sabato, marzo 01, 2008

Obama, the song remains the same

Barack (pronuncia: barak) Hussein Obama, un trittico ironico di nomi che sembra il percorso tra il preordinato insuccesso di Camp David e le torri gemelle passando dal rais iraqeno. Nomen omen, speriamo di no. Riguardando i suoi commenti nel maggio 2007, Shmuel Rosner, corrispondente da Washington per Haaretz, osservava che l'atteggiamento del candidato nero nei confronti di Israele era forte come quello di Clinton, solidale come quello di Bush e amichevole come quello di Giuliani. Rosner concludeva che "Obama è pro Israele. Punto". A suo credito e in linea con l'anima democratica che formalmente lo sostiene, si poteva dire e si disse (Bill Fletcher Jr. di Transafrica Forum) che Obama si era opposto all'invasione dell'Iraq e che aveva avuto il coraggio di affermarlo. Era tuttavia evidente nel corso dell'anno - cioè dalla presentazione della sua candidatura alle presidenziali USA nel febbraio 2007 - che l'ormai aspirante imperatore dell'Occidente avrebbe mantenuto una posizione assolutamente acritica rispetto a Israele. Lo aveva fatto innanzitutto e a chiare lettere per quanto riguardava la spropositata campagna libanese, l'aggressione alle infrastrutture, l'uso illegale delle cluster bomb e le bugie che lo Stato ebraico aveva offerto per giustificare la distruzione portata ai civili di quel paese. Nell'agosto 2007 la strada scelta da Obama per lastricare il suo possibile accesso alla Casa Bianca anche con l'appoggio della comunità ebraica americana era quindi segnata. Aveva rinnegato velocemente le incaute parole pronunciate in precedenza sulla sofferenza dei palestinesi in Medio Oriente, prendeva ora le distanze da Brzezinski (peccatore al sommo grado per essersi astenuto dal coro delle critiche a Jimmy Carter in occasione della pubblicazione del suo libro, Palestine, Peace Not Apartheid) e galleggiava dichiarando di avvalersi, per le questioni relative al Medio Oriente, della consulenza di Dennis Ross, architetto degli "sforzi di pace" di Clinton a Camp David. Il che sembrava finalizzato ad attirargli la fiducia dei donatori e la simpatia degli elettori pro Israele senza alienargli la base democratica contraria alla guerra. Non di meno, ancora nel dicembre 2007, sempre Shmuel Rosner appuntava su Haaretz che "un rapporto dell'American Jewish Committee dimostrava che [Obama] aveva ancora una lunga strada da percorrere" per raccogliere la fiducia della comunità ebraica. Nessuno lo avrebbe detto, visto che i tentativi di Obama si erano moltiplicati parlando all'AIPAC (American Israel Public Affairs Committee, la dichiarata America's Pro-Israel Lobby), promuovendo una legge per la distrazione di fondi dalle compagnie in affari con l'Iran e, ancora, proclamando, in un discorso nello Iowa, che i palestinesi "dovrebbero reinterpretare la nozione di 'diritto al ritorno' in un modo che preservi Israele come Stato ebraico", così da prevedere, al più, compensazioni ed altre 'concessioni' da parte di Israele, con buona pace della Convenzione di Ginevra e delle risoluzioni ONU. Ma il timore di Obama di non raggiungere il 'candore' e la parzialità sufficienti ad assicurargli l'appoggio dei potentati filo sionisti e dell'elettorato ebraico (combattuto tra i fumi della propaganda, il legame ad Israele e più sentite istanze democratiche) non è venuto meno. Il salto di qualità era quindi fatale. Ce ne riferisce Joshua Frank, co-editore di Dissident Voice, in un articolo del 29 febbraio 2008, rilanciato da Counterpunch con il titolo "I legami che uccidono", quello che segue.

«Nel tentativo di respingere le voci che lo vedono favorevole ai palestinesi, o - Dio non voglia - musulmano, Barack Obama ha messo in chiaro nel corso del dibattito finale dei Democratici per le elezioni presidenziali, di essere tutto tranne che quello. Pungolato sulla questione da Tim Russert della NBC, Obama ha detto di essere da tanto tempo "fedele amico di Israele", penando che quel paese sia uno dei "più importanti alleati [degli USA] nella regione" e addirittura aggiungendo di considerare la sicurezza di Israele "sacrosanct". La santificata conferma che manterrebbe lo sbilenco sostegno degli USA per Israele è arrivata lo stesso giorno in cui sette palestinesi sono stati uccisi dalle incursioni aeree israeliane a Gaza. Dai "negoziati di pace" ripresi in novembre, le forze armate israeliane hanno ucciso, secondo i rapporti, più di 200 palestinesi. Parlano a un gruppo di cento sostenitori di Israele a Cleveland, questa settimana, Obama ha assicurato alla folla che come presidente terrà l'Iran nel mirino per proteggere gli interessi israeliani. "Ora la minaccia più seria ...per Israele oggi, penso, sia dall'Iran. Là il regime radicale continua a perseguire la capacità di costruire un'arma nucleare e continua a sostenere il terrorismo nella region" - ha spiegato. "Le minacce di distruggere Israele non possono essere archiviate come retoriche. La minaccia iraniana è reale e il mio obiettivo come presidente sarebbe di eliminare quella minaccia". Dopo aver ripetuto che metterebbe fine alla guerra in Iraq come prima cosa, Obama ha promesso che porterebbe la sua attenzione ai vicini di quella regione. "Il mio approccio all'Iran sarà di diplomazia aggressiva: non toglierò dal tavolo alcuna opzione militare". Per il vero, Obama ha menzionato qualcosa che pochi Democratici a Washington avrebbero osato pronunciare: "penso che ci sia uno strappo all'interno della comunità pro-Israele che sostiene che se non adotti un approccio risoluto a favore del Likud tu sei anti israeliano e questa non può essere la misura della nostra amicizia con Israele". Dopo aver puntualizzato l'ovvio, in ogni caso, Obama ha lodato la recente invasione israeliana in Libano, l'inclinazione filo israeliana a Capitol Hill e la sua richiesta che Israele rimanga uno stato ebraico". "Qualsiasi negoziato di pace tra Israele e i palestinesi dovrà contenere l'abbandono da parte dei palestinesi del diritto al ritorno come è stato considerato nel passato", ha asserito. "E questo non significa che non ci possa essere una discussione sulla questione delle compensazioni". Che generosità! Ma cosa conta di fare Obama con gli oltre 1,4 milioni di arabi non ebrei che vivono nel paese? Continuare a trattarli come cittadini di seconda classe o semplicemente cacciarli fuori a pedate? Obama ha chiamato Israele "democrazia", ma come ex editore della Rivista Legale di Harvard si pensa che dovrebbe conoscere quello che il termine effettivamente significhi. Sicuramente gli arabi israeliani possono votare, ma non possono ottenere l'ufficio se sono democratici secolari che vogliono diritti civili per tutti i cittadini del paese. Non hanno protezione costituzionale (Israele non ha una costituzione formale) e possono solo possedere terra in certe zone come conseguenza di leggi inique che garantiscono uno speciale trattamento ai cittadini ebrei».

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