«Ariel Sharon è nato in Palestina nel 1928, quando la terra era un protettorato britannico. In giovane età si unì al gruppo militare Haganah e combatté nella guerra arabo israeliana del 1948-49, dopo la formazione dello stato di Israele. Fece carriera nell'esercito e nel 1967, da generale, ha guidato una divisione durante la guerra dei sei giorni del 1967. E' stato eletto per la prima volta nella Knesset, il parlamento israeliano, nel 1973, tra le fila del Likud. E' poi stato il capo dei servizi di sicurezza del primo ministro Rabin tra il 1975 e il 1977. E' stato eletto per la prima volta nella Knesset, il parlamento israeliano, nel 1973, tra le fila del Likud. E' poi stato il capo dei servizi di sicurezza del primo ministro Rabin tra il 1975 e il 1977. Dal 1977 in avanti ha ricoperto vari incarichi ministeriali: all'agrigoltura, alla difesa (nel 1982 ha guidato l'invasione del Libano), al commercio e all'industria, alla Casa, alle abitazioni. Tra il 1998 e il 1999 è stato ministro degli Esteri e dal 2001, quando ha sconfitto il laburista Barak, sino ad oggi ha ricoperto la carica di primo ministro. Nei mesi scorsi ha lasciato il Likud per dare vita al nuovo partito centrista Kadima che fino a poche ore prima dalla notizia del nuovo malore era accreditato nei sondaggi del 40% dei consensi in vista delle elezioni del prossimo maggio».
Questa il sintetico riepilogo della vita di Ariel Sharon elaborato giorni fa dal Corriere della Sera (1). In questo breve timeline vengono dimenticati - omissione che si è potuto ritenere dovuta all'uomo morente - almeno tre episodi di qualche importanza nella memoria di chi ha incontrato quest'uomo sulla linea di fuoco, o dall'altra parte della barricata, o semplicemente da un miserabile villaggio di profughi palestinesi. Nel 1953 la forza speciale dell’IDF "Unità 101" condotta da Sharon conduce un raid nel villaggio di Qibya, nel West Bank, nel quale vengono uccisi 69 civili, di cui la metà donne e bambini, in un'operazione di rappresaglia contro gli attacchi dei guerriglieri palestinesi (2). Nel settembre del 1982, con il pretesto di dare la caccia ai “terroristi” palestinesi fuori dai confini di Israele, l’esercito israeliano invade (nuovamente) il Libano. Le forze israeliane, avvalendosi delle milizie cristiane maronite libanesi, si dirigono a Beirut, dove si trova Arafat con i guerriglieri dell’OLP. Grazie alla mediazione USA, Arafat e i suoi riescono a scappare da Beirut, ma lasciano campo libero ai miliziani cristiano-maroniti che, pur sotto il controllo dell’esercito israeliano, se la prendono con i profughi civili palestinesi nei campi di Sabra e Chatila. E’ un massacro: vengono ammazzate - si dice - 1700 persone. Ariel Sharon, allora ministro della difesa, presente sul campo, subirà – in parte sulla base delle sue stesse dichiarazioni – una specie di “processo interno”, cioè un’inchiesta affidata ad una commissione israeliana (3), che attesterà quanto meno la sua responsabilità indiretta nel non avere impedito il massacro. E per questo verrà costretto a dimettersi. Ancora in tempi recenti, confidando nell’applicazione di una Legge belga che consente di processare chiunque per crimini di guerra, ovunque commessi, i parenti di quei palestinesi hanno intrapreso un’azione giudiziaria e tentato di far processare Sharon. Sotto le pressioni degli USA il Belgio ha reinterpretato la Legge in modo che non la si potesse applicare al caso. Nel settembre 2000, in vista delle elezioni che gli avrebbero conferito la poltrona di primo ministro al posto di Ehud Barak, Ariel Sharon si esibì in una provocatoria passeggiata sulla spianata delle Moschee a Gerusalemme, dando motivo ai disordini ed alla esasperata repressione sfociate poi nella seconda intifada.
La vita di Sharon è stata un esempio non raro, ma nel caso micidiale, di ragionata insensibilità e mancata considerazione della libertà e della vita del popolo palestinese espropriato e sotto occupazione, secondo la più accesa e lineare ottica di "land grabbing" ma al di fuori di dichiarate ed esasperanti pulsioni bibliche. Il suo tardivo pragmatismo è apparso dettato dalla raggiunta consapevolezza di dovere infine scegliere il minore dei mali per Israele. Di fronte ad una situazione internazionale che avrebbe potuto cessare di tollerare la perpetuazione di un regime di evidente apartheid e soprattutto in previsione della bomba demografica che, senza confini determinati al di fuori dei quali posizionare un novello Stato di Palestina, pur ridotto ai minimi termini, avrebbe annichilito Israele mettendone in forse l'esistenza nel giro di pochi anni, il disimpegno da Gaza e il contestuale, strisciante incremento dello status di occupazione del West Bank, anche con la costruzione del muro, lasciavano forse intravedere quale fosse la semplice strategia di Sharon. Semplice ma realizzabile solo dopo aver diluito il suo insuperabile odio personale nei confronti di Yasser Arafat nella campagna di delegittimazione che forse ha salvato la vita al presidente palestinese ma che lo ha confinato a morte. Troppo semplice, quindi, la strategia del falco Sharon, ma da considerare alla fine - con altrettanto interessato pragmatismo - un passo importante ed una svolta vitale nella situazione israelo-palestinese sul punto di essere ammorbidita da un nascente e più tranquillizzante governo israeliano di centro indulgente al Labor. E prevedibilmente ma non necessariamente avviata secondo il disegno schematico perseguito da Ariel Sharon. Disegno che, nel bene e nel male, forse è già morto prima di lui, il 5 gennaio del 2006. Forse.
(1) Corriere della Sera
(2) US Department of State Bulletin, Oct. 26, 1953, p. 552.
(3) Kahan Commission e Kahan Commission 2
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8 commenti:
Liquidare come un semplice criminale Sharon è un po' semplicistico; riguardo a stragi che abbia commesso in gioventù, bisogna tener presente che gli arabi, se avessero avuto maggior organizzazione, avrebbero del tutto spazzato via il neonato stato ebraico e massacrato tutti gli ebrei che avrebbero trovato per la strada (obiettivo che molti arabi sognano ancora oggi). Il massacro del '53 va letto in un' ottica in cui gli israeliani lottavano per consolidare il loro pezzo di terra da nemici che se ne avessero avuto le possibilità avrebbero fatto ben di peggio. Riguardo a Sabra-Chatila, non riesco a capire perchè solo questa strage di quel conflitto viene ricordata. Fai una capatina sul sito:
- http://www.forze-libanesi.com
Nella sezione dei crimini palestinesi e siriani potrai notare come le milizie cristiano-maronite avesssero ben donde d'essere incazzate con i palestinesi ed i loro alleati. I palestinesi sono una vera calamità, ovunque vanno creano disordine. I libanesi a tutt'oggi rifiutano di dare la propria cittadinanza ai rifugiati palestinesi, mentre la Giordania, che ne aveva accolti a frotte in nome della comune identità araba, non potè fare a meno di massacrarne un bel po' nel settembre nero del'70 di fronte alle azioni dei guerriglieri palestinesi. E qualche giorno fa masse di palestinesi dalla striscia di Gaza hanno sfondato con i bulldozer il confine egizio ed aperto il fuoco contro le guardie di frontiera egizie, uccidendone 2 e ferendone una trentina.
Nel giudicare Sharon, bisogna porsi nei suoi panni, ovvero quelli d'un leader israeliano che ha lottato per tutta la vita per preservare la sua piccola nazione circondata da nazioni nemiche.
La storia del conflitto arabo israeliano palestinese va letta dall'inizio, o quantomeno dal 1882 (pogrom in Russia), con il progressivo posizionamento ebraico in terra araba con l'appoggio interessato dell'Inghilterra e in ultima analisi anche per lavare la coscienza dell'Europa. Sharon non è stato un "semplice criminale" e parlando di lui è naturale che si parli della sua carriera e delle SUE "operazioni". Il resto è fuori dal tema del post, come fuori tema è la breccia nel muro del carcere a cielo aperto in cui obtorto collo sono stati confinati i palestinesi di Gaza. Episodio minimo prevedibile considerando che quel muro non è su confine israeliano, e che Israele, pertanto, non ha alcun diritto a perpetuare il controllo su terra illegittimamente occupata da quarant'anni. Nel complesso ritengo che quanto molto sinteticamente rammentato nel post su Sharon sia il massimo che gli si possa umanamente concedere, conferendo alle sue ultime decisioni un potenziale valore verso la definizione, benchè a carissimo prezzo per il popolo palestinese, del conflitto.
Riporto di seguito due riflessioni sulla inopportunità di lavaggio della memoria di Sharon in punto di morte, del prof. Sarek Makdisi della University of California, Los Angeles.
The whitewashing of Ariel Sharon
The 'man of courage and peace' story ignores his bloody and ruthless past.
By Saree Makdisi, professor of English and comparative literature at UCLA.
AS ARIEL SHARON'S career comes to an end, the whitewashing is already underway. Literally overnight he was being hailed as "a man of courage and peace" who had generated "hopes for a far-reaching accord" with an electoral campaign promising "to end
conflict with the Palestinians."
But even if end-of-career assessments often stretch the truth, and even if far too many
people fall for the old saw about the gruff old warrior miraculously turning into a man of peace, the reality is that miracles don't happen, and only rarely have words and realities been separated by such a yawning abyss.
From the beginning to the end of his career, Sharon was a man of ruthless and often gratuitous violence. The waypoints of his career are all drenched in blood, from the massacre he directed at the village of Qibya in 1953, in which his men destroyed whole
houses with their occupants - men, women and children - still inside, to the ruinous invasion of Lebanon in 1982, in which his army laid siege to Beirut, cut off water,
electricity and food supplies and subjected the city's hapless residents to weeks of indiscriminate bombardment by land, sea and air.
As a purely gratuitous bonus, Sharon and his army later facilitated the massacre of
hundreds of Palestinians at the refugee camps of Sabra and Shatila, and in all about
20,000 people - almost all innocent civilians - were killed during his Lebanon adventure.
Sharon's approach to peacemaking in recent years wasn't very different from his approach to war. Extrajudicial assassinations, mass home demolitions, the construction of hideous barriers and walls, population transfers and illegal annexations - these were his stock in trade as "a man of courage and peace."
Some may take comfort in the myth that Sharon was transformed into a peacemaker, but in fact he never deviated from his own 1998 call to "run and grab as many hilltops" in the occupied territories as possible. His plan for peace with the Palestinians involved grabbing large portions of the West Bank, ultimately annexing them to Israel, and turning over the shattered, encircled, isolated, disconnected and barren fragments of territory left behind to what only a fool would call a Palestinian state.
SHARON'S "painful sacrifices" for peace may have involved Israel keeping less, rather than more, of the territory that it captured violently and has clung to illegally for four decades, but few seem to have noticed that it's not really a sacrifice to return something that wasn't yours to begin with.
His much-ballyhooed withdrawal from Gaza left 1.4 million Palestinians in what is essentially the world's largest prison, cut off from the rest of the world and as subject to
Israeli power as before. It also terminated the possibility of a two-state solution to the conflict by condemning Palestinians to whiling away their lives in a series of disconnected Bantustans, ghettos, reservations and strategic hamlets, entirely at the mercy of Israel.
That's not peace. As Crazy Horse or Sitting Bull would have recognized at a glance, it's an
attempt to pacify an entire people by bludgeoning them into a dubhuman irrelevance. Nothing short of actual genocide - for which Sharon's formula was merely a kind of substitute - would persuade the Palestinian people to quietly accept such an srrangement, or negate themselves in some other way. And no matter which Israeli politician now assumes Sharon's bloody mantle, such an approach to peace will always fail.
Va detto che comunque comunità ebree sono state sempre presenti in Israele, anche dopo la cacciata della maggioranza della popolazione della Iudaea ad opera dei romani. La diaspora non fu totale, varie comunità ebree rimasero nella terra dei propri padri. Poi, in seguito alla disastrosa disfatta dell'imperatore bizantino Eracle contro gli arabi nella battaglia dello Yarmuk (636, se non ricordo male) l'ex provincia romana della Philistia (così ribattezzata dai romani in onore degli antichi nemici degli ebrei, i filistei, e come segno di disprezzo agli ebrei cacciati in massa dalla loro terra) fu conquistata dagli arabi e popolata da quest'ultimi. Popolamento molto relativo, dato che gli arabi rimasero sempre seminomadi e non svilupparono la regione costruendo nuove città o compiendo lavori d'irrigazione. E comunque questo non può cancellare il fatto che da ben più di 1000 anni prima di Cristo s'era sviluppato un regno ebraico, spazzato via dai romani irritati dalla loro persistente resistenza. Anche se rimase per 2 millenni in mano straniere ed in parte popolata da migranti arabi, Israele resta ai fatti la terra degli ebrei. Gli arabi non hanno mai considerato Israele come una propria terra, non è mai esisitito un califfato palestinese, uno stato arabo di Palestina. Se tutti i popoli hanno diritto ad avere una patria, la patria degli ebrei è Israele. I cosiddetti palestinesi, che altro non sono che arabi che fino alla fondazione d'Israele non erano affatto così legati alla Palestina (se chiedi ad un palestinese da quanto la sua famiglia risiede in Palestina, probabilmente ti dirà che vi sarà da 1-2 generazioni prima della fondazione d'Israele, e che la sua famiglia proviene da Giordania o Siria). Il tutto può essere sintetizzato anche dal loro ex leader Arafat, un egiziano che diceva d'essere palestinese.
E' vero che gruppi di ebrei si erano trasferiti o erano ritornati in Palestina, essenzialmente per motivi religiosi, ben prima del mandato britannico sulla regione. Intorno al 1895 la popolazione ebraica era di circa 50.000 persone su un totale di circa 500.000 persone. Ma questo non creava, nè avrebbe creato alcun problema, visto anche che le popolazioni della zona, di qualsiasi provenienza fossero, erano riuscite per centinaia di anni a convivere in modo quasi pacifico. Ma è altrettanto vero che in migliaia di anni di storia nella zona della ex terra di Canaan la popolazione ebraica aveva affermato il proprio predominio per circa 500 anni (regni di Israele e di Giuda) dal 1200 a.c. al 600 a.c., prima di essere sconfitti ed esiliati, da assiri e babilonesi, per poi ritornarvi come abitanti e sudditi, fra gli altri, di province romane. In compenso, fino al 1120 a.c. circa la zona era abitata da popolazioni di ogni sorta (filistei o popoli del mare, ex canaaniti, ebrei). Benchè questa sia stata terra degli ebrei è stata anche e in pari misura terra di altre popolazioni prevalentemente arabe e non si può pensare che una terra possa passar di mano quand'anche trascurata o incolta (cosa certo possibile senza le capacità e, più tardi, i danari di cui gli ebrei del periodo post 1882 avrebbero potuto disporre rispetto alle popolazioni indigene). Ed è anche vero che le popolazioni locali non hanno avuto una identità nazionale determinata e specificamente "palestinese" fino al periodo di Nasser, ma si trattava comunque della terra su cui da centinaia di anni le loro famiglie vivevano, prima che i conti su quella terra venissero (mal) fatti a tavolino, in modo schematico ed affrettato e secondo gli interessi, i sensi di colpa e le malriposte mire coloniali dell'Europa, le obiettive necessità del popolo ebraico che aveva passato gli orrori della shoah e gli interessi di gruppi radicali sionisti che poco o nulla avevano ormai in comune con quella terra.
would you mind translating this text in English to me?
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girna gia poso se thelo
poso mou lipis
girise piso
giati sou leo (girna)
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what is the meaning of "Sesami" i think this should be in spanish.
E'vero che in precedenza la zona era abitata da altre genti (cananei, filistei...) ma questi popoli non erano affatto arabi (i filistei non erano neppure semiti, ma erano popoli del mare, forse provenienti dalla Grecia o dall'Anatolia) ed erano scomparsi già all'epoca dell'esilio degli ebrei ad opera dei babilonesi nel 587 a.c.. La durata dell'"esilio babilonese" sembra risalire agli anni 587-538 a.C., e riguardò comunque solo una parte del popolo ebreo, forse i ceti dirigenti, mentre l'altra parte rimase nel paese. La dirigenza ebrea in seguito ritornò nella propria terra e rifondò il regno d'Israele, che in seguito però sarà assoggettato dai macedoni di Alessandro Magno e da regni ellenistici che si formarono in seguito alla disintegrazione dell'impero macedone. Comunque queste dominazioni non influirono sull'identità etnica d'Israele che nel 63 a.c., quando i Romani di Pompeo l'annetterono all'impero romano, era un regno indipendente. Gli arabi all'epoca erano ancora una galassia di tribù nomadi che vivevano nella penisola arabica. Erano senz'altro confinanti con Israele (accanto alla provincia Iudaea v'era la provincia Arabia, nell'attuale Giordania) ma non avevano nulla a che fare con Israele. Erano popolazioni nomadi/guerriere ancora pagane, dedite ad incursioni contro i villaggi di frontiera romani o a farsi la guerra fra loro (solo Maometto riuscirà ad unificarle), che s'offrivano alternativamente come cavalieri mercenari o per i romani o per i parti/persiani nelle numerose guerre che contrapponevano questi due imperi in Armenia, Siria e Mesopotamia. In seguito alla fallita rivolta del 66-70 piegata dalle legioni di Tito (seguita da una prima diaspora) ed all'ulteriore rivolta di Simon Bar Kobka nel 132-135 (ove morirono 580mila ebrei secondo fonti romane, e molti altri vennero deportati) la Iudaea era probabilmente molto spopolata e Gerusalemme completamente distrutta. Al suo posto venne fondata la colonia romana di Elia Capitolina e i romani forse cercarono di ripopolare la provincia con genti delle vicine province (Siria, Egitto, Arabia, anche se non v'è certezza al riguardo), ma comunque gli ebrei dovevano ancora essere una componente significativa della popolazione della provincia, dato che i romani, indispettiti dalle continue rivolte ebraiche, proibirono energicamente l'ingresso d'ebrei nella rifondata Gerusalemme/Elia Capitolina, che agli occhi degli ebrei rimaneva comunque la loro città santa, la capitale del loro distrutto regno. I romani in seguito ribattezzeranno la provincia Philistia, sembre in sberleffo agli ebrei che ancora l'abitavano. Questo per dire che la diaspora non fu totale, comunità ebree erano presenti anche dopo il compimento delle repressioni romane. Le cose si trascineranno in questo modo per secoli; l'ex Iudaea era ancora popolata da comunità ebraiche, anche se accanto a loro inequivocabilmente vivevano comunità straniere, che comunque non credo sentissero così loro quella terra. Fino alla battaglia dello Yarmuk ed alla conquista araba del 636. I musulmani costruirono le moschee di Al-Aqsa sopra le rovine del tempio ebraico. Lentamente tutte le antiche popolazioni (fenici, siriani, egizi...) che avevano vissuto in medio oriente furono arabizzate ed islamizzate, tantochè oggi vengono tutti definiti arabi. Gli ebrei invece rimasero sè stessi, divenendo una minoranza sempre più insignificante nel loro stesso ex paese. Insomma gli arabi (qualunque cosa voglia dire questo aggettivo: etnico? culturale?) conquistarono la Philistia e vi s'imposero, travolgendo facilmente quel che rimaneva d'Israele in Israele.
Sì, i Filistei (popoli del mare) provenivano forse da Creta. Ma una permanenza ebraica istituzionalizzata sotto Salomone e poi con i regni di Israele e di Giuda è durata comunque cinque secoli su migliaia (e migliaia) di anni. Mi sembra un po' poco per dire che altre comunità non sentissero quella terra come propria. Potremmo discutere per decenni (e qualcuno lo fa) su quali, quante, da dove provenivano e dove andavano le popolazioni che hanno interessato la Palestina, ma per quanto interessante possa essere cercare di andare alla radice, il problema si è posto per noi, ex novo e in modo traumatico, con la consegna a tavolino delle terre di Palestina e con le relative operazioni e accordi del 1915 (carteggio tra Mc Mahon e lo Sceriffo della Mecca), del 1916 (accordi Sykes - Picot) e 1917 (dichiarazione di Balfour), con tutto ciò che di esasperato vi ha fatto seguito sino al 14 maggio 1948 e poi fino ad oggi. Quello che più fa impressione è come ognuna delle parti non receda, nemmeno a parole, da affermazioni sulla storia recente di cui solo una può essere corretta e l'altra è certamente falsa. Per quanto ne possiamo sapere, a mio avviso, la "cosa" più vicina ad un ragionevole accordo negli ultimi cinquant'anni è stata sfiorata a Taba (certo non grazie a Barak) dopo il fallimento di Camp David e immediatamente prima di Sharon.
Dear Sohrab, it is greek, not italian. I sent you the translation by mail.
See you. ^^v^^
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