Benny Morris, a suo tempo autoproclamatosi avanguardia dei cosiddetti nuovi storici isreliani o storici post-sionisti, ormai da tempo è dedito ad annichilire la sua precedente opera critica dei più eclatanti miti della propaganda filo-sionista. Ottimo archivista – questo tutti glielo hanno riconosciuto – ed oggi professore di storia alla Ben-Gurion University del Negev, a Be'er Sheva, Morris non trova ormai di meglio da fare che reinterpretare, in chiave ideologica e sorprendentemente faziosa, i fatti sviscerati anche nella sua opera più celebrata: "La nascita del problema dei rifugiati palestinesi, 1947-1949", pubblicata nel 1987 e – non a caso – “rivista” nel 2004. La questione non è nuova, come non sono affatto nuove le critiche a Morris per aver tratto conclusioni incoerenti dai fatti che egli stesso aveva portato alla luce (cfr. Norman Finkelstein, oltre quindici anni fa, nello studio “Myths, old and new – Debate on the 1948 exodus”, pubblicato dal Journal of Palestine Studies XXI, n. 1, Autumn 1991, pp. 66-89 e poi nel libro "Images and Reality of the Israel-Palestine Conflict"). Conclusioni viceversa presto enfatizzate – e non stupisce – da quel parziale pot-pourri che impazza col nome di MEMRI Middle East Media Research Institute, che nel caso non si faceva pregare per riproporre, con gran fanfara e col significativo titolo “Gli arabi sono responsabili. Lo storico post-sionista Benny Morris chiarisce le sue tesi”, un'intervista a Morris raccolta da Yedioth Ahronoth del 23 novembre 2001 (v. in MEMRI Special Dispatch, 9 dicembre 2001).
Le righe che seguono non costituiscono, purtroppo, un aneddoto. Il pezzullo, riportato alla luce da “The Irish Times”, sembra un condensato di pensieri senili di Morris, che, evidentemente – parole del compianto accademico Baruch Kimmerling (George S. Wise Professor di Sociologia all'Università ebraica di Gerusalemme) – “ha abbandonato il mantello di studioso per vestire l'armatura dell'ebreo sciovinista che vuole la Terra di Israele del tutto ripulita dagli arabi” (cfr. B. Kimmerling, “Benny Morris's Shocking Interview", in Logos 3.1 – Winter 2004). Un estratto dell'articolo dell'Irish Times di oggi (per abbonati) è stato gratuitamente rilanciato da PIWP - Palestine Information with Provenance e sembra riferirsi alle interviste rilasciate nel 2004 da Morris in occasione della “riedizione” del suo pensiero di nuovo-storico-pentito. Affermazioni che appaiono pura spazzatura morale di nessuna utilità se non per decifrare l'insopportabile deriva percorsa da Morris tanto nell'interpretazione e giustificazione dei fatti del passato, quanto nell'esposizione ed apologia di quelli del presente (quali la “generosa offerta” di Barak a Camp David 2000 - link).
Sui percorsi di Morris è sempre Baruch Kimmerling (op. cit. 2004) ad osservare con ironia che “non ci si può aspettare molta logica negli scatti emotivi di un archivista, quando questi cerchi di comporre un quadro coerente e generale da migliaia di dettagli”. Parimenti, ma assai meno lieve, Ilan Pappe, dopo essere stato oggetto di un attacco “ad hominem” da parte di Morris su New Republic (“Politics by Other Means”, 17 marzo 2004), sottolineava: “Diversamente da altri non ho mai pensato che le sue buone qualità come cronologo, emerse nel suo libro più famoso, 'The Birth of the Palestinian Refugee Problem' (Cambridge 1987) – non è mai stato uno storico in senso proprio – e specialmente il suo inestimabile contributo nel raccogliere, per noi, dati sulla pulizia etnica del 1948, compensino la sua intolleranza e ristrettezza mentale”.
Ma ecco, infine, il riassuntino di PIWP: «In una nota intervista con il giornalista Ari Shavit di Haaretz, Morris ha sostenuto che "dall'aprile 1948, Ben-Gurion progetta un messaggio di trasferimento. Non è un ordine scritto esplicito, non è una politica sistematica, ma un'atmosfera di trasferimento". Shavit ha commentato: "non sento [in lei] una condanna". Morris ha risposto brutalmente: "Ben-Gurion aveva ragione... Non è possibile fare una frittata senza rompere le uova... Una società che ha in animo di ucciderti, ti forza a distruggerla... Ci sono circostanze nella storia che giustificano la pulizia etnica... Uno stato ebraico non sarebbe venuto alla luce senza espellere 700.000 palestinesi. Per questo era necessario sradicarli... Nemmeno la grande democrazia americana avrebbe potuto essere creata senza annichilire gli indiani. Ci sono casi in cui il bene finale complessivo giustifica gli atti aspri e crudeli commessi nel corso della storia"».
Un amaro commento alle parole di Morris chiude l'antologia riportata da PIWP Database: con difensori come Benny Morris lo Stato di Israele non ha bisogno di nemici.
lunedì, febbraio 25, 2008
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2 commenti:
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September 21, 2012
Michael J Rosenberg @MJayRosenberg
Historian Benny Morris explains why he chose to abandon his own findings on how Israel expelled refugees: "Doors were closed to me...."
But your work proved to be a double-edged sword for you. While it made you a star, all the doors were closed to you.
“I was treated like an enemy of the state. This image stuck. I was ostracized. I wasn’t invited to conferences and, of course, I wasn’t offered a university position. It was a tough time. I couldn’t support myself and my family. For six years I had no job, until − with the intervention of President Ezer Weizman − I was hired at Ben-Gurion University in 1997. I lived off loans from friends. I had no money. In 1991 I was fired by the Jerusalem Post, which was taken over by right-wing millionaires (including Conrad Black), who dismissed all the paper’s left-leaning veteran staff. I spent the years writing further histories, published by Oxford University Press and Am Oved. But I had no job.”
http://www.haaretz.com/weekend/magazine/benny-morris-on-why-he-s-written-his-last-word-on-the-israel-arab-conflict.premium-1.465869
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