venerdì, settembre 30, 2005

Il conflitto arabo israeliano palestinese for dummies (seconda parte, 1948-1970)

Allora, dove eravamo rimasti? Ah, sì .... la guerra del 1948.
E’ un terreno minato.
La questione ebraica come la si è ereditata dopo secoli di antisemitismo culminati nella Shoah, impedisce per lo più ancora oggi un approccio obbiettivo al problema. Inoltre, le fonti scritte sull’intera questione palestinese sono sovrabbondanti da parte ebraica e molto carenti (e sempre parziali) da parte arabo-palestinese. Sicchè le fonti più attendibili sembrano essere proprio quelle israeliane, che faticosamente hanno recuperato obbiettività, e vengono considerate – in Israele – quasi blasfeme. Per quanto ho potuto appurare, soprattutto da fonti israeliane dell’estrema sinistra, le forze ebraiche e poi israeliane erano infinitamente superiori per numero, mezzi, organizzazione e capacità strategiche in prevenzione.
Senza scendere nei particolari:
- gli ebrei avrebbero potuto contare su ingentissimi aiuti economici dall’estero e su altrettanto importanti azioni di sabotaggio per bloccare fuori dalla Palestina gli aiuti (armi) ottenuti dagli arabi-palestinesi all’estero;
- gli eserciti arabi sarebbero stati scollegati, disorganizzati e non motivati. I loro capi corrotti e interessati. La popolazione palestinese terrorizzata e male armata.
Si dice che esistesse da anni un piano di invasione dell’intera Palestina da parte ebraica ed evacuazione dei nativi, confidando nel momento di assoluto squilibrio che sarebbe derivato dalla partenza degli inglesi. Sono questioni abbondantemente riferite sia da autori arabi e palestinesi sia da autori israeliani. E questi ultimi parlano di vera e propria “rimozione”, oggi, da parte degli israeliani, dei fatti umani – ingiustificabili – che hanno favorito la nascita dello Stato di Israele.
Se vogliamo fare una previsione, ci vorranno ancora ... diciamo dieci anni per ottenere dei resoconti ufficialmente imparziali di quel momento storico.
Torniamo a noi. Siamo sempre nel 1948. In poche settimane Israele (appena proclamato) occupa la maggior parte del territorio che avrebbe dovuto essere lo Stato di Palestina, oltre a Gerusalemme ovest (che avrebbe dovuto essere internazionalizzata).
Restano sotto controllo arabo-palestinese:
- la “Striscia di Gaza“ (sotto controllo egiziano)
- il “West Bank” (o Cisgiordania) (sotto controllo giordano)
- e Gerusalemme Est (sotto controllo giordano)

L’ONU manda per mediare e organizzare un accordo tra israeliani e arabi-palestinesi il conte Folke Bernadotte. E’ una Pessima idea. Il conte sviluppa alcune proposte rifiutate da ambo le parti e il 17 settembre 1948 viene assassinato dalla banda Stern (v. sopra) e qualcuno – più malizioso – dice con la connivenza delle dirigenze politiche e militari israeliane.
L’11 dicembre 1948 l’Assemblea Generale dell’ONU approva la risoluzione 194 sottolineando l’idea di un regime internazionale per Gerusalemme e per risolvere (almeno economicamente) il problema dei profughi palestinesi.
L’ 11 maggio Israele diventa membro dell’ONU con l’intesa che avrebbe favorito le risoluzioni 181 e 194. (Il che non accadrà)
1949 viene stipulato l’armistizio con gli stati arabi confinanti e stabilita una “linea dell’armistizio” da non valicarsi tra le parti. Tanto l’armistizio quanto la linea non verranno rispettati.
Le cose vanno avanti malamente ancora per qualche anno e precipitano nel 1956 quando il Presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, acceso nazionalista, decide di ....nazionalizzare il canale di Suez (cioè prendere il controllo anche economico, importantissimo, del canale che consente il passaggio dall’oceano indiano => al mar rosso => al mar mediterraneo).

Ne nasce il secondo conflitto in Arabo – Israeliano. Sarebbe meglio metterci una mappa, ma lasciamo stare. Vabbè, quando l’Egitto dichiara di nazionalizzare il canale di Suez, ....che sta in Egitto, immediatamente Inghilterra, Francia e Israele si alleano e “muovono guerra” all’Egitto.
In pratica: Israele coglie l’occasione e invade il Sinai e la Striscia di Gaza. Punto. Interviene l’ONU e costringe Francia e Inghilterra a desistere. Israele è costretto a lasciare il Sinai .... ma mantiene il controllo sulla Striscia di Gaza.
Solo nel 1957 Israele si ritira infine dalla Striscia di Gaza e intervengono le Forze di Emergenza dell’ONU. Nel frattempo è proprio il presidente egiziano Nasser a patrocinare la formazione di una coscienza nazionale palestinese sempre stata assai scarsa: i palestinesi non hanno mai avuto l’impulso di appartenere a qualcosa di diverso da uno degli stati arabi lì intorno. Sotto questo profilo la nascita di una identità palestinese è allo stesso tempo merito di Nasser che la ha teorizzata e di Israele che ha cercato di annichilire la popolazione nativa di quella terra, stimolando una reazione nazionalistica anche da parte di chi, il popolo palestinese, una nazione vera e propria non ce l’aveva mai avuta.
Qui e per qualche anno non ci sono questioni di rilievo, nel senso che non ci sono guerre, ma i palestinesi prendono atto non solo di non avere ottenuto il loro stato indipendente, ma che gli israeliani si stanno tranquillamente accomodando in casa loro. Tutta.
E nel 1964 nasce l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)
Passa qualche anno di schermaglie (nel 1965 l’ala militare del Fatah, movimento sotterraneo nazionalista palestinese nato nel 1959, inizia la lotta armata contro Israele, nel 1966 Israele attacca il villaggio di Al-Samuh facendo un sacco di morti ...... e prepara – si dice – la bomba atomica con l’aiuto dei francesi). Il 5 giugno 1967 a seguito di un ammassamento di truppe egiziane ai confini (e a tutta una serie di altre cose: incremento del nazionalismo arabo, desiderio di vendetta del presidente Nasser) Israele attacca simultaneamente l’Egitto, la Giordania e la Siria.

La guerra (il terzo conflitto arabo-israeliano) dura sei giorni (e così verrà ricordata ....con innegabile fantasia ..come la guerra dei sei giorni) ed è disastrosa per gli stati arabi, principalmente grazie all’aviazione israeliana.
Israele occupa tutta la Palestina (cioè, quella che gli mancava: Striscia di Gaza e West Bank) e Gerusalemme Est, e in più: la solita penisola del Sinai e le colline del Golan (che appartenevano alla Siria). Inutile dire che la guerra dei sei giorni crea un’altro po’ di profughi palestinesi (più di 300 mila persone scappano in Egitto, in Giordania e in Siria).
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU adotta una risoluzione (la 237) richiamando il governo israeliano a facilitare il rientro dei profughi. Manco a dirlo, immediatamente dopo l’occupazione del West Bank e della Striscia di Gaza, Israele comincia a confiscare terra palestinese – con buona pace della Convenzione di Ginevra ecc. ecc. – e a stabilirvi i noti insediamenti di coloni israeliani nei territori occupati. (Che costituiscono oggi uno dei motivi e dei pretesti principali per mantenere in vita il conflitto e in particolare per la costruzione del famoso “muro” o barriera difensiva).
Il 22 novembre 1967 l’ONU adotta la risoluzione 242 che esige il ritiro delle forze armate israeliane dai “territori occupati” nel conflitto e afferma la necessità di realizzare una giusta soluzione del problema dei profughi e di garantire l'inviolabilità territoriale e l'indipendenza politica di “ogni Stato” della regione. La risoluzione afferma anche la necessità di raggiungere una giusta sistemazione del problema dei profughi.
La risoluzione 242 (accettata da USA e Israele solo a causa della sua ambigua formulazione) viene forzatamente interpretata (dagli Stati Uniti e da Israele) e ricondotta al senso che essa autorizzi la continuazione del controllo israeliano sui territori occupati. La questione viene riproposta al Consiglio di Sicurezza nel gennaio 1976 e le relativa risposte - ovvie - che prevedevano un accordo sulla “linea verde” e l’esistenza di uno stato palestinese, incontrano l’ovvio veto degli USA.
Negli anni successivi le fazioni armate palestinesi – che non hanno ottenuto un accidente dal punto di vista armato – cominciano ad organizzarsi politicamente e si aggregano all’OLP.
Nel 1969 Yasser Arafat (di Al Fatah) diventa Presidente e assume il controllo dell’OLP.
Gli scontri continuano: umiliazioni che causano azioni dei palestinesi che causano reazioni degli israeliani che causano altre azioni dei palestinesi .......e così via, che conducono a qualche iniziativa dell’ONU (ndr. risoluzioni al vento).
La resistenza palestinese, cioè migliaia di palestinesi armati dell’OLP, si è nel frattempo spostata in Giordania, dove evidentemente (ha un sacco di problemi e) crea un sacco di problemi. Nel settembre 1970 mentre da una parte si cerca di dare un senso alle risoluzioni dell’ONU e ci sono negoziati tra i rappresentanti dell’Egitto, Giordania e Israele, il PFLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) dirotta quattro aeroplani e li fa atterrare all’aeroporto di Al Mafrak in Giordania. Lo stesso mese il Governo giordano (re Hussein) ne ha le scatole piene e fa intervenire l’esercito che fa un massacro dei palestinesi (centinaia di morti: episodio che verrà ricordato come “Settembre Nero”). Continuano comunque le schermaglie tra le fazioni armate palestinesi e gli eserciti di Giordania e anche Siria, perchè i gruppi armati palestinesi dopo “Settembre Nero” si sono spostati a Nord (vedi mappa). La leadership della resistenza palestinese si sposta infine in Libano (con conseguenze che risulteranno disastrose).
Qui occorre precisare che i paesi arabi confinanti con Palestina e Israele sono stati intorno al problema palestinese per propri interessi (per esempio per annettere pezzi di Palestina) e infine hanno mollato il colpo stipulando accordi bilaterali con Israele. Sicchè una solidarietà con il popolo palestinese sopravvive in questi stati arabi, attualmente, quasi solo a livello di sentimento popolare.

Il conflitto arabo israeliano palestinese for dummies (prima parte, 1895-1948)

La storia del conflitto in Palestina ha origine nella notte dei tempi, probabilmente con le prime schermaglie fra tribù costituite da poche decine o centinaia di persone (poco più che grandi famiglie allargate), che svariate migliaia di anni fa hanno visto vincitrice la famiglia o il gruppo di famiglie, di volta in volta più forte o più evoluto.
Comunque evidentemente queste tribù hanno sempre trovato particolarmente interessante ottenere il predominio su questa striscia di terra – poco più grande della Sicilia – che si affaccia sul mare Mediterraneo nella parte estrema occidentale della cosiddetta mezzaluna fertile (in inglese: “fertile crescent”). Zona a forma di mezzaluna che parte più o meno dal Quwait, percorre verso nord la Mesopotamia, si allarga fino all’Iraq e poi ricomincia a scendere lungo l’attuale Palestina-Stato di Israele, costeggia il Sinai e arriva al delta del Nilo.
Non è questa la sede per parlare di come e perchè ha luogo una guerra tra famiglie, tribù, popoli contigui. Si può però immaginare che in origine, svariate migliaia di anni addietro, si sia trattato della conquista di piccole fonti di maggior benessere per i propri più vicini parenti e gruppi, quali le sorgenti di acqua potabile, l’approdo al mare, terra più fertile, ove fosse più agevole costruire delle dimore, una posizione morfologicamente vantaggiosa per anticipare le mosse del “nemico” ecc. ecc.
Ma è sicuramente inutile cercare di ripercorrere qui i fatti che si sono avvicendati, veri o presunti tali, nel corso dei millenni, i popoli che vi sono vissuti e i regni che vi sono sorti, vi hanno prosperato, lottato e vi hanno trovato fine.

La zona che ci interessa è sulla parte sopra il Sinai, più o meno, la parte che si affaccia sul mare a sud-sud-ovest di Cipro e confina a destra il Mar Morto e con il fiume Giordano. Dall’altra parte, a destra del Giordano, c’è un altro pezzo di terra di Palestina, che è diventata autonoma abbastanza presto, si chiama oggi Giordania e ....non partecipa più direttamente al conflitto – per qualche verso simile ad una guerra civile – ancora oggi in corso. Come già detto, comunque, l’odierna Palestina è poco più grande della Sicilia (o della Lombardia) ed è diventata nella sua gran parte, nel 1948 e con le occupazioni successive, il neo-nato Stato di Israele. Per secoli e secoli è stata una zona piuttosto povera e malmessa, eppure questa zona – popolata in alcuni suoi punti (Gerico) da centinaia di migliaia di anni – viene considerata da miliardi di persone il “centro” del mondo. In questa terra sono nate e si sono sviluppate verso il resto del mondo, nell’ordine, le tre religioni monoteiste: l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam. Questa terra, piccolissima, sembra essere oggi il punto di partenza, il simbolo o il pretesto dei conflitti tra mondo occidentale (giudaico-cristiano) e mondo islamico.
Siccome da un certo punto della storia bisogna partire, senza risalire alla notte dei secoli, lo scegliamo abbastanza vicino e cerchiamo di fare un grosso lavoro di sintesi, naturalmente a scapito della precisione.

Nel 1895 la popolazione totale della Palestina è di circa 500 mila persone di cui meno di 50 mila ebrei, in piccoli gruppi giunti o ritornati in Palestina per motivi principalmente religiosi.
Nel 1896 il giornalista Theodore Hertzl, nato a Budapest, fonda in Austria – come reazione all’antisemitismo che sta prendendo sempre più piede in Europa - il movimento sionista (in realtà la cosa è un po’ più complicata, ma lasciamo perdere) e scrive Der Judenstaat (Lo Stato Ebraico).
In questo libro teorizza la possibilità di costituire in Palestina (o in Argentina) una Nazione che accolga gli ebrei, che, secondo la tradizione, dalla Palestina assumono di essersi dispersi per tutto il mondo. La novità dello Stato ebraico è congiungere o ricongiungere e collocare in una stessa terra, un popolo che ha perso, nel corso dei millenni la propria identità etnica, mantenendo una fortissima tradizione comune, identità culturale e religiosa. Di qui l’impossibilità di assimilare l’antisemitismo ad una forma di razzismo, poichè con le “razze” il primo non c’entra comunque più nulla e chiamar antisemitsmo l’avversione agli ebrei è in realtà una pura questione terminologica.
Nel suo Stato Ebraico, tuttavia, Hertzl ipotizza – come abbiamo detto – che questa collocazione possa avvenire non solo in Palestina, ma anche in Argentina. Il termine sionista deriva invece da Sion, una piccola collina di Gerusalemme.

Nel frattempo l’impero ottomano (i turchi), che si estendeva anche in Mesopotamia (terra in mezzo ai due fiumi, Tigri ed Eufrate), nella mezzaluna fertile e ovviamente in Palestina, si sta sfaldando.
E viene diviso dopo la prima guerra mondiale tra le potenze vittoriose. O meglio, tra due delle nazioni che risulteranno vincitrici: l’Inghilterra e la Francia. Queste iniziano a spartirsi tutta la zona .....prima che sia effettivamente suddivisa. In particolare, la potentissima Inghilterra promette a destra e a manca larghe zone della Palestina, che non è o non è ancora “roba sua”:
- nel 1915-1916 agli arabi (a cui viene promesso uno stato indipendente mediante scambio di lettere tra Sir Henry Mac Mahon e l’emiro della Mecca);
- nel 1916 alle potenze europee vincitrici in generale, per mantenere sotto la loro sfera di influenza europea la zona sacra alle tre religioni monoteiste, affidata ad una ipotetica amministrazione internazionale (mediante gli accordi segreti Sikes – Picot, con i quali venivano anche attribuite alla Francia le attuali zone di Libano e Siria e all’Inghilterra le zone attuali di Giordania e Iraq);
- nel 1917 agli ebrei (movimento sionista) con la Dichiarazione di Balfour
Questo punto, la Dichiarazione di Balfour è importantissimo e necessiterebbe di essere approfondito ..... In estrema sintesi: è una lettera indirizzata dal ministro degli esteri inglese, Sir Arthur James Balfour a Lord Rothschild, importantissimo e ricchissimo esponente del sionismo europeo, nella quale (lettera) si dichiara che il governo di sua maestà (britannica) vede con favore lo stabilimento in Palestina di un “focolare nazionale” (national home) per il popolo ebraico, fermo restando che nulla possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle popolazioni non ebraiche in Palestina, nè ai diritti ed allo status politico degli ebrei negli altri Paesi.
Invece, nel 1920, in buona sostanza l’Inghilterra riesce a tenersi la Palestina (confidando in una sua importanza strategica che invece verrà meno nel corso del tempo, regalando all’Inghilterra una serie di complicazioni inenarrabili e al mondo l’odierno inesauribile conflitto).
Infatti le potenze alleate vittoriose nella prima guerra mondiale inaugurano, per mezzo della Società delle Nazioni (nata con funzioni in prospettiva poi riprese dall’ONU), il sistema dei “mandati” e affidano per farla breve la Palestina al “mandato” (cioè alla tutela, al controllo e quindi all’ipotetico sfruttamento, anche strategico) britannico, con l’impegno che verrà applicata la Dichiarazione di Balfour.
Gli inglesi si insediano quindi in Palestina per condurre questa terra povera, desolata, priva di strutture e di ricchezze, a quel minimo grado di “civiltà” politica e sociale che, secondo il metro occidentale europeo, potrà consentirle innanzitutto .....di essere utile all’Europa dei vincitori.
Invece lo sfacelo lasciato dall’impero ottomano e le complicazioni causate dall’immigrazione su larghissima scala di ebrei dall’Europa (in terra sostanzialmente islamica e abitata da arabi) in virtù della Dichiarazione di Balfour, fanno presto capire all’Inghilterra che tenersi la Palestina non è stato un buon affare.
Innanzitutto, la Palestina viene presto suddivisa in due zone, a est e ad ovest del Giordano. La parte est verrà resa autonoma e diventerà il regno di Transgiordania (poi Giordania). La parte ovest rimane sotto mandato britannico.
E’ una lotta continua tra palestinesi, nativi, che vogliono ottenere l’indipendenza dall’Inghilterra, ed ebrei, che vogliono ottenere quello che la famosa Dichiarazione di Balfour fa concretamente ed obiettivamente intravedere: la nascita dello stato ebraico. L’Inghilterra (che, sicura di guadagnarci si era comportata con una ambiguità internazionale difficilmente superabile) fa buon viso a cattivo gioco, da “un colpo al cerchio e un colpo alla botte” e cerca di galleggiare al meglio per ...... 28 anni.
Andiamo avanti:
- nei dieci anni successivi (siamo ormai al 1930) emigrano in Palestina circa 100 mila ebrei e le persecuzioni degli ebrei in Europa ad opera dei nazisti ne incrementa il flusso (legale o fuori controllo e quindi illegale) verso la Palestina;
- si formano – sia tra gli arabi-palestinesi, sia tra gli ebrei – gruppi politici e sociali, sindacati e gruppi militarizzati (p. es. l’Haganah, che diventerà poi l’esercito israeliano);
- entrambe le fazioni danno corso – attraverso i gruppi più oltranzisti – a manifestazioni terroristiche;
- si formano gruppi ebraici la cui unica funzione è quella di favorire l’immigrazione clandestina; (il Mossad – che attualmente è il servizio segreto “estero” israeliano - nasce così, quale ente per l’immigrazione parallela)
- nasce (nel 1929 a Zurigo) l’Agenzia Ebraica, formazione politica “propedeutica” al governo del futuro Stato Ebraico, con il compito di rappresentare il movimento indipendentista ebraico, che naturalmente gli arabi non riconoscono.
Nel 1937 viene istituita una Commissione Reale Britannica, la Commissione Peel, per investigare e
trovare una soluzione ai problemi. Il rapporto Peel (udite! udite!) raccomanda la ....spartizione della Palestina. Invece, nel 1939, dopo una serie di conferenze separate anglo-ebraiche ed anglo-arabe, viene stilata una “carta” (Mc Donald White Paper) – cosiddetto “libro bianco” che prevede la fine del mandato britannico per il 1949 e la formazione di uno stato arabo indipendente, dotato di un incomprensibile ed infattibile governo congiunto palestinese-ebraico, con limiti all’immigrazione ebraica (quella legale) per cinque anni e limiti alla vendita di terre arabo-palestinesi (che invece gli ebrei cominciano a comprare, con soldi provenienti da fondi ebraici occidentali, dai latifondisti arabi che non hanno nessun interesse, se non economico, per questa terra affidata al lavoro degli altri, e che vivono in Libano e altrove). Risultato: nel 1940 la popolazione ebraica in Palestina è di circa 450 mila persone su un totale di un milione e mezzo. Il 30%. Il conflitto tra diverse culture, economie, religioni, tradizioni, interessi, è alle stelle. E le azioni terroristiche, principalmente contro gli inglesi, ma naturalmente anche tra opposte fazioni arabe ed ebraiche, si sprecano.

Nel frattempo la seconda guerra mondiale e la sua fine farà conoscere - meglio: confermerà - al mondo gli orrori della Shoah (tragedia, distruzione) e tutto il fardello di sofferenza inflitto dalla Germania nazista al popolo ebraico.
L’Agenzia Ebraica cerca intanto di ottenere supporto dai movimenti sionisti negli Stati Uniti e ci riesce nel 1945 coinvolgendo uomini del Congresso ed ottenendo che il Presidente Harry Truman eserciti pressioni sul governo inglese per consentire un incremento dell’immigrazione ebraica. Il governo britannico resiste alle pressioni.
Il 22 luglio 1946 una accesa fazione terroristica sionista (Lehi o banda Stern, altri dicono Irgun, probabilmente entrambi) fa saltare in aria il King David Hotel a Gerusalemme, dove hanno sede gli uffici del governo britannico e parte del quartier generale: 86 morti.
Tra il settembre 1946 e il febbraio 1947 il governo britannico propone la suddivisione della Palestina in due autonome province sotto il proprio “Alto Commissariato”. Entrambe le parti (ebrei e arabi) respingono la proposta.
Nel 1947 l’Inghilterra, ormai decisa a svincolarsi di questa ingombrante ed infruttuosa colonia, decide di rimettere il mandato ricevuto dalla Società delle Nazioni e restituire il “problema Palestina” alle Nazioni Unite (ONU). Le azioni di sabotaggio e le azioni terroristiche continuano.
Viene istituita una apposita Speciale Commissione dell’ONU sulla Palestina (UNSCOP).
Viene adottata la Risoluzione ONU n. 181 (piano di ripartizione della Palestina in due stati, arabo ed ebraico, con amministrazione economica congiunta e amministrazione internazionale da parte dell’ONU per Gerusalemme).
L’Inghilterra fissa la data per la fine del suo mandato per il 15 maggio 1948. Il movimento sionista si muove per stabilire il controllo su maggior territorio. Il 9 aprile 1948 vengono massacrate principalmente ad opera della banda Stern 254 persone nel villaggio arabo di Deir Yassin, vicino a Gerusalemme.
Gli stati arabi, impreparati ad una qualsiasi azione comune, tanto meno in favore di un “popolo” palestinese (che ancora non ha una propria identità se non per il fatto di essere nato in una zona araba chiamata Palestina), dotati di incapaci dirigenze, prospettano il loro ambiguo ed interessato intervento militare a sostegno dei propri interessi sulla zona. E 750 mila palestinesi abbandonano intanto le proprie case in un esodo di massa (Nakba, tragedia) che è stato spiegato con il terrore indotto dalla violenza delle iniziative delle più accese fazioni ebraiche. Queste 750 mila persone, che hanno abbandonato – come detto - le proprie case, le proprie terre e i propri averi, costituiscono oggi il problema dei profughi, confinati da 56 anni in “campi profughi”, in territorio palestinese (striscia di Gaza o West Bank, occupati dagli israeliani nel 1967) ovvero ai margini, in tutti i sensi, di altri stati arabi.

Il 14 maggio 1948, un giorno prima dello spirare del mandato britannico viene proclamata la nascita dello Stato di Israele, asseritamente per favorire ed accelerare il piano di spartizione dell’ONU. Qui la questione diventa complicata: Secondo le fonti: a) per parte ebraica si sostiene che il piccolo stato appena nato, privo di mezzi e di strutture militari, venne letteralmente aggredito da una coalizione di armate arabe. b) per parte arabo-palestinese si sostiene che le fazioni ebraiche, foraggiate in armi e mezzi dal movimento sionista in occidente, si sono, per così dire, “portati avanti”, invadendo le maggiori città e villaggi palestinesi, terrorizzandoli o massacrandoli per recuperare territorio destinato allo stato arabo. Le cose non sono mai bianche o nere, ma difficilmente la verità sta in mezzo. Inizia quindi, il 15 maggio 1948 il primo conflitto arabo-israeliano in Palestina.

giovedì, settembre 29, 2005

Il conflitto arabo israeliano palestinese for dummies (preambolo)

Forse è meglio iniziare con ordine, dal libro usato per legittimare il ritorno in terra d’altri ma per volontà di Dio del popolo scelto da Dio. Questo periodo è affidato al racconto, alla leggenda, alla fantasia, alla fiaba ed alla convinzione che Dio abbia avuto necessità e voglia di scegliere dove e perchè tra miliardi di sistemi planetari un manipolo di creature tra miliardi e miliardi di creature sarebbe dovuto andare a spargere la sua irrisoria progenie. E come tale, come una fiaba, ce lo raccontiamo in breve.

In principio Dio fece il mondo, che era naturalmente perfetto perché era fatto da Dio, e siccome non poteva o non voleva occuparsene, fece anche l’uomo per governarlo e gestirlo, cioè in pratica per lavorarci. E così Dio prese l’uomo appena fatto e lo mise “nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”. E in cambio l’uomo? Boh, avrebbe goduto della presenza di Dio ...
Vabbè, dopo un po’ l’uomo, che oltre al lavoro e al godimento si trovò tra capo e collo anche la donna - naturalmente fatta da Dio - si ribellò e cercò di diventare come Dio, mangiando su suggerimento della donna una mela fornita loro da un serpente . Ma si può essere più rincoglioniti?.
Piuttosto contrariato Dio cacciò l’uomo e naturalmente la donna dal paradiso terrestre, sterminò gli uomini con il diluvio salvando solo Noè con moglie, tre figli - Sem, Cam e Iafet - e un bel po’ di animali, poi scelse Abramo e i suoi discendenti, che sono ebrei, ma anche arabi, per ripristinare – contento lui - un rapporto con l’umanità. E chi era Abramo? Era il figlio di Terach, che era figlio di Nacor, che era figlio di Serug, che era figlio di Reu, che era figlio di Peleg, che era figlio di Eber, che era figlio di Selach, che era figlio di Arpacsad, che era figlio di Sem, che era figlio di Noè. Non si sa bene come né perché, Dio promise solo agli ebrei la “terra promessa”. E gli altri? Gli altri ciccia.

Sia quel che sia, sembra che intorno al diciottesimo secolo avanti Cristo, i patriarchi del popolo ebraico, cioè Abramo, suo figlio Isacco e suo nipote Giacobbe, detto Israele (Bibbia, Libro dei Re), si insediassero in terra …d'Israele, cioè in terra di Giacobbe - sai la fantasia - che allora si chiamava ancora terra di Canaan. E chi era Canaan? Un figlio di Cam. Cioè un nipote di Noè. Nonché fratello di Put, di Etiopia e di Egitto. (Quella dei figli di Put è un’altra storia). Al tempo tuttavia quella terra, la terra di Canaan, che andava “da Sidone in direzione di Gerar fino a Gaza, poi in direzione di Sòdoma, Gomorra, Adma e Zeboim, fino a Lesa”, non forniva evidentemente di che vivere senza darsi un gran daffare, soprattutto nelle zona desertiche del Negev e del Sinai, argutamente scelte da Abramo per stabilirvisi, e l’insediamento durò fino ai primi periodi di carestia.
Intorno al 1500 a.c., quindi, la tribù dei figli di Israele, cioè di Giacobbe, nonostante Dio avesse loro promesso la terra promessa, cioè la Palestina, che però non si chiamava ancora Palestina ma terra di Canaan, era alla fame ed emigrava in Egitto approfittando del disfacimento dell’impero egiziano. Erano una settantina di persone in tutto, compreso Abramo, che era ancora vivo e dodici figli di Giacobbe, cioè di Israele.
Senonchè l’invasione da parte di quelli che erano stati ex contribuenti dei faraoni, come ex abitanti delle ex città-stato che si trovavano nella ex terra di Canaan - che infatti, nel frattempo, alcuni chiamavano Canaan, altri Israele, altri Palestina e altri, semplicemente, “qui” - non veniva ben vista dagli egiziani e soprattutto dal Faraone, disfatto forse, ma non ancora del tutto rimbecillito.
Secondo un uso probabilmente consueto in quel tempo, essendo forestieri, o ultimi arrivati, o pochi, o troppi, o antipatici, o semplicemente ebrei, i figli di Israele e parenti di Giacobbe, cioè di Israele, venivano ridotti in schiavitù dagli egiziani. Dopo alcuni secoli (boh?) di schiavitù, grazie ai favori resi al Faraone da Sara, moglie di Abramo, e in virtù di una complicata attività e l’uso di armi poco convenzionali di comune intesa con Dio (che invece di prendersela con Abramo se la prendeva con il Faraone, colpiva lui e la sua casa “con grandi calamità” e mandava le piaghe agli egiziani che non c’entravano nulla), gli ebrei, che nel frattempo erano diventati tanti, anche perché non morivano mai, guidati da Mosè, fuggivano o forse venivano cacciati a pedate o comunque decidevano di andarsene dall’Egitto. Aiutati da Dio attraversavano il Mar Rosso e invece di ringraziare Iddio rimanevano per una quarantina d’anni nel deserto del Sinai ad adorare un vitello d’oro. Dio, che in passato non si era dimostrato proprio propenso ad essere pigliato per i fondelli, dimostrava nel caso una gran pazienza e non li inceneriva.
Intorno al tredicesimo secolo a.c. (1250 a.c.) gli ebrei lasciavano il deserto e si dirigevano alla volta della solita (ex) terra di Canaan, da dove erano venuti. Gli è che, nel frattempo, cioè da un paio di centinaia di anni (1190 a.c. circa), altra gente - tra cui i cosiddetti popoli del mare indoeuropei o Filistei provenienti, sembra, da Creta - alla faccia della carestia si era sistemata stabilmente in quella terra, tra la costa e il fiume Giordano e conviveva forse pacificamente con chi vi era nato o cresciuto o rimasto, tra i quali gli Apiru, altri ebrei di cui con inesauribile fantasia moltissimi si chiamavano Yakubu, cioè Giacobbe. In pratica con tutti quelli che non erano parenti stretti di Giacobbe, cioè di Israele (quello di prima). Terra che allora veniva chiamata più o meno Filistina o Palestina o qualcosa del genere.
Gli ebrei di ritorno, dodici tribù, stavolta guidati da Giosuè, si davano quindi da fare per fare polpette di Filistei o popoli del mare, indigeni ebrei e indigeni innominati, diventati infine tutti palestinesi, ed insediarsi a casa loro. Si dice in proposito che carichi d'oro e accompagnati da “greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asine e cammelli” ciuffati da Abramo al Faraone (forse con la complicità della moglie Sara, nell’occasione spacciata per sorella) conquistassero facilmente la Palestina… perché nonostante il tempo passato, quella era la terra che il Signore aveva promesso ad Abramo per la sua progenie, anche se cola' dimorava ormai stabilmente altra gente.

Qualche tempo dopo, intorno al 1020 a.c., gli ebrei erano diventati veramente troppi e si organizzavano in una monarchia. Saul fu il primo re d'Israele, a cui seguì Davide (1000-961) che portava a Gerusalemme la capitale del regno e Salomone (961-922) che faceva costruire il (primo) tempio a Gerusalemme. Con buona pace di Dio, Saul non ne riconosceva l’autorità né i comandamenti, Davide era – per farla breve – un peccatore, e Salomone, per non far torto a nessuno, si dedicava all’idolatria. Per Dio era veramente troppo. Decideva quindi di lasciarli per qualche tempo al loro destino.
Nel 922 il regno veniva diviso in regno di Giuda (2/12) a sud, abitato dai giudei e regno di Israele (10/12) a nord, abitato dagli altri. Ebrei e Giudei infatti una volta recuperata la “terra promessa”, non andavano troppo d’accordo. Di questa situazione approfittavano prima gli Assiri, che conquistavano il regno di Israele nell’ottavo secolo a.c. e poi i Babilonesi, che nel 586 conquistavano il regno di Giuda, distruggevano il (primo) tempio – quello costruito da Salomone - e mandavano i Giudei in esilio a Babilonia. E gli Ebrei? In esilio in Mesopotamia anche loro.
Dopo quarant’anni di esilio a Babilonia i Giudei tornavano in terra di Canaan, detta terra d’Israele da Israele, cioè da Giacobbe, terra di Giuda da Giuda e Filistina o Palestina dai Filistei, terra che nel frattempo era stata conquistata dai persiani, che probabilmente la chiamavano “pezzo di Persia vicino al mare”. Chissà come, i giudei ottenevano dai persiani il permesso di costruire il (secondo) tempio. Ma durava poco. Senza molto supporto da parte di Dio, che disperato avrebbe taciuto per circa 500 anni, i Giudei cadevano sotto il dominio dei Greci e poi dei Siriani con Alessandro Magno. Intorno al 164 a.c. i Giudei si ribellavano alla Siria e recuperavano un po’ di indipendenza brigando con i romani. I romani invece si facevano i fatti loro, conquistavano Gerusalemme nel 61 a.c., facevano una provincia di tutta la zona e senza star troppo a pensare alle promesse divine e alle proprie, la chiamavano come veniva chiamata dai suoi abitanti, cioè Palestina, e la affidavano a Re “locali” della linea di Erode. Intorno all’anno zero nasceva a Betlehem Gesù di Nazareth (sic), che si accorgeva quasi immediatamente del casino che aveva combinato suo padre e tentava di porvi rimedio. Aspettava una trentina d’anni, pensando al da farsi, e poi cercava - come si dice - di metterci una pezza.

lunedì, settembre 26, 2005

Fadhel Abbas, attore di Baghdad

Enzo Baldoni arriva a Baghdad nella serata del 5 agosto 2004. Viene sequestrato quindici giorni dopo, nelle vicinanze di Latifiya, tra le 11 e le 12 del mattino del 20 agosto 2004. La notte tra il 26 e il 27 agosto 2004 al Jazeera trasmette il filmato - dicono in un primo momento - della sua uccisione, che si rivelerà, per quanto ne sappiamo, un lungo fermo immagine poi diffuso in rete nella prima decade di settembre. Mattinata del 27 settembre, è ormai sicuro che Enzo è stato assassinato. Baghdad, sede di "Un ponte per", Simona Torretta (vedi "Otto anni e 21 giorni" - Rizzoli) ricorda: «...quando la notizia è ormai definitivamente confermata, i nostri amici iracheni, timidamente, ci fanno le condoglianze. Viene a farci visita anche un artista di Baghdad che aveva conosciuto Enzo durante il suo soggiorno in città. Si presenta così: "Sono un poeta e un attore". Ci consegna una lettera: "L'ho scritta per la famiglia di Baldoni". Io e Simona la leggiamo ...».
«Cara signora, cari ragazzi, vi scrivo dall'Iraq: un paese dilaniato da una guerra che nessuno vuole, e che i malvagi alimentano nell'ombra. Vorrei che mi ascoltaste, anche in questo momento di grande dolore per la perdita del vostro caro Enzo. So quale tragedia è per voi, perchè io l'ho conosciuto. Era una persona straordinaria. Mi dispiace tanto e mi scuso davvero di quanto è accaduto: ne sono profondamente sconvolto, come ogni artista, ogni giornalista, e ogni persona onesta, anche qui in Iraq. Siamo molto tristi, non pensavamo che sarebbe successo. Non doveva succedere. Speriamo che l'autore del crimine sia punito: se non dalla legge, da Dio. Enzo era un uomo dai nobili ideali. Un giornalista onesto, leale, sincero e simpagico. Spesso lo incontravo alle conferenze stampa. A tutti faceva la stessa impressione: era un uomo meraviglioso, e in molte occasioni ci ha aiutato a scoprire la verità. Voglio davvero dirvi quanto mi dispiace che lui non ci sia più, e farvi avere le mie più sincere condoglianze: a voi e a tutto il popolo italiano. Ora sappiamo, anche grazie a Enzo Baldoni, quanto siete sensibili alla tragedia che l'Iraq sta vivendo, e per questo meritate tutto il nostro più profondo rispetto. A nome di tutti gli iracheni onesti, grazie di cuore da Fadhel Abbas, attore di Baghdad». Il 7 settembre Simona Torretta e Simona Pari vengono sequestrate a loro volta presso la sede di "Un ponte per" nel pieno centro presidiato di Baghdad ad opera di un commando formato da almeno una dozzina di professionisti in nero.

domenica, settembre 25, 2005

Verità per Nicola Calipari

«Assassinio di Nicola Calipari - Siamo tutti parte lesa! Sappiamo bene e la storia ce lo insegna, che la memoria individuale entra spesso in conflitto con la gestione pubblica della memoria collettiva. La memoria, infatti, può risultare talvolta un ingombro perchè non adeguata ai propri fini e spesso si tenta di annullarla o di renderla inesatta e selettiva, nell'illusione di rimuoverla in quanto si temono i suoi contenuti sovversivi. Ricordare è doloroso, talvolta scomodo, ma è importante rispettare e custodire la memoria come valore, in quanto chiave di interpretazione dei processi umani. Il ricordo del sacrificio di Nicola Calipari pone questioni di responsabilità e insinua il dubbio che ciò che è avvenuto avrebbe potuto anche svolgersi diversamente. Non dimenticare è l'imperativo etico che ci si pone, perchè, quali cittadini italiani, siamo tutti parte lesa e abbiamo, quindi, il diritto di pretendere verità e giustizia per quella morte assurda. Chiediamo al Presidente della Repubblica, nella cui persona riponiamo la nostra fiducia, di rendersi interprete di questa istanza e garante, come dell'unità, anche della dignità di questa Nazione. Invitiamo la società civile, gli studenti, il mondo della cultura, dello spettacolo e dello sport, i rappresentanti delle Istituzioni e della politica, i media, a non spegnere i riflettori sul caso Caliparie ad unirsi a noisottoscrivendo questo appello in ogni piazza, scuola, università o luogo di lavoro del nostro Paese. Elisabetta Baldi Caponnetto (Presidente Onorario) Adriana Musella (Presidente) Umberto Ambrosoli (Vice Presidente)».
Se n'è già parlato anche sulla Torre di Babele e quello sopra riportato è il testo completo dell'appello, dell'istanza e dell'invito che si possono leggere sul sito di Riferimenti. Si può aderire all'appello anche ricopiando il testo sintetico confezionato dal manifesto, che può essere sottoscritto e trasmesso alla redazione a questo indirizzo appello_calipari@ilmanifesto.it come segue: "Spettabile Redazione del manifesto, aderisco e sottoscrivo l'appello sotto trascritto, pregandoVi di provvedere all'inoltro. (firma) - "Nel considerarci, quali cittadini di questo Paese, parte lesa, in merito all’uccisione del dirigente del Sismi, Dott. Nicola Calipari, esigiamo che verità e giustizia non siano diritti negati alla sua morte, a tutt’oggi avvolta da misteri inquietanti e silenzi assordanti. Chiediamo al Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, nel quale riponiamo la massima fiducia, di rendersi interprete di questa istanza e garante della dignità della Nazione". E' inoltre sempre possibile sottoscrivere e trasmettere un appello al Presidente della Repubblica e ai Presidenti di Camera e Senato utilizzando l'apposito form dal sito di Articolo 21.

domenica, settembre 18, 2005

Commenti USAti pochissimo

Ho riassunto ed accorpato qui i miei commenti ad un recentissimo post su La Torre di Babele in cui si è discusso del generale e tardivo riconoscimento dello svolgersi di una guerra civile, a lungo covata ed esplosa infine con prevedibile ed incontrastata virulenza, in Iraq.

E' difficile non attribuire agli USA buona parte della responsabilità per aver trascurato ogni soluzione politica, aver innescato e non aver saputo prevedere e controllare la guerra civile ormai in corso in Iraq. Nel caso l'establishment USA si è comportato come un chirurgo egocentrico e incompetente che decide di operare contro il parere dell'equipe dell'ospedale, non organizza l'intervento, estirpa un tumore e lascia il paziente a sanguinare. E ora chiede aiuto per occuparsi del moribondo. Fra i tanti l'errore degli USA (e a questo punto anche nostro) è stato scoprire, cioè non prevedere, che il terrorismo e tanto più quello suicida, poteva essere uno strumento non convenzionale pressochè invincibile e cercare di farvi fronte con ridondanti discorsi e mezzi convenzionali. Personalmente dubito che si sia ricorso a tutti i mezzi diplomatici possibili (la sortita iraqena era già decisa) e utilizzare un pretesto per iniziare questa campagna e far patire alla gente iraqena quella che è intesa come occupazione interessata del loro suolo e delle loro risorse non è stato comunque un buon inizio. Il verminaio degli interessi e dell'intolleranza in Iraq, tenuti sotto controllo da Saddam in modo criminale, è stato scoperchiato e ora temo che la situazione non possa che seguire il suo terribile corso naturale.

Ristretto il campo alla questione 11 settembre e corollari, occorre osservare che G.W.Bush - opportunamente coadiuvato o indirizzato dai suoi collaboratori - ha cavalcato la questione terrorismo usufruendo delle menti semplici della gran massa dei suoi elettori (e non solo), facendo di ogni erba un fascio, influendo sui media e sui governi bisognosi o vassalli ed autoeleggendosi paladino in patria e profeta del cosiddetto nuovo ordine mondiale (v. N. Chomsky: "si fa quel che diciamo noi"). Il tutto agitando una impossibile "guerra al terrorismo", cioè cercando di passar per possibile la risoluzione di un problema a monte inseguendone i mezzi a valle (v. pipistro: "Il terrorismo non è il nemico, ma un metodo, un mezzo terribile di cui il nemico, qualsiasi nemico, può valersi. Pensare di combattere il terrorismo è come pensare di combattere le armi senza occuparsi di chi le usa"). I risultati per ora sono sconfortanti. Il punto è aver semplicisticamente personalizzato "al Qaeda" come se si trattasse - appunto - di una persona (di volta in volta incarnata da Osama bin Laden, al Zawahri, al Zarqawi) o di una organizzazione strutturata, e di aver spinto buona parte del mondo a credere che - con quel presupposto - fosse possibile muovere guerra ("arrivano i nostri") a questa entità. Viceversa l'aspetto organizzativo di al qaeda inteso come banda di cattivi, è residuale e non molto rilevante, dacchè una "banda" di tal fatta è esistita, forse, per un periodo limitatissimo, dal 1996 al 2000, lira più lira meno. Finchè non si guarda ad al Qaeda come ad una ideologia o un metodo, appunto come alla base estremamente fluida di un movimento che può appoggiarsi indifferentemente a qualsiasi sacca islamica di malcontento e frustrazione a livello nazionale (v. palestina, kashmir, cecenia, ecc.), un movimento non alieno dall'utilizzare e diffondere l'uso di un mezzo estremamente efficace e a buon mercato (cioè un'arma pressochè imprevedibile ed invincibile) quale il terrorismo, la battaglia, comunque la voglia intendere George W. Bush e lasciando perdere qui eventuali diversi interessi, anche di bottega, è persa.

mercoledì, settembre 14, 2005

Premio giornalistico Enzo Baldoni

"Enzo era un giornalista coraggioso e uomo di dialogo. La sua vita e il suo lavoro hanno fatto di lui un uomo simbolo del dialogo tra i popoli, grazie alla sua voglia di ascoltare, capire, farsi portavoce e diventare megafono di uomini che vivevano in condizioni drammatiche e così diverse da quelle a cui siamo abituati. Ma era anche un giornalista che, per quello che tutti noi abbiamo potuto scoprire attraverso i suoi scritti, aveva occhi curiosi come quelli di un bambino, sempre desiderosi di sapere, di toccare con mano la realtà, anche quando faceva paura". Così, stasera, il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, ha descritto Enzo Baldoni alla cerimonia di consegna dell'omonimo premio giornalistico e ha rivolto prima di tutto ed innanzitutto un pensiero alla famiglia di Enzo con queste parole: "so che nulla potrà restituirgli Enzo, ma sapere che è restato nella memoria di tutti mi auguro e spero possa essere un conforto". Al breve discorso senza fronzoli di Filippo Penati è seguita la consegna dei premi, assegnati dalla giuria presieduta da Antonio Calabrò e composta da Natalia Aspesi, Enrico Deaglio, Antonio Di Bella e Giangiacomo Schiavi, consegnati personalmente da Aspesi, Deaglio e Schiavi. Il primo premio è andato a Daniela Bezzi per l'inchiesta "Ritorno a Bhopal", pubblicata dal settimanale Grazia nel dicembre 2004. Il premio per la TV e la radio è andato a Paolo Serbandini per il documentario "Libia/Clandestini" trasmesso su "Ballarò del 21 dicembre 2004. Il premio per la sezione internet è andato a Sergio Ramazzotti per il servizio "The Interpreter" (in rete su www.parallelozero.com) del quale lo stesso Ramazzotti - riferendosi alla sua esperienza diretta in Iraq, dove ha potuto esser testimone della difficile vita e del profondo senso di paura che avvolge la vita di un interprete iraqeno al seguito della coalizione - ha letto alcuni passi che gli hanno fatto guadagnare il sentito applauso dei presenti. Su blogfriends c'è anche una sua foto con Tuareg (Enrico Fovanna) della Torre di Babele. A sorpresa, intorno alle 19.30, è intervenuta alla cerimonia Gabriella Baldoni, la giovane figliola di Enzo. Meravigliosamente semplice, ha atteso pazientemente in un angolo defilato del portico del cortile di Palazzo Isimbardi le indicazioni dell'organizzazione. Sul palco ha raccolto con un sorriso le parole e i fiori offertile dal presidente Penati e gli applausi del pubblico, poi è andata via silenziosamente. Ho avuto occasione di presentarmi e di ringraziarla, poche parole per quello che mi ha dato, che ci ha dato, il suo papà. Ha sorriso con la consueta disarmante semplicità e addirittura ha finto di ricordare chi fosse il vostro pipistro.

[con le fotografie su blogfriends]