mercoledì, ottobre 10, 2007

Caso Cipriani, verdetto in vista per Michael Castillo

Dopo aver ascoltato le dichiarazioni finali delle parti, la giuria di Hartford, Connecticut, ha iniziato martedì a deliberare nel processo contro Michael Castillo, il presunto "autista" del gruppo ingaggiato - secondo l'accusa - da Benedetto Cipriani quale organizzatore dell'assassinio di Robert Stears, risoltosi in un triplice omicidio nel 2003. Nel corso del processo Castillo non ha mai riconosciuto la sua responsabilità, cioè - più precisamente - ha contestato la propria consapevolezza di un piano per uccidere Bobby Stears ed ha sostenuto di aver condotto sul luogo del delitto Jose Guzman, reo confesso, senza conoscerne in alcun modo il motivo. Contro Castillo milita la testimonianza del presunto terzo componente della spedizione criminale, Jose Martinez e della fidanzata di quest'ultimo (Jennifer Cruz), nonchè la sospetta sovrabbondanza di telefonate che Castillo avrebbe effettuato a Martinez ed anche - sembra - da o per l'utenza di Cipriani, nelle ore a cavallo degli omicidi.

Nella sua dichiarazione finale, l'assistente al procuratore, Dennis O'Connor, ha suggerito alla giuria che Cipriani ha ideato il piano, ha reclutato Martinez, figlio della allora fidanzata di Cipriani, lo ha informato circa i luoghi dove "Bobby" Stears viveva, dove lavorava (la sua officina B&B Automotive, v. foto) e dove giocava a golf, precisando che lo stesso Cipriani - nel suo sforzo per convincere Martinez a partecipare al complotto omicida - gli avrebbe riferito che si trattava di vendicare lo stupro, da parte di Stears, di una ragazza ispanica. In particolare, Erik Martinez ha raccontato che "una sera, mentre tornava da una cena con sua madre e il suo nuovo fidanzato, Benedetto Cipriani, questi gli chiese se era interessato ad un lavoro, 'far fuori' un tizio che - egli disse - aveva stuprato la figlia di un compagno di lavoro". Martinez ha dichiarato inoltre che la storia lo aveva coinvolto perchè lui stesso era stato concepito per uno stupro. ("When Erik Martinez came back from dinner one night with his mother and Benedetto Cipriani, her new boyfriend, Cipriani asked him whether he would be interested in a job to "take out" someone who he said had raped the daughter of a co-worker, Martinez testified Thursday [martedì 2 ottobre 2007]. Martinez said the story had resonated with him because he had been conceived during a rape. Testifying on the third day in the trial of his cousin Michael Castillo in Superior Court in Hartford, Martinez was explaining how he came to take part in the murder-for-hire plot that left three people dead and that he and others say was masterminded by Cipriani").

Nella discussione finale Auden Grogins, uno dei difensori di Castillo ha sottolineato talune incongruenze nelle testimonianze di Martinez, di Jennifer Cruz e degli agenti di polizia che a suo tempo svolsero le indagini. In particolare Martinez avrebbe testimoniato contro Castillo fornendo alla giuria particolari "inediti" rispetto al momento del proprio accordo con la pubblica accusa. Ricordiamo infatti che Martinez - che ha confessato di aver acquistato l'arma usata da Jose Guzman per compiere materialmente i delitti - ha concordato una pena di 25-30 anni di reclusione a fronte di un accordo che prevede anche la sua testimonianza contro gli altri imputati.

Alla sensibilità giuridica italiana non può sfuggire il fatto che le testimonianze più importanti in questo processo a Michael Castillo (cosa che verosimilmente si rifletterà anche nel processo cui è destinato il nostro connazionale) sembrano basarsi su una sospetta logica di "do ut des" sconosciuta (almeno ufficialmente) al nostro ordinamento. I tre sicari, a vario titolo diretti responsabili degli omicidi sarebbero stati, infatti, individuati in base alla provvidenziale testimonianza dello zio di Martinez, un certo signor Velasquez incappato in una retata per motivi di droga ad opera della polizia di New Britain (Connecticut). Di seguito l'accusa ha stipulato accordi con Martinez, il presunto acquirente dell'arma, e Guzman, il presunto omicida, perchè testimoniassero contro i coimputati. Il primo lo ha già fatto anche nell'attuale processo contro Castillo, il secondo si è viceversa e sorprendentemente rifiutato di deporre, mettendo a repentaglio il suo stesso accordo con il pubblico ministero. Cioè, in pratica, rischiando che la pubblica accusa chieda per lui la pena di morte. Non è possibile trascurare il fatto che questa ultima circostanza - il rifiuto a testimoniare di Guzman - risulta quantomeno singolare.

Sotto il profilo di merito e per quello che riguarda più da vicino Benedetto Cipriani, occorre ancora una volta sottolineare: a) la labilità del movente individuato dall'accusa. Ricordiamo che Benedetto Cipriani avrebbe agito a fronte del rifiuto di Shelly Stears di abbandonare il marito per lui. Questa circostanza è stata recisamente negata da Cipriani, che sostiene - ma è pacifico per tutti - che il rapporto stabile con Shelly Stears, madre di tre figli, era finito ("Cipriani became a suspect in the triple murder almost immediately after it occurred, when Stears' wife, Shelly, admitted to investigators that she had had a yearlong affair with Cipriani in 2001 and 2002, followed by a year of continuing contact and occasional sexual encounters"). Tale assunto è corroborato dal fatto che all'epoca dell'ingaggio pacificamente il Cipriani era legato alla madre di Martinez; b) una straordinaria quantità di (presunte) prove sarebbe stata beatamente disseminata da Cipriani a proprio carico. Questi - secondo i testimoni - si sarebbe recato tre volte sul luogo del delitto, anche usando la propria autovettura ed incontrando futuri testimoni. Avrebbe poi usato il suo cellulare per molteplici telefonate ai "sicari" e a Shelly Stears proprio all'ora del delitto e si sarebbe rivolto ad un consesso parentale, a lui prossimo, per l'omicidio (il figlio della sua fidanzata e due cugini del primo, Martinez risulta infatti cugino sia di Castillo che di Guzman); c) il triplice omicidio è avvenuto con le modalità di una vera e propria esecuzione, indirizzata nei confronti di tutte e tre le vittime (Bobby Stears, il suo socio d'affari Barry Rossi e il loro operaio, Lorne Stevens sono stati fatti sdraiare per terra e freddati con un colpo alla nuca); d) non risulta che le indagini (stagnanti da luglio a dicembre 2003) si siano mai rivolte verso persone diverse da quelle indicate da Shelly Stears e da Velasquez e da quest'ultimo 'spolverate' mentre era coinvolto in suoi problemi di droga, testimoni entrambi, per diversi motivi, tutt'altro che attendibili; e) è stato riferito di una bizzarra assicurazione comune sulla vita di Robert Stears e Barry Rossi, pagabile solo in caso di morte contemporanea dei due soci. Tutte circostanze, queste, suscettibili di instillare ben più di un sospetto.

E' prematuro parlarne, ma un aspetto piuttosto importante sotto l'aspetto pratico è il silenzio osservato dai media del Connecticut, non meno che da quelli italiani, rispetto alle conseguenze di una eventuale condanna del nostro connazionale. Al riguardo, infatti, a prescindere dai problemi di costituzionalità - ad avviso di molti disinvoltamente trascurati dal nostro esecutivo nell'atto di concedere l'estradizione - il relativo decreto a firma del ministro Castelli del 12 novembre 2005 è inequivocabile: "L'estradizione è subordinata alla condizione che gli Stati Uniti non condannino Cipriani Benedetto alla pena capitale o, se irrogata, che la pena capitale non venga applicata e che sia consentito al Cipriani, qualora condannato a pena detentiva e ne faccia richiesta, di scontare la pena in Italia". Sarà opportuno che nessuno se ne dimentichi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao Pi,
ho appena letto.
Permettimi una breve premessa pubblica:la ritengo superflua per i più ma necessaria ai pochi che ancora continuano a guardare la cosa con i famosi "paraocchi".Torno a ribadire, solo a beneficio dei pochi già nominati che ancora non comprendono il vero scopo della "battaglia" che quì,peraltro ospiti, non si tratta di concedere a Cipriani la nostra(mia)benevolenza e perorare a spada tratta la tesi della sua innocenza .Tantomeno dichiarare a priori la sua colpevolezza,equiparandoci a moltitudini oltreoceaniche.Non siamo noi a doverci assumere la responsabilità di giudicare e nel caso condannare o assolvere.Quì si affronta e si discute delle modalità,troppo frettolose e per certi versi,misteriose riguardo la concessione dell' estradizione.
Su alcuni"accenti" del decreto di estradizione che pare gli USA vogliono ignorare.
Si affronta il non trascurabile problema delle condizioni psicofisiche del Cipriani e del processo,che si auspica equo e trasparente.
Ora a te Pi,grazie dello scritto,e,posso dirlo,sei l'unico in Italia che ancora si prende la briga di parlare del caso Cipriani.
Per gli altri pare sia acqua passata.Fatta eccezione l'onorevole D'elia che a suo tempo fece sentire la sua voce interpellando il guardasigilli e ai giornalisti Carlo Lania del "Manifesto"e Franca Leosini di "Storie maledette".che pubblicamente ringrazio.
I miei ringraziamenti non vanno certo alle istituzioni preposte,talune oberate da altri problemi anche di natura numerica, logistica e linguistica,che non si sono mai occupati seriamente ed in modo fruttuoso della spinosa e spiacevole questione.
Ritornando all' attualità,
alla luce delle prime battute, il processo da poco iniziato, e che vede Cipriani costretto ad un avvocato d'ufficio a causa della mancanza di risorse economiche per potersi affidare ad uno di fiducia(e qui tiro in ballo la famiglia di Cipriani,del tutto insensibile a richieste di aiuto),si presenta difficile tortuoso ed intrigato:si spera nella apertura mentale dei giudici e nel rispetto delle leggi da parte di tutti coloro che in modi e maniere diversi ,concorrono allo svolgersi del processo.
Grazie Pi.
Anna