele, nonostante la disapprovazione internazionale e almeno una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delll’ONU, si ritirerà dal Libano solo nel 1985, mantenendo però dei contingenti militari nella fascia sud.

Sempre nel 1985 Arafat, fuggito dal Libano e isolato, stringe un accordo con re Hussein di Giordania, che verrà rotto nel 1986 a seguito di pressioni USA successive ad una serie di attentati terroristici da parte dei palestinesi, tra cui il sequestro della nave “Achille Lauro”. Attentati che vengono unanimemente considerati dannosissimi per la causa palestinese. Tanto che Israele potrà tranquillamente bombardare il quartier generale dell’OLP che si era nel frattempo stabilito a Tunisi.
Tra il 1985 e il 1987 l’OLP è screditata (Arafat pure), ma siccome nei territori occupati la repressione israeliana è durissima, vengono deportati e incarcerati centinaia di palestinesi, vengono costruiti nuovi insediamenti di coloni, le fazioni palestinesi raggiungono una nuova “unità”.

Il 9 dicembre 1987 scoppia la prima intifada (sollevazione).
Intanto Arafat (che riceve comunque – e si tiene – inesauribili fondi ed aiuti, per esempio dall’Arabia Saudita, ma comincia a capire che se non agisce politicamente non ottiene un tubo per il popolo palestinese che in questa situazione prima o poi lo farebbe saltare), rinuncia ufficialmente, nel 1988, al terrorismo e accetta la risoluzione ONU 242, riconoscendo implicitamente l’esistenza di Israele.
Gli è che tenere sotto controllo (soldi o non soldi, politica o non politica) le fazioni più accese di un popolo oppresso non è facile. Arafat deve dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte e non può condannare apertamente le azioni (anche le più violente) dei suoi, che probabilmente in realtà non controlla neppure. Il problema è che Arafat non può ammettere ufficialmente di non avere alcun potere su buona parte della resistenza palestinese. E allo stesso tempo è vecchio, non ha nulla da perdere ed è un osso duro che gli israeliani vorrebbero mettere sotto terra, confidando in una linea più morbida (rassegnata) di chiunque altro.
Quindi la successione sembra essere questa:
- attentato terroristico;
- Israele da la colpa ad Arafat (perchè vuole annichilirlo politicamente);
- Arafat nega ma non può farlo con troppa decisione, sennò vuol dire che non controlla nulla e perde di credibilità tra i suoi.
Comunque così facendo fa anche una serie di errori di opportunità politica imperdonabili. Tace rispetto ad alcune azioni terroristiche ingiustificabili e, soprattutto, appoggia l’invasione irachena del Kuwait nel 1991. Risultato: l’Arabia Saudita gli taglia i fondi e Arafat con l’OLP si ritrova internazionalmente isolato, virtualmente a fianco di un dittatore (Saddam) il cui destino militare e politico è segnato. In altri termini, anche l’odio profondo per Israele e il godimento per qualche missile Scud lanciato su Israele da Saddam (con il popolo palestinese che inneggia, ma questo accadeva in molti paesi arabi senza che i loro governanti si lasciassero andare a dichiarazioni suicide) non dovevano consentirgli di perdere di vista la causa palestinese, un minimo di realismo e di opportunità.

Dopo la Guerra del Golfo, Bush senior (non George dabliù), in previsione dei sempre più importanti e lucrosi interessi nella zona, spinge per stabilizzare l’area mediorientale e sollecita Israele ad incontrare i paesi arabi e alcuni rappresentanti palestinesi (ma non l’OLP di Arafat).
Nel giugno 1992 il Partito Laborista israeliano di Yitzhak Rabin sconfigge il partito di destra (Likud), vince le elezioni e promette un accordo di autonomia ai palestinesi. Con questo non si deve assolutamente pensare che i laboristi israeliani siano stati allora o siano oggi tutti incondizionatamente favorevoli ad una soluzione del problema palestinese. Sicuramente ci ha lavorato e bene Rabin, per questioni di realismo (al di là di quello che uno sente o pensa, in un modo o nell’altro il problema deve esser risolto e nel modo più opportuno e duraturo possibile) e per questo viene assassinato.

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