giovedì, settembre 29, 2005

Il conflitto arabo israeliano palestinese for dummies (preambolo)

Forse è meglio iniziare con ordine, dal libro usato per legittimare il ritorno in terra d’altri ma per volontà di Dio del popolo scelto da Dio. Questo periodo è affidato al racconto, alla leggenda, alla fantasia, alla fiaba ed alla convinzione che Dio abbia avuto necessità e voglia di scegliere dove e perchè tra miliardi di sistemi planetari un manipolo di creature tra miliardi e miliardi di creature sarebbe dovuto andare a spargere la sua irrisoria progenie. E come tale, come una fiaba, ce lo raccontiamo in breve.

In principio Dio fece il mondo, che era naturalmente perfetto perché era fatto da Dio, e siccome non poteva o non voleva occuparsene, fece anche l’uomo per governarlo e gestirlo, cioè in pratica per lavorarci. E così Dio prese l’uomo appena fatto e lo mise “nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”. E in cambio l’uomo? Boh, avrebbe goduto della presenza di Dio ...
Vabbè, dopo un po’ l’uomo, che oltre al lavoro e al godimento si trovò tra capo e collo anche la donna - naturalmente fatta da Dio - si ribellò e cercò di diventare come Dio, mangiando su suggerimento della donna una mela fornita loro da un serpente . Ma si può essere più rincoglioniti?.
Piuttosto contrariato Dio cacciò l’uomo e naturalmente la donna dal paradiso terrestre, sterminò gli uomini con il diluvio salvando solo Noè con moglie, tre figli - Sem, Cam e Iafet - e un bel po’ di animali, poi scelse Abramo e i suoi discendenti, che sono ebrei, ma anche arabi, per ripristinare – contento lui - un rapporto con l’umanità. E chi era Abramo? Era il figlio di Terach, che era figlio di Nacor, che era figlio di Serug, che era figlio di Reu, che era figlio di Peleg, che era figlio di Eber, che era figlio di Selach, che era figlio di Arpacsad, che era figlio di Sem, che era figlio di Noè. Non si sa bene come né perché, Dio promise solo agli ebrei la “terra promessa”. E gli altri? Gli altri ciccia.

Sia quel che sia, sembra che intorno al diciottesimo secolo avanti Cristo, i patriarchi del popolo ebraico, cioè Abramo, suo figlio Isacco e suo nipote Giacobbe, detto Israele (Bibbia, Libro dei Re), si insediassero in terra …d'Israele, cioè in terra di Giacobbe - sai la fantasia - che allora si chiamava ancora terra di Canaan. E chi era Canaan? Un figlio di Cam. Cioè un nipote di Noè. Nonché fratello di Put, di Etiopia e di Egitto. (Quella dei figli di Put è un’altra storia). Al tempo tuttavia quella terra, la terra di Canaan, che andava “da Sidone in direzione di Gerar fino a Gaza, poi in direzione di Sòdoma, Gomorra, Adma e Zeboim, fino a Lesa”, non forniva evidentemente di che vivere senza darsi un gran daffare, soprattutto nelle zona desertiche del Negev e del Sinai, argutamente scelte da Abramo per stabilirvisi, e l’insediamento durò fino ai primi periodi di carestia.
Intorno al 1500 a.c., quindi, la tribù dei figli di Israele, cioè di Giacobbe, nonostante Dio avesse loro promesso la terra promessa, cioè la Palestina, che però non si chiamava ancora Palestina ma terra di Canaan, era alla fame ed emigrava in Egitto approfittando del disfacimento dell’impero egiziano. Erano una settantina di persone in tutto, compreso Abramo, che era ancora vivo e dodici figli di Giacobbe, cioè di Israele.
Senonchè l’invasione da parte di quelli che erano stati ex contribuenti dei faraoni, come ex abitanti delle ex città-stato che si trovavano nella ex terra di Canaan - che infatti, nel frattempo, alcuni chiamavano Canaan, altri Israele, altri Palestina e altri, semplicemente, “qui” - non veniva ben vista dagli egiziani e soprattutto dal Faraone, disfatto forse, ma non ancora del tutto rimbecillito.
Secondo un uso probabilmente consueto in quel tempo, essendo forestieri, o ultimi arrivati, o pochi, o troppi, o antipatici, o semplicemente ebrei, i figli di Israele e parenti di Giacobbe, cioè di Israele, venivano ridotti in schiavitù dagli egiziani. Dopo alcuni secoli (boh?) di schiavitù, grazie ai favori resi al Faraone da Sara, moglie di Abramo, e in virtù di una complicata attività e l’uso di armi poco convenzionali di comune intesa con Dio (che invece di prendersela con Abramo se la prendeva con il Faraone, colpiva lui e la sua casa “con grandi calamità” e mandava le piaghe agli egiziani che non c’entravano nulla), gli ebrei, che nel frattempo erano diventati tanti, anche perché non morivano mai, guidati da Mosè, fuggivano o forse venivano cacciati a pedate o comunque decidevano di andarsene dall’Egitto. Aiutati da Dio attraversavano il Mar Rosso e invece di ringraziare Iddio rimanevano per una quarantina d’anni nel deserto del Sinai ad adorare un vitello d’oro. Dio, che in passato non si era dimostrato proprio propenso ad essere pigliato per i fondelli, dimostrava nel caso una gran pazienza e non li inceneriva.
Intorno al tredicesimo secolo a.c. (1250 a.c.) gli ebrei lasciavano il deserto e si dirigevano alla volta della solita (ex) terra di Canaan, da dove erano venuti. Gli è che, nel frattempo, cioè da un paio di centinaia di anni (1190 a.c. circa), altra gente - tra cui i cosiddetti popoli del mare indoeuropei o Filistei provenienti, sembra, da Creta - alla faccia della carestia si era sistemata stabilmente in quella terra, tra la costa e il fiume Giordano e conviveva forse pacificamente con chi vi era nato o cresciuto o rimasto, tra i quali gli Apiru, altri ebrei di cui con inesauribile fantasia moltissimi si chiamavano Yakubu, cioè Giacobbe. In pratica con tutti quelli che non erano parenti stretti di Giacobbe, cioè di Israele (quello di prima). Terra che allora veniva chiamata più o meno Filistina o Palestina o qualcosa del genere.
Gli ebrei di ritorno, dodici tribù, stavolta guidati da Giosuè, si davano quindi da fare per fare polpette di Filistei o popoli del mare, indigeni ebrei e indigeni innominati, diventati infine tutti palestinesi, ed insediarsi a casa loro. Si dice in proposito che carichi d'oro e accompagnati da “greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asine e cammelli” ciuffati da Abramo al Faraone (forse con la complicità della moglie Sara, nell’occasione spacciata per sorella) conquistassero facilmente la Palestina… perché nonostante il tempo passato, quella era la terra che il Signore aveva promesso ad Abramo per la sua progenie, anche se cola' dimorava ormai stabilmente altra gente.

Qualche tempo dopo, intorno al 1020 a.c., gli ebrei erano diventati veramente troppi e si organizzavano in una monarchia. Saul fu il primo re d'Israele, a cui seguì Davide (1000-961) che portava a Gerusalemme la capitale del regno e Salomone (961-922) che faceva costruire il (primo) tempio a Gerusalemme. Con buona pace di Dio, Saul non ne riconosceva l’autorità né i comandamenti, Davide era – per farla breve – un peccatore, e Salomone, per non far torto a nessuno, si dedicava all’idolatria. Per Dio era veramente troppo. Decideva quindi di lasciarli per qualche tempo al loro destino.
Nel 922 il regno veniva diviso in regno di Giuda (2/12) a sud, abitato dai giudei e regno di Israele (10/12) a nord, abitato dagli altri. Ebrei e Giudei infatti una volta recuperata la “terra promessa”, non andavano troppo d’accordo. Di questa situazione approfittavano prima gli Assiri, che conquistavano il regno di Israele nell’ottavo secolo a.c. e poi i Babilonesi, che nel 586 conquistavano il regno di Giuda, distruggevano il (primo) tempio – quello costruito da Salomone - e mandavano i Giudei in esilio a Babilonia. E gli Ebrei? In esilio in Mesopotamia anche loro.
Dopo quarant’anni di esilio a Babilonia i Giudei tornavano in terra di Canaan, detta terra d’Israele da Israele, cioè da Giacobbe, terra di Giuda da Giuda e Filistina o Palestina dai Filistei, terra che nel frattempo era stata conquistata dai persiani, che probabilmente la chiamavano “pezzo di Persia vicino al mare”. Chissà come, i giudei ottenevano dai persiani il permesso di costruire il (secondo) tempio. Ma durava poco. Senza molto supporto da parte di Dio, che disperato avrebbe taciuto per circa 500 anni, i Giudei cadevano sotto il dominio dei Greci e poi dei Siriani con Alessandro Magno. Intorno al 164 a.c. i Giudei si ribellavano alla Siria e recuperavano un po’ di indipendenza brigando con i romani. I romani invece si facevano i fatti loro, conquistavano Gerusalemme nel 61 a.c., facevano una provincia di tutta la zona e senza star troppo a pensare alle promesse divine e alle proprie, la chiamavano come veniva chiamata dai suoi abitanti, cioè Palestina, e la affidavano a Re “locali” della linea di Erode. Intorno all’anno zero nasceva a Betlehem Gesù di Nazareth (sic), che si accorgeva quasi immediatamente del casino che aveva combinato suo padre e tentava di porvi rimedio. Aspettava una trentina d’anni, pensando al da farsi, e poi cercava - come si dice - di metterci una pezza.

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