"La violenza prevarrà sulla violenza solo quando qualcuno mi potrà provare che l'oscurità può essere dissipata dall'oscurità" (Gandhi)
L'11 settembre 2006 ha uno speciale significato. Non è solo il quinto anniversario dell'attacco a New York e Washington, ma è anche il centenario del giorno in cui il Mahatma Gandhi lanciò il moderno movimento di resistenza non violenta. Gandhi la chiamò Satyagraha. Era l'11 settembre 1906 e parlando davanti a 3000 indiani riuniti in un teatro di Johannesburg, Gandhi espose la strategia di resistenza non violenta da opporre alla politica razzista in Sud Africa. Il Satyagraha era nato e da allora è stato adottato tante volte nel mondo per resistere all'ingiustizia sociale e all'oppressione. Nei giorni scorsi, il nipote del Mahatma, Arun, è stato intervistato per la rete americana alternativa Democracy Now. Nel corso dell'intervista Arun Gandhi ha ricordato un episodio circa la possibile applicazione del Satyagraha nell'ambito della questione palestinese. Aveva avuto infatti occasione di essere in Palestina nel 2004 e, come è risultato successivamente, era stato l'ultimo straniero ad incontrare Yasser Aarafat e a parlare con lui. «Il messaggio che gli portai fu che la violenza non era di beneficio a lui né ad alcuno». Gandhi ricorda che una delle ultime domande postegli da Arafat fu: «se lei avesse la leadership [palestinese] che cosa farebbe?» Dopo aver detto ad Arafat che non voleva dare una risposta disinvolta a quella domanda e che necessitava uno studio adeguato, Arun Gandhi infine avrebbe risposto di aver appena visitato Amman e di essere stato vicino ai problemi di oltre mezzo milione di rifugiati palestinesi che vivevano in pessime condizioni e così avrebbe detto: «Supponga di andare laggiù e dirigere queste cinquecentomila persone, uomini, donne e bambini, in una marcia verso la Palestina, senza armi o altro, solo dicendo: siamo tornati qui per vivere in pace ed armonia nel vostro paese. Potrebbero gli israeliani uccidere tanta gente e vivere poi con la loro coscienza? Penso che il mondo intero si sveglierebbe per fermare quest'azione».
Non dice l'intervista cosa rispose Arafat, ma è lecito pensare che il vecchio capo palestinese abbia risposto a Gandhi qualcosa come: "Eh ...la fai facile tu! Già dire a questo mezzo milione di rifugiati incazzati neri che devono chiedere "permesso" per entrare in Palestina - per quanto occupata - sarebbe un problema. E un problema grosso. Ehi! Sono stati cacciati a pedate! Era casa loro! Sai, voglio vivere anch'io. E poi quanti ne ucciderebbero prima del risveglio della coscienza? E infine non conosci quel ...beh lasciamo perdere di Sharon!". Scherzi a parte, nelle parole del nipote di Gandhi c'è forse in germe l'unica possibile alternativa ad un'azione tanto immorale, imprevedibile e violenta da mettere Israele e buona parte del mondo sotto ricatto. Tanto da far considerare uno "scherzetto" le operazioni di rappresaglia martellante e il sistematico processo di umiliazione della popolazione civile ideati dall'IDF. In altre parole: la tattica qaedista (che non c'entra con la "banda" al-Qaeda immaginata da Bush & co. per i loro interessi), finalizzata ed applicata scrupolosamente al problema palestinese. Meditiamo tutti prima che qualcuno veramente possa influire sulla scelta di uno di questi sistemi e non necessariamente quello ispirato alla filosofia di Gandhi. Senza illudersi o farsi illudere, non ci sarebbero né vincitori, né vinti, solo un pazzo può pensare il contrario. E i pazzi esistono.
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