Il consulente politico del premier palestinese Haniyeh, Ahmed Yousef, dichiara oggi, 22 settembre, alla Associated Press (v. YnetNews) che non ci sarà governo di unità nazionale (con Fatah) se ad Hamas verrà richiesto di riconoscere Israele, ma aggiunge che il governo di Hamas è disposto ad un accordo per una tregua di lungo periodo con lo stato ebraico, fino a che questi si ritiri dai territori occupati: "a long-term truce for five or 10 years, until the occupation withdraws".
Ma cosa significa "riconoscere Israele"? Sembra essere ormai lo standard mediatico per indicare il riconoscimento dell'occupazione a priori, anche fuori di confini (quali?) che non a caso Israele non si è mai dati, né voluti dare. Infatti il riconoscimento della situazione di fatto e di diritto costituita dalla obiettiva esistenza dello Stato di Israele è questione superata da molti anni, comprensibilmente a malincuore da chi subì la nakba, attraverso il sanguinoso percorso che ha visto recedere nei fatti anche i gruppi più oltranzisti in favore della linea per qualche verso ambigua, corrotta o comunque perdente, che ha condotto Yasser Arafat ad ogni compromesso per essere poi comunque umiliato ed incatenato al risultato delle promesse non mantenute. Nella situazione obiettiva di illegittimità internazionale consentita o appoggiata dal nume protettore "israelo-americano", dal pilatesco disinteresse del mondo arabo, dalla colpevole ignoranza e dall'omertà europee, a suo tempo Arafat avrebbe sottoscritto - come in massima parte fece - ogni pezzo di carta che non ponesse lui stesso pubblicamente sulla gogna e che non facesse venire definitivamente meno il suo ascendente politico e il suo potere finanziario sulla gente di Palestina. Il che lo portò al punto di accettare, per esempio, il folle accordo per la città di Hebron, il rinvio o la riduzione a termini miserabili della questione dei profughi, la riduzione del West Bank a cantoni sotto irreversibile assedio israeliano, l'infiltrazione di una rete di strade per soli ebrei, la privazione virtuale e materiale di ogni sbocco internazionale, addirittura lo spossessamento ufficiale di Gerusalemme Est e la contestuale candidatura della erigenda capitale di Palestina nel villaggio di Abu Dis, rinominato per l'occasione - con un vergognoso artifizio - Al Quds.
Ciò detto - passato alla storia con l'umiliazione e la scomparsa di Arafat il periodo di residua fiducia, connivenza o condiscendenza concessi all'occupazione - ciò che un governo palestinese, qualsiasi governo palestinese, oggi non potrà mai ratificare, sono proprio i confini variabili e - quale irreversibile situazione di fatto - la colonizzazione, mantenuta in costante espansione anche durante tutti i periodi delle "trattative", che lo Stato di Israele ha inteso ed intende ancora imporre, allorchè verrà obtorto collo costretto a sedersi per stipulare un'intesa seria e definitiva per la soluzione della questione palestinese. Cosa che sinora non è mai avvenuta, per volontà di Israele, da Madrid a Oslo, da Camp David, a Taba, né mai avverrebbe nella prospettiva di uno stato che si estende in linea teorica fino a dove possono arrivare, in un modo o nell'altro, la forza delle sue armi, le sovvenzioni dei suoi mandanti e soci, la prevaricazione e l'umiliazione dei civili, la colonizzazione strisciante. Per essere più chiari, quand'anche in seno ai trascorsi tentativi di pacificazione fossero mancati dieci minuti alla firma di un fantascientifico e definitivo trattato (e non "percorso") di pace destinato alla costituzione di uno Stato di Palestina entro confini ben determinati con speculare definizione dei confini israeliani, le pulsioni connaturate o imposte a chi si è seduto a quel tavolo per rappresentare Israele hanno suggerito di prendere tempo e di concedere (di questo termine occorrerebbe parlare), sempre e comunque, qualcosa di meno, se pure sputando all'ultimo momento oltre il confine in corso di erezione per dire che anche lì era "già" sorta una colonia.
Torniamo al tema. L'altro ieri all'ONU la ministra Livni (file pdf 922 kb), attraverso non nuovi ed untuosi giri di parole, ha fatto intendere che dal 1967 la situazione è cambiata. Cioè, per farla breve, che la dinamica situazione dei confini e quella, asseritamente irreversibile, delle colonie israeliane, non consentono di tornare allo stato precedente l'occupazione del 1967. Oggi il governo di Hamas, di riflesso e senza scomporsi più di tanto, propone un piano che a mio avviso deve essere letto così: "Cerchiamo di essere seri, non possiamo fare a meno di constatare che lo Stato di Israele esiste (e'sti cazzi, è pieno di gente e sta proprio qui accanto), ma non riconosciamo - chiamatela come volete - l'occupazione israeliana del 1967, siamo tuttavia disposti ad aspettare 5-10 anni, senza far casino, per la restituzione dei territori occupati".
venerdì, settembre 22, 2006
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