sabato, maggio 31, 2008
Vertice FAO, veleno preventivo
In occasione del vertice FAO, a Roma, è con naturalezza che l'ambasciatore israeliano Gideon Meir fa propria la più velenosa propaganda spruzzata sul mondo occidentale in funzione anti iraniana da Tel Aviv e dal sicariato americano, dichiarando che l'invito al presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, è una "disgrazia per il mondo". Ovvio attendersi che gli facessero eco dal bel paese, con altrettanta naturalezza, le voci del consueto allineamento, rese oggi per l'occasione ancor più grasse dalla svolta di governo e dai rinnovati suoi approcci collaterali. Il ministro Frattini non esita ad accogliere il consueto ritornello a pelosa giustificazione del fatto che nessun membro di alto livello formale del nostro esecutivo avrà un colloquio con il presidente Ahmadinejad. Lo stile, in verità, è trasversale e non è nuovo. Tutti ricordano, infatti, la mimica imbarazzata dell'ex premier Prodi allorché dovette giustificare la penosa accoglienza riservata al Dalai Lama. Fu tutto, allora, per compiacere la Cina. E poichè quanto a rispetto dei diritti umani e legalità internazionale anche Israele deve superare una china discesa con spudorata cinquantennale caparbietà, ma gode tuttora di un malriposto occhio di riguardo, anche indotto dall'amico americano, la vicenda neppure oggi stupisce. Cambiano i suonatori, punto. Per la musica attenderemo. Ed oggi, nell'occasione del vertice FAO, si ribadisce allora che non potrebbe essere un interlocutore per l'Italia "chi dice che Israele deve essere cancellato dalla carta geografica". Su queste parole, fasulle ma riportate sino alla nausea a livello di rotocalco spicciolo, la questione è nota dal momento della stessa loro pronuncia nel 2006. Il discorso di Ahmadinejad venne dolosamente 'mal tradotto' e volonterosamente equivocato. Ma questo - per chi non parla persiano (e siamo tanti) - si sapeva già poche ore dopo il discorso da fonte non sospetta, il New York Times. Evidentemente, al riguardo, gli ulteriori approfondimenti di una pletora di intellettuali e linguisti nulla puote contro la gustosa possibilità di perpetuare un libello malevolo e strumentale, per quanto campato in aria. Transeat (si fa per dire). E allora perchè non calcare la mano? Tanto alcune notizie in fondo nessuno le verifica, per tacere il fatto che nella realtà politica e popolare italiana ben pochi se ne occupano. La politica fatta di slogan è quasi un punto d'onore per gli analisti da bar, ma anche per i tuttologi da TV e - assai più spesso di quanto non si possa pensare - per gli stessi parlamentari italiani che di tali notizie dovrebbero fare dovere e professione. Il livello generale di conoscenza delle vicende medio orientali in Italia, del resto, è noto. Ed è minimale. Quindi leggiamo sull'ultima agenzia che lo stesso capo della Farnesina avrebbe lamentato l'insoddisfazione per la mancata risposta di Teheran agli ultimi rilievi contenuti nel rapporto della Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA). Un sassolino in più in funzione preventiva. Ebbene, ne prendiamo atto, ma poichè il rapporto, contemporaneamente comunicato il 26 maggio da Mohamed ElBaradei al Consiglio di Sicurezza dell'ONU e al Board of Governors dell'Agenzia, verrà reso noto al pubblico - sembra - solo il 2 giugno prossimo, indiscrezione per indiscrezione dobbiamo annotare che c'è chi oggi afferma, viceversa, che la collaborazione dell'Iran va ben oltre quanto richiesto dal NPT (Trattato di non proliferazione nucleare). E inoltre - ma questo nel rapporto non c'è - che sarebbe auspicabile se l'Agenzia IAEA come corpo internazionale volesse adempiere ai suoi doveri indipendentemente dai programmi delle grosse potenze e dei loro clienti. Ma poi, dopo il 2 giugno, qualcuno si prenderà davvero la briga di estrarre, tradurre e diffondere il contenuto del rapporto?
mercoledì, maggio 28, 2008
Malalai Joya, una donna afghana
Un fotogramma da Nemici della Felicità, un film che segue la campagna elettorale di una donna afghana, Malalai Joya - all'epoca ventottenne - mentre partecipava alle prime elezioni democratiche nel paese in 35 anni. La prima 'clip' mostra Malalai che si rivolge alla Loya Jirqa (Assemblea Costituzionale), chiede che si perseguano i signori della guerra presenti all'incontro e viene immediatamente espulsa (v. immagine e link a sinistra). Eletta poi per la provincia di Farah, il 21 maggio 2007 la camera bassa del parlamento afghano (Wolesi Jirqa) l'ha accusata di avere insultato il parlamento ed ha votato perchè fosse sospesa fino alla fine del suo mandato parlamentare nel 2009. Nonostante la sospensione ha continuato a criticare i signori della guerra seduti al parlamento afghano, nonostante i pericoli alla sua sicurezza. Human Rights Watch, il 21 maggio 2008 ha dichiarato che il parlamento afghano dovrebbe reintegrarla nel suo ufficio, sottolineando che i membri del parlamento regolarmente si criticano tra loro, ma nessuno è mai stat sospeso. Qui il video con l'intervista di HRW a Malalai Joya. Inoltre e in proposito Brad Adams, direttore per l'Asia di Human Rights Watch, ha dichiarato che "il prossimo mese l'Afghanistan chiederà donazioni per miliardi di dollari in assistenza, presentandosi come democrazia emergente [e si è chiesto:] se Malalai Joya resta sospesa per aver esercitato il proprio diritto di esprimersi liberamente e deve continuare a scappare per le minacce ricevute, mentre il governo non fa niente, che cosa ci dice questo fatto sullo stato dei diritti umani e della democrazia?"
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A frame from Enemies of Happiness, a film that follows the campaign of an Afghan woman, Malalai Joya - then 28 year-old - as she was running in the country’s first democratic parliamentary elections in 35 years. The first clip shows Malalai Joya addressing the Loya Jirqa (Constitutional Assembly), calling for the prosecution of warlords present at the meeting and being instantly expelled from the Assembly (image left). She was elected from Farah province and on May 21, 2007, the lower house of the Afghan parliament, the Wolesi Jirga, voted to suspend her. She was accused of insulting the parliament and suspended until the end of her term in 2009. Since her suspension, she has continued to criticize warlords in the Afghan parliament despite the concerns for her safety. Human Rights Watch said, on May 21, 2008, that the Afghan parliament should reinstate her and noted that members of parliament have regularly criticized each other, but no one else has been suspended. Here the Human Rights Watch video interview with Malalai Joya. Moreover, Brad Adams, Asia director at Human Rights Watch, said that “Afghanistan is requesting billions of dollars in assistance from donors next month and presenting itself as an emerging democracy (…) If Malalai Joya remains suspended for exercising her right to free expression and has to keep moving around because of threats for which the government does nothing, what does this say about the state of human rights and democracy?” (pipistro/eng)
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A frame from Enemies of Happiness, a film that follows the campaign of an Afghan woman, Malalai Joya - then 28 year-old - as she was running in the country’s first democratic parliamentary elections in 35 years. The first clip shows Malalai Joya addressing the Loya Jirqa (Constitutional Assembly), calling for the prosecution of warlords present at the meeting and being instantly expelled from the Assembly (image left). She was elected from Farah province and on May 21, 2007, the lower house of the Afghan parliament, the Wolesi Jirga, voted to suspend her. She was accused of insulting the parliament and suspended until the end of her term in 2009. Since her suspension, she has continued to criticize warlords in the Afghan parliament despite the concerns for her safety. Human Rights Watch said, on May 21, 2008, that the Afghan parliament should reinstate her and noted that members of parliament have regularly criticized each other, but no one else has been suspended. Here the Human Rights Watch video interview with Malalai Joya. Moreover, Brad Adams, Asia director at Human Rights Watch, said that “Afghanistan is requesting billions of dollars in assistance from donors next month and presenting itself as an emerging democracy (…) If Malalai Joya remains suspended for exercising her right to free expression and has to keep moving around because of threats for which the government does nothing, what does this say about the state of human rights and democracy?” (pipistro/eng)
sabato, maggio 24, 2008
Finkelstein arrestato a Tel Aviv
L'accademico americano Norman Finkelstein, atterrato ieri mattina presto (23 maggio) all'aeroporto di Tel Aviv per recarsi nei Territori Palestinesi Occupati, è stato immediatamente arrestato e costretto oggi a lasciare Israele. Lo scomodo ex professore della cattolica DePaul University di Chicago - che dopo sei anni gli ha inopinatamente negato una cattedra per le pressioni svolte dall'avvocato Alan Dershowitz e dalla Lobby filo israeliana - sarebbe stato arrestato per ordine del Ministero israeliano dell'interno e dello Shin Beth. Da un incaricato del Ministero gli è stato riferito di essere stato bandito per "ragioni di sicurezza" dallo stato ebraico per dieci anni. Le parole - si sa - sono più pericolose delle bombe. Per questo soffocare il dibattito sul passato sionista e sull'occupazione, diffamare chi rappresenta una voce fuori dal coro, aggiustare le notizie ed enfatizzare l'allarmismo, rientrano tra i compiti principali degli instancabili centri di propaganda dell'establishment militare e politico israeliano. Il diniego di ingresso a Finkelstein lo conferma, da un lato, e dall'altro indica che la critica portata al sistema lobbystico (USA e) israeliano dall'intellettuale americano, ebreo e figlio di genitori scampati alla Shoah, così come quello di molti suoi colleghi (tra di essi, solo per citarne alcuni, Tony Judt, Ilan Pappe, Neve Gordon, Noam Chomsky, i compianti Tanya Reinhart e Baruch Kimmerling), colpisce nel segno. (Nella foto: Finkelstein al dibattito "In Defense of Academic Freedom", 12 ottobre 2007, Rockefeller Chapel - University of Chicago).
venerdì, maggio 23, 2008
Raffaele Ciriello, un vergognoso silenzio
Il 13 marzo 2002, colpito da una raffica proveniente da un carro armato israeliano, moriva a Ramallah il reporter italiano Raffaele Ciriello, noto fotografo di guerra, mentre stava documentando un rastrellamento dell'esercito israeliano nei Territori occupati palestinesi. La consulenza medico-legale poi disposta in Italia sul corpo di Ciriello avrebbe evidenziato che il reporter era stato colpito da cinque proiettili cal. 7.62 Nato che avevano provocato lesioni al fegato, alla milza, allo stomaco, all'intestino e fratture multiple al bacino. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, che aveva intrapreso il relativo procedimento penale per acclarare i fatti ed individuare gli autori del crimine, ricostruiva così l'omicidio in base al video girato dallo stesso Ciriello mentre subiva i colpi mortali (nella foto tratta, dal video, la raffica del tank israeliano) e alle testimonianze dei presenti in quel momento sul posto: «1. A un dato momento un uomo non identificato, indossante un giubbotto blu, spara quattro colpi di fucile in direzione del carro armato; 2. Non si nota alcuna reazione immediata da parte del carro armato; 3. [Amedeo] Ricucci filma il carro armato per un buon numero di secondi; 4 Subito dopo Ciriello inizia pure lui a filmare il carro armato, ma viene subito colpito: nel filmato che egli sta girando si vede chiaramente il tracciato della raffica che sta per colpirlo, proveniente dala carro armato. 5. La raffica che ha colpito Ciriello è stata sparata dal carro armato 55 secondi dopo i quattro colpi di fucile esplosi dall'uomo non identificato indossante il giubbotto blu: ciò emerge chiaramente dal nastro di Ciriello, il quale ha filmato senza interruzione durante quel lasso di tempo». Precisava quindi la Procura che Ciriello si era sporto dall'edificio per riprendere il carro armato israeliano, che era passato quasi un minuto dai colpi sparati da un miliziano palestinese e che questi colpi (sparati con un Kalashnikov) non erano idonei a perforare la blindatura di un carro armato del tipo ritratto nei fotogrammi. Il giorno prima, 12 marzo, come riferito da un altro testimone, Norberto Sanna della RAI, il tetto dell'albergo City Inn di Ramallah, che notoriamente ospitava solo giornalisti, era stato bersagliato dai colpi dell'esercito israeliano per venti o trenta minuti. Solo più di un anno dopo (nel luglio del 2003), il governo israeliano rispondeva alla richiesta di rogatoria inoltrata dalla Procura milanese nei seguenti termini: «Poichè lo Stato di Israele e la Repubblica Italiana hanno entrambi ratificato la Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, in data 18 giugno 2002 questo Ufficio, tramite il Ministero della Giustizia in Roma, inoltrava una rogatoria alle Autorità competenti dello Stato d'Israele, le quali venivano richieste di 1. identificare il predetto carro armato, il suo equipaggio e la persona che esplose i colpi che causarono la morte di Raffaele Ciriello. 2. Informare questo Ufficio circa i risultati di qualsiasi inchiesta amministrativa o giudiziaria che fosse condotta dalle Autorità dello Stato d'Israele sul fatto di cui sopra. La risposta alla lettera rogatoria perveniva a questo Ufficio solo nel luglio del 2003 tramite una lettera proveniente dal Ministero della giustizia dello Stato di Israele. In verità tale missiva non rispondeva al quesito n. 1, ma soltanto - e parzialmente - la quesito n. 2, trasmettendo una relazione d'inchiesta redatta dalla Forze armate israeliane circa l'incidente». La relazione dell'IDF, fatta propria dal Governo israeliano concludeva dichiarando - in buona sostanza - che si era trattato di un "evento sfortunato e tragico" e che "non vi era alcun torto a carico delle forze IDF coinvolte". L'11 settembre del 2003, la Procura della Repubblica a Milano, dopo aver sottolineato le circostanze rilevanti del delitto commesso ai danni del fotografo italiano, vista la reticenza del governo israeliano e la necessità che i fatti venissero comunque sottoposti ad una autorità indipendente (diversa dall'esercito israeliano e dal suo governo, che del primo era stato semplice portavoce) era quindi costretta a richiedere l'archiviazione del procedimento per essere rimasti ignoti gli autori del crimine e a trasmettere gli atti al governo per ottenere l'instaurazione di un procedimento penale all'estero, chiedendo che «il signor Ministro della Giustizia voglia valutare l'opportunità di proporre la denuncia prevista dalla predetta norma [art. 21 della Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 - Legge 23.2.1961, n. 215], onde ottenere che si instauri un procedimento penale dinanzi all'autorità giudiziaria dello Stato di Israele circa l'uccisione del cittadino italiano Ciriello Ascanio Raffaele». Da allora, il silenzio.
mercoledì, maggio 21, 2008
Enzo Baldoni, nuove tessere del mosaico iraqeno
La vicenda di Enzo Baldoni, trucidato in Iraq nell'agosto 2004, torna continuamente d’attualità e lo farà per molto, credo, confidando così che vengano nel frattempo alla luce tante altre oscure vicende del puzzle iraqeno. E’ del 13 maggio 2008 un’intervista concessa in esclusiva a “Democracy Now!” in cui un ex graduato dell’intelligence militare USA rivela che l’Hotel Palestine di Baghdad era stato inserito in un elenco di possibili obiettivi da parte dell'esercito statunitense prima dell’uccisione di due giornalisti, avvenuta nell'aprile del 2003. Appunto l'8 aprile di quell'anno l'esercito americano bersagliò inopinatamente l’albergo Palestine. Il fatto - accidentale secondo il Pentagono - provocò la morte di due cameraman, Taras Protsyuk di Reuters e Jose Couso dell'emittente spagnola Telecinco. L’amministrazione Bush negò poi di consegnare i responsabili dell’attacco al Palestine per essere processati all'estero e gli stessi militi non vennero peraltro mai incriminati negli Stati Uniti. Proprio citando l'intervista di cui sopra, è del 15 maggio un comunicato dell'IFJ (Federazione Internazionale dei Giornalisti) che lamenta che gli USA "dovrebbero rivelare tutta la verità" sull'incidente al Palestine, avvenuto proprio un giorno prima che Baghdad cadesse in mano alle forze di invasione americane. Inutile sottolineare che l’episodio ce ne ricorda un altro del nostro recente passato iraqeno: l’impunità accordata ai responsabili dell’uccisione di Nicola Calipari e del ferimento di Giuliana Sgrena sulla strada per l'aeroporto di Baghdad. Più in generale e traendo spunto dall’attacco al Palestine, l'ex sergente dei servizi di informazione USA intervistata da "Democracy Now!", certa Adrienne Kinne (affiliata ad una associazione di veterani), rivela ora non solo di aver visto l’elenco secondo cui il Palestine era un possibile bersaglio - particolare inconciliabile col fatto che tutti sapevano che l’Hotel era solito ospitare giornalisti (circa 150 al momento delle esplosioni USA) - ma anche che in quel periodo (2003 - 2004) erano sotto controllo dell'intelligence statunitense tutte le possibili comunicazioni provenienti da organizzazioni non governative e giornalisti (anche americani) in Iraq. La Kinne prestava allora servizio a Fort Gordon, in Georgia, e la missione in cui era coinvolta, insieme ad un’altra ventina di persone, includeva l’intercettazione di tutte le comunicazioni satellitari di provenienza iraqena e afghana. Si trattava - dichiara la Kinne - di migliaia e migliaia di conversazioni e dell’identificazione di altrettanti numeri correlati ad ogni genere di attività in corso in quei paesi. Precisa infatti l'ex sergente americano: “nel corso del tempo, visto che lentamente cominciavamo ad identificare numeri e loro titolari, la cosa che mi diede grande preoccupazione fu che cominciavamo a trovare sempre più numeri che non appartenevano ad alcuna organizzazione affiliata al terrorismo o alle milizie iraqene e afghane o simili, ma ad organizzazioni umanitarie, Organizzazioni non governative, compresa la Croce Rossa, la Mezzaluna Rossa, Medici Senza Frontiere ed una gran quantità di organizzazioni per gli aiuti umanitari. Ed erano inclusi anche i giornalisti”. La conversazione dura a lungo e sono molti gli spunti meritevoli di approfondimento. Ma non è difficile immaginare perchè la si possa collegare anche agli ultimi giorni di Enzo Baldoni.
sabato, maggio 10, 2008
Fiera del Libro, materiale infiammabile
Tv7, 9 maggio 2008, collegamenti con Beirut, infiammata dalle avvisaglie di una guerra civile, ma soprattutto alla Fiera del Libro di Torino, trasformata nell'evento del giorno. Raccogliendo l'ultimo 'la' del presidente Napolitano, la parlamentare Nirenstein - recente acquisto nel percorso imperiale filo sionista berlusconiano - conferisce expressis verbis e formalmente senso a quel germe di scomposta critica alla politica israeliana (qualificata nell'occasione propaganda menzognera) che sta a monte del confuso boicottaggio della Fiera del capoluogo piemontese. Se qualcuno avesse avuto un dubbio sulla possibile strumentalizzazione dell'autorevole patronage presidenziale e dell'ambigua atmosfera della Fiera stessa in funzione politica pro israeliana, ora se lo è tolto. La macchina della propaganda globale che lavora all'ombra della stella di David e che finora per lo più negli USA (in Israele la questione è assai più faticosa, perchè la gente vede le cose) era riuscita a convogliare in uno stesso improbabile calderone filo sionisti, neoconservatori, guerrafondai, venditori di morte e scadenti simulacri di cristianità da avanspettacolo, ha infine penetrato (con buona pace di autorevoli analisti) il circuito europeo, spalmando i proiettili avvelenati dell'arma che si è dimostrata, nel corso degli ultimi decenni, la più efficace. Assai più dei miliardi di dollari impiegati dagli USA per fornire lo stato ebraico di ogni mezzo atto a perpetuare la sua politica di spudorato apartheid, l'establishment israeliano ha capito da tempo che la guerra si fa sui media e che la ridondanza delle armi - anche quelle nucleari - e le sortite militari sono solo un utile corollario quando la strada è stata prima spianata dalla parola. La parola ossessiva, reiterata, inoculata giorno per giorno. La parola del preconizzato Grande Fratello che passo passo convince che la storia - come i libri - è inutile e dannosa, che la guerra è pace. Complimenti agli esecutori, naturalmente, missione ancora una volta (quasi) compiuta, ma soprattutto congratulazioni ai soliti semplici astanti, agli spettatori disinvolti, a chi nella storia ha sorbito di tutto ed anche stavolta ingolla ogni cosa. A chi non ha visto prima, a chi non c'era e non poteva sapere. Fino al prossimo mescolone, fino alla prossima occasione di riversare ipocrisia e tardivo pentimento nella pignatta ribollente di una nuova ingiustizia.
giovedì, maggio 08, 2008
Mahmoud e Khalil, solo statistica
Striscia di Gaza, 20 aprile 2008. Mahmoud abu Khobayze urla strisciando sull'asfalto. Dietro di lui Khalil Dogmoush è morto nell'attacco al fuoristrada della Reuters accanto al quale giace un'altra vittima.
Mahmoud abu Khobayze, 16 anni. Era un giorno come gli altri. Potevo sentire sparare, ma era molto, molto lontano, così sono andato semplicemente a scuola. Non riesco nemmeno a ricordare che lezioni c'erano, inglese e arabo, penso. Khalil Dogmoush, 19 anni, il maggiore di otto fratelli, aveva seguito il padre Ismail nel commercio, gestiva un laboratorio per il taglio del granito. Era un ragazzo intelligente e avrebbe potuto fare qualsiasi cosa - dice Ismail - ma aveva dimostrato grande capacità come uomo d'affari. Nessuno avrebbe potuto credere che aveva solo 19 anni, sembrava un uomo di maggiore esperienza. Impiegava sette persone nella sua attività, in un momento in cui il lavoro è molto raro a Gaza.
Il fuoristrada della Reuters aveva a bordo due tra i vincitori di premi del team dell'agenzia, tra di essi Fadel Shana. L'autoveicolo portava le chiare insegne di un mezzo della stampa. L'equipaggio aveva cercato un punto di vista favorevole per filmare le forze armate israeliane. Ho visto la Jeep che si fermava dove c'è una vista sui campi e gli occupanti sono scesi a sistemare il loro treppiede e la telecamera - dice Mahmoud - un paio di ragazzi del villaggio erano andati dal cameraman, io ero ancora a 50 metri di distanza.
Ho sentito la prima esplosione, ho gettato la bicicletta e sono caduto a terra - continua Mahmoud - avevo tagli sul collo e sul petto, ma mi potevo muovere, così ho cominciato a strisciare via.
La detonazione del primo colpo di cannone dal carro armato aveva colto Khalil mentre guidava verso casa dopo un giorno di lavoro. Aveva due amici a bordo dell'auto. ma si era fermato ed era corso verso la Jeep danneggiata per vedere se poteva fare qualcosa. Aveva appena oltrepassato Mahmoud, che strisciava sull'asfalto quando è esploso un secondo colpo dal carro armato. Questo conteneva centinaia di piccoli dardi d'acciaio. Fanno piccole ferite d'entrata, ma terribili danni quando entrano nel corpo umano Khalil è stato colpito da molti di questi dardi e uno è penetrato nel cuore.
I dottori sono riusciti a togliere due schegge dal collo e dal petto di Mahmoud abu Khobayze, ma una flechette è penetrata in profondità nell'addome. Il dottor Ahmed Akram ha detto che la flechette ha causato estesi danni ai nervi. Se Mahmoud potrà ancora camminare, lo farà zoppicando.
Hanno seppellito Khalil Dogmoush giovedì, dopo le preghiere di mezzogiorno. Suo nonno novantenne, da cui il ragazzo aveva preso il nome, è passato attraverso tre occupazioni straniere di Gaza, due guerre e decenni di violenza e di resistenza ed era solito vantarsi di non avere mai pianto in pubblico. Alla vista del corpo del nipote è caduto a terra, gemendo.
(Stralci, riassunto e foto dal Telegraph del 23 aprile 2008)
Mahmoud abu Khobayze, 16 anni. Era un giorno come gli altri. Potevo sentire sparare, ma era molto, molto lontano, così sono andato semplicemente a scuola. Non riesco nemmeno a ricordare che lezioni c'erano, inglese e arabo, penso. Khalil Dogmoush, 19 anni, il maggiore di otto fratelli, aveva seguito il padre Ismail nel commercio, gestiva un laboratorio per il taglio del granito. Era un ragazzo intelligente e avrebbe potuto fare qualsiasi cosa - dice Ismail - ma aveva dimostrato grande capacità come uomo d'affari. Nessuno avrebbe potuto credere che aveva solo 19 anni, sembrava un uomo di maggiore esperienza. Impiegava sette persone nella sua attività, in un momento in cui il lavoro è molto raro a Gaza.
Il fuoristrada della Reuters aveva a bordo due tra i vincitori di premi del team dell'agenzia, tra di essi Fadel Shana. L'autoveicolo portava le chiare insegne di un mezzo della stampa. L'equipaggio aveva cercato un punto di vista favorevole per filmare le forze armate israeliane. Ho visto la Jeep che si fermava dove c'è una vista sui campi e gli occupanti sono scesi a sistemare il loro treppiede e la telecamera - dice Mahmoud - un paio di ragazzi del villaggio erano andati dal cameraman, io ero ancora a 50 metri di distanza.
Ho sentito la prima esplosione, ho gettato la bicicletta e sono caduto a terra - continua Mahmoud - avevo tagli sul collo e sul petto, ma mi potevo muovere, così ho cominciato a strisciare via.
La detonazione del primo colpo di cannone dal carro armato aveva colto Khalil mentre guidava verso casa dopo un giorno di lavoro. Aveva due amici a bordo dell'auto. ma si era fermato ed era corso verso la Jeep danneggiata per vedere se poteva fare qualcosa. Aveva appena oltrepassato Mahmoud, che strisciava sull'asfalto quando è esploso un secondo colpo dal carro armato. Questo conteneva centinaia di piccoli dardi d'acciaio. Fanno piccole ferite d'entrata, ma terribili danni quando entrano nel corpo umano Khalil è stato colpito da molti di questi dardi e uno è penetrato nel cuore.
I dottori sono riusciti a togliere due schegge dal collo e dal petto di Mahmoud abu Khobayze, ma una flechette è penetrata in profondità nell'addome. Il dottor Ahmed Akram ha detto che la flechette ha causato estesi danni ai nervi. Se Mahmoud potrà ancora camminare, lo farà zoppicando.
Hanno seppellito Khalil Dogmoush giovedì, dopo le preghiere di mezzogiorno. Suo nonno novantenne, da cui il ragazzo aveva preso il nome, è passato attraverso tre occupazioni straniere di Gaza, due guerre e decenni di violenza e di resistenza ed era solito vantarsi di non avere mai pianto in pubblico. Alla vista del corpo del nipote è caduto a terra, gemendo.
(Stralci, riassunto e foto dal Telegraph del 23 aprile 2008)
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