lunedì, giugno 26, 2006
Circolo vizioso
giovedì, giugno 22, 2006
Persia perplessa
lunedì, giugno 19, 2006
L'anello più debole
venerdì, giugno 09, 2006
Lo scemo del villaggio
Abu Musab Al-Zarqawi, nome d'arte di Ahmed Fadel al-Khalaylah, nato a Zarqa, Giordania, nel 1966. Un piccolo delinquente comune, migrato in Afghanistan fuori tempo per resistere all'invasione sovietica ma non abbastanza per sfuggire ad una abborracciata full immersion jihadista da mettere malamente a frutto una volta tornato al suo paese. Qui, a Zarqa, riprende infatti la sua mediocre carriera da ribelle disadattato ed incattivito ai margini dalla fatale secolarizzazione dei paesi arabi in generale e della Giordania in particolare. Conduce quindi la propria confusa battaglia come un qualsiasi piccolo balordo, per giunta – si dice - violento e ubriacone ed incapace di elaborare proprie idee. Usufruisce in questo dell'input integralista di cui si è imbevuto in Afghanistan e viene così conosciuto e ricordato dai suoi compagni di galera, per molti anni sua residenza dopo il rientro in patria. In forza di un'amnistia emigra nel nord dell'Iraq. L'occupazione è terreno fertile per il fanatismo più che per le capacità e il nostro è dotato di un certo carisma, laddove nell’isola dei ciechi chi ha un occhio solo è ricco. Ma soprattutto è premiato dall'esigenza di individuare un "cattivo" per l'alleanza occupante, privata della figura-bersaglio di bin Laden. I media costruiscono pazientemente il mito del balordo giordano, spingendolo a prendere addirittura contatto (via internet) con gli ambienti vicini ad Osama. Il fatto di essere diventato, ormai, un ottimo simbolo per la propaganda, consente ad al-Zarqawi di aprire in franchising la filiale iraqena di al-Qaeda. Tra presunte azioni di macelleria perpetrate personalmente ed inverosimili operazioni condotte su tutto il territorio iraqeno, Abu Mussab assurge rapidamente al ruolo di “most wanted” del valore di 25 milioni di dollari, gli vengono attribuite doti di ubiquità e scaltrezza sovrumane. Rocambolescamente si eclissa più volte proprio quando è sul punto di essere catturato. Al-Zarqawi è ormai per i media considerato il "leader" della inesistente banda al-Qaeda e viceversa deve essere lui il primo a sorprendersi dell’insperata popolarità attribuitagli pur essendo il mero gestore semi-volontario di un marchio. Cosa significhi, infatti, far parte di al-Qaeda, poco importa, anche nulla, ma tant'è. Dopo mesi di amplificazione mediatica del personaggio, enfiato e imbolsito da un evidente eccesso di alimentazione difficilmente compatibile con la grama esistenza dell'insurgent, lo ritroviamo finalmente su un video di squisita fattura dove dimostra di aver forse maneggiato efficacemente un coltello ma di non aver mai preso in mano un'arma da fuoco. Amen. Viene pure deriso e vilipeso per il "dietro le quinte" di questo video di incerta provenienza, come tutto il resto. Sembra un fantoccio che recita un copione mal fatto, maneggia malamente un'arma, che si inceppa, si impappina con l'otturatore, emette qualche imbarazzata raffica con sguardo volto all'orizzonte e infine rivolge beatamente l'arma (scarica o nuovamente inceppata) (v. foto) verso alcuni ridicoli figuranti che lo circondano. L'8 giugno 2006, alle 3:10 del mattino ora italiana, parte la notizia del bombardamento che con la morte di Zarqawi inocula provvidenziale e rinnovato consenso per il Presidente degli USA - ormai al punto più basso di popolarità mai raggiunto - e per i suoi clienti. Ma è stata pure riesumata ieri la notizia di un altro al-Zarqawi, dotato di una rimarchevole mentalità infantile emergente dall'esame delle lettere scritte durante la detenzione in Giordania alla madre e recuperate ad Amman da un giornalista francese, Jean-Marie Quemener. Le lettere - si legge - sarebbero ornate da disegnini di mano infantile, colorati di giallo, azzurro e rosa e talvolta incorniciate come pagine del Corano. La foto del suo cadavere fa il giro del mondo. La sua avventura è finita. E allora – vi chiederete - chi è lo scemo del villaggio? Chi pensa che davvero con la sua morte sia cambiato qualcosa.
giovedì, giugno 08, 2006
Persia per persa
«Lo Shah dell'Iran sta seduto sopra una delle più vaste riserve di petrolio del mondo. Eppure sta costruendo due impianti nucleari e ne ha in programma altri due per fornire elettricità al suo paese. Lui sa che il petrolio sta finendo e con esso il tempo. Ma non costruirebbe le centrali se dubitasse della loro sicurezza. Aspetterebbe. Come molti americani vogliono. Lo Shah sa che l'energia nucleare non è solo economica, ma ha raggiunto in trent'anni considerevoli risultati di sicurezza. Risultati che sono stati sufficientemente buoni pure per i cittadini di Plymouth, in Massachussetts. Loro hanno approvato il secondo impianto nucleare con una maggioranza di quattro a uno. Il che dimostra che non dovete andare fino in Iran per trovare approvazione all'energia nucleare».
E' un inserto pubblicitario utilizzato negli anni 70 da molte compagnie petrolifere USA per convincere gli americani della necessità di dotarsi di impianti nucleari e della sicurezza raggiunta dalle centrali e pubblicato oggi su iranian.com (Guess who's building nuclear power plants?) e sul Manifesto (7 giugno 2006, pag. 4). Il regime dello Shah forniva infatti in quel periodo, prima della rivoluzione islamica al seguito di Khomeini, che avrebbe precipitato la Persia in un diverso tipo di padella (o brace), garanzie di vassallaggio perfettamente accettabili dal punto di vista degli USA, che parteciparono infatti alacremente - e non da soli - alla corsa iraniana per dotarsi di centrali e tecnologie nucleari. Oggi lo scenario è notoriamente cambiato anche senza riguardo alle ondivaghe, estemporanee e comunque largamente enfatizzate accuse di partecipazione alla schiera dei cattivi rivolte alla Persia e al suo regime, che sconta inoltre, per non farsi mancar nulla, il fatto di essere obiettivamente opprimente, antidemocratico e percorso trasversalmente da problemi di sviluppo in odore occidentale, acceso nazionalismo e legislazione confessionale islamica (Sharia). Ma oggi, sebbene sia più convincente il piano economico che consentirebbe all'Iran di risparmiare poco meno di 30 miliardi di dollari (dotandosi di nuovi ed efficienti impianti nucleari per far fronte al crescente consumo interno e rivitalizzando le risorse petrolifere anche per l'esportazione - cfr. Limes 4/2006, appendice all'articolo "Così si gioca al tavolo nucleare", pag. 99-100) rispetto agli scenari apocalittici iniettati in occidente su iniziativa prevalentemente americana e israeliana, in sostanza l'Iran sconta assai più il fatto di essere capace di recare non poco disturbo sotto il profilo economico e geostrategico al cancerogeno progetto di egemonia pianificato nel Project for a New American Century dagli USA ed avallato dai suoi clienti o aspiranti tali.