"Roma, 12 NOV. 2005 [...] RITENUTO altresì che, qualora il Cipriani venisse condannato a pena detentiva e sempre che ne faccia richiesta, dovrà essere ritrasferito in Italia per ivi scontare la pena; VISTI gli art.li 696, 701, 708 e 720 c.p.p. e il Trattato sopra richiamato: DECRETA E' concessa al Governo degli Stati Uniti d'America l'estradizione di Cipriani Benedetto, nato a Ceccano il 7.8.55 (FR), perché colpito dal mandato di arresto emesso in data 8.3.04 dalla Corte Superiore di Hartford (Connecticut) -USA- in quanto accusato di omicidio e di associazione per commettere omicidio. L'estradizione è subordinata alla condizione che gli Stati Uniti non condannino Cipriani Benedetto alla pena capitale o, se irrogata, che la pena capitale non venga applicata e che sia consentito al Cipriani, qualora condannato a pena detentiva e ne faccia richiesta, di scontare la pena in Italia. L'estradizione è concessa con espressa salvaguardia del principio di specialità di cui all'art. XVI del Trattato di estradizione. Con l'estradando dovranno essere consegnati al Governo degli Stati Uniti d'America gli oggetti e i valori eventualmente sequestrati, pertinenti ai reati per i quali l'estradizione è concessa. IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA (f.to illegibile)".
E' l'ultima parte del decreto, firmato dall'allora Ministro Castelli, di estradizione di Benedetto Cipriani, cittadino italiano, poi consegnato alla giustizia Statunitense il 13 luglio 2007, accusato di tre omicidi e cospirazione per commettere omicidio e condannato il 1° aprile 2009 a 200 anni di reclusione da una Corte di Hartford, Connecticut (USA).
Alla precedente udienza del 31 marzo 2009, stabilita per decidere sulla mozione dei legali di Cipriani (gli avvocati Ioannis Kaloidis e Dave Compagnone), che avevano chiesto il rispetto di tutte le condizioni contenute nel decreto di estradizione del 2005 e, in particolare, della possibilità per Cipriani di scontare la pena in Italia, il Giudice Giulia DiCocco Dewey ha negato ingresso alla richiesta.
Al riguardo, nel corso dei quell'udienza, la pubblica accusa non ha contestato il fatto che il decreto includesse quella statuizione, ma ha riferito che gli avvocati di Cipriani hanno omesso di menzionare due successive note diplomatiche, che un funzionario del Dipartimento della Giustizia presso l'Ambasciata USA di Roma avrebbe fornito ai difensori.
Nella prima di queste note, datata 20 giugno 2007, il Ministero degli Affari Esteri italiano avrebbe chiesto all'Ambasciata Statunitense un "documento formale di accettazione" delle condizioni del decreto di estradizione. L'Ambasciata USA avrebbe risposto - in una nota datata 27 giugno 2007 - che "gli Stati Uniti accettano liberamente le condizioni che negano la pena di morte" (ndr. è diritto internazionale e sta scritto nel Trattato Italia - USA del 1983) ma che non ci sono previsioni nel Trattato per aderire alla richiesta che l'estradato sia restituito al paese che ha concesso l'estradizione per scontare la sua pena. Ciò detto, la medesima nota avrebbe precisato - secondo il Prosecutor - che, date le circostanze di questo caso particolare, gli Stati Uniti avrebbero aderito ad una regolare richiesta avanzata da Cipriani di scontare la seconda metà della pena in Italia.
Sempre secondo il Public Prosecutor, la sostanziale opposizione espressa dai funzionari dell'Ambasciata USA, sarebbe stata seguita sic et simpliciter - secondo una dichiarazione scritta di Donald D. Ashley, attaché del Justice Department americano presso l'Ambasciata di Roma - dalla "richiesta del 10 luglio 2007 del Ministero della Giustizia italiano alla Corte d'Appello di Roma, di emissione di un ordine di cattura e consegna alle autorità Statunitensi". Null'altro.
In aula, il 31 marzo, sono state inutili le argomentazioni di Dave Compagnone, che, rivolgendosi al giudice DeCocco Dewey e riferendosi al decreto di estradizione del 2005, ha detto con un velo di ironia: "Non è ingegneria aerospaziale [rocket science]. E' semplice. C'è un ordine esecutivo del Governo italiano".
Ma a tanto il giudice ha risposto altrettanto lapidariamente: "Avvocato, ha ragione, non è ingegneria aerospaziale, è diritto internazionale. La richiesta è respinta".
Ciò è a dire, in concreto, che a Benedetto Cipriani viene oggi "straordinariamente" concesso, con la sentenza, di scontare i secondi 100 anni di reclusione in Italia in base ad una "dichiarazione scritta" che - secondo la pubblica accusa e il magistrato americano - attesterebbe lo scambio di note diplomatiche idonee a vanificare il contenuto del decreto del Ministro della Giustizia del 2005.
La verifica del fatto che il diritto internazionale sia stato rispettato spetta ora - forse - all'esito degli appelli che verranno proposti dai difensori di Cipriani.
Riporto di seguito, le dichiarazioni conclusive esposte personalmente in aula da Benedetto Cipriani, poco prima del "sentencing" che lo ha condannato a 200 anni di reclusione all'udienza del 1° aprile 1009.
Cipriani ha parlato in italiano, con simultaneo ed approssimativo ausilio di una interprete che ha cercato di rendere in inglese, per la Corte, la lettera - ma certamente non il senso e il tono - delle sue dichiarazioni.
"Di certo non chiedo clemenza per un qualcosa che non ho fatto. Ho subito un processo che grida vendetta, un vero e proprio linciaggio legale. Ho assistito ad una sfilata di false testimonianze, di contratti fatti, immunità concesse, tutto con l'intento di comprare testimonianze contro di me. Un processo in cui è stato fatto tutto il possibile per mettere il bavaglio ai miei avvocati e quando non è stato possibile farlo sono uscite fuori delle inesplicabili verità. Primo, il primo di agosto 2003 Laurie Zettwoch dice che ero nel mio ufficio, Laurie Zettwoch testimonia che io ero nel mio ufficio alle quattro del pomeriggio, Velasquez dice che io non ero lì, non mi ha visto, il che non mi mette sul luogo del pagamento per quel giorno. La polizia ha controllato il mio conto di banca, scrupolosamente, e non vi sono stati prelievi fatti che giustificavano i novemila dollari pagati. Il mio stipendio veniva accreditato direttamente in banca. Se io avessi avuto bisogno di un dollaro risultava dalle transazioni. Che dire della confessione del Guzman? Io ero in Italia, io non ero qua. E la fotografia trovata nel computer della Stears? L'unica prova concreta.
Ieri in quest'aula si sono calpestate norme e leggi internazionali. Ma, quello che più mi dispiace, il disprezzo mostrato verso il governo italiano. E' stato detto che io sono stato estradato in base ad un falso ordine estradizionale. Inoltre, la frase detta dal Signor O'Connor, "abbiamo buttato l'osso", è alquanto offensiva. Gli ossi si buttano ai cani, non a governi ed a nazioni. La legge internazionale è molto chiara, impone a tutti i giudici di rispettare ciò che è scritto sull'ordine estradizionale e non "second guess". E non cercare di pensare il perchè è stato scritto. Essi sono ordini esecutivi di un governo, possono solo essere cambiati da un ordine esecutivo di un governo o di un membro d'un governo. Non è stato fatto. Il Presidente Obama disse in televisione "chiudo Guantanamo", ma per farlo ha dovuto fare un ordine esecutivo, a parole non lo poteva fare, ha dovuto fare un ordine per cambiare quello scritto dal President Bush. I trattati sono accordi stipulati tra due nazioni, essi danno le indicazioni su come, quando e per quali motivi l'estradizione può essere concessa, o richiesta. Non a caso l'articolo dieci, che il sig O'Connor ha nominato prima, al punto sette, comma A, dice chiaramente che ogni documento che accompagna un'estradizione o una richiesta di estradizione, in ordine di essere ammesso come evidenza, come prova, come validità, in questo particolare caso gli Stati Uniti devono produrre un documento firmato da un giudice, da un rappresentante con il timbro del Segretario di "State", non erano su quelle note.
Questo, la pratica internazionale e le leggi internazionali, signor giudice, dicono chiaramente che solo, solo se determinati accordi vengono riportati sull'ordine internazionale di estradizione possono essere considerati validi. Non ammette il monkey business come è stato cercato di dire in quest'aula ieri. Negando di ottemperare a quanto imposto sull'ordine estradizionale, mi mette in una posizione di essere considerato un prigioniero in violazione delle norme e leggi internazionali.
Ancora una volta, mi dispiace dirlo, viene dimostrato che quello che è stato da voi accettato in modo ufficiale - e mi riferisco all'integrale decreto - di fronte al Consiglio di Stato, la Corte di Cassazione e la Corte di Appello, tre delle più alte Corti italiane, da parte vostra non è stato mantenuto.
Io sono cittadino italiano, non sono cittadino americano. Nel 2003 io ho fissato residenza in Italia, chiesto passaporto italiano e votato. Ho acquisito passaporto italiano è ho votato alle elezioni, il che significa che io ho cambiato la mia cittadinanza. Io non ho passaporto americano, ho un passaporto italiano. Mi dispiace dirlo ma il vostro comportamento nei miei confronti è esattamente il contrario di quello che il Presidente Obama vuole che sia il volto degli Stati Uniti. Quello vecchio è morto il 4 novembre 2008, alle elezioni, quando l'America decise di cambiare, di onorare gli accordi, di onorare i documenti internazionali, di chiudere Guantanamo.
Come si fa a non meravigliarsi se qualcuno poi ci butta delle scarpe. Credo che vostro onore ha capito a cosa mi riferisco. Quando ho detto ci buttano le scarpe non meravigliamoci, è quello che è successo e che è stato su tutte le televisioni mondiali. Quella non è la faccia dell'America, la faccia dell'America che si vuole è quella di rispettare i documenti.
Non ho molto da dire, come ho detto prima, non chiedo clemenza per un qualcosa che non ho fatto. Volere, fare. Io non mi posso dichiarare colpevole per qualcosa che non ho fatto".
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mercoledì, aprile 22, 2009
mercoledì, marzo 25, 2009
Gaza, la notte della ragione
E' ora di credere alle dichiarazioni sui crimini di guerra commessi a Gaza, titola Haaretz del 24 marzo 2009. Amira Hass ci racconta che il Capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi ha difficoltà a credere alle testimonianze rese dai soldati che hanno partecipato al massacro di Gaza, ai racconti di chi afferma di avere deliberatamente colpito civili palestinesi del tutto inermi. E si rifiuta di crederlo perchè - ha dichiarato due giorni fa - l'IDF è un esercito morale. Ma dovendo aggiungere che i suoi soldati "non hanno ragioni per mentire", la conseguenza è stata per Ashkenazi quella di rito: se non mentono si tratta di incidenti isolati. E' la solita storia, quella di Abu Ghraib e di mille altre volte, quella di sempre, la favola delle mele marce. E non fa niente se questi racconti già filtravano da Gaza nel mese della strage dei civili assediati, se un gran numero di attivisti e di medici, se i giornalisti presenti sul campo ce lo raccontavano giorno per giorno e se, poi, le stesse denunce sono arrivate dalla Croce Rossa, da Amnesty, da Human Rights Watch, dalle agenzie dell'ONU.
Certamente le normali concubine aggregate alle milizie dell'esercito di occupazione israeliano scatenato contro una massa di civili non ne hanno parlato, né avrebbero potuto parlarne se avessero voluto. Ma non vi è dubbio che non hanno voluto. Quindi la favola di Ashkenazi, quella delle mele marce, è pronta per le apologie delle poco dignitose badanti di Tsahal, per gli inviati da albergo di lusso e giubbotto imbottito, per i pennivendoli e per gli affiliati. Cioè per quelli che hanno disegnato come se si trattasse di una guerra un massacro unilaterale e possono ben omettere, ora, i particolari della rabbia militare israeliana senza darsi pena del fatto che i loro racconti e le loro omissioni vengano sbugiardati dai maggiori quotidiani dello Stato ebraico (Ha'aretz nella versione in lingua originale, ma, forse con qualche ritaglio, anche in quella inglese, ha pubblicato ampi ed inconfessabili resoconti di militi dell'IDF più o meno consapevoli delle atrocità testimoniate), o possono deviare rapidamente l'attenzione ed alzare la mira, ritornando alle collaudate "veline" sulle minacce esistenziali e sulla bomba iraniana per annacquare il quadro dei crimini compiuti e della morte regalata a beneficio della permanenza in Palestina di un ingiustificato ed illegittimo status quo.
Ma tra le righe delle notizie di questi giorni, quelle dei più ampi bilanci e dei postumi della folle "punizione" di Gaza, non ci viene risparmiato l'affronto assoluto all'umanità e alla storia. Dal cappello della vergogna si estrae l'ultima giustificazione, quella che non avrebbe più dovuto essere presentata, per lo meno non al mondo che ha vissuto Norimberga. A colorare la fiaba degli episodi isolati, stemperando contemporaneamente le relative responsabilità verso chi appare un probabile quanto irraggiungibile - e quindi teorico - capro espiatorio, si è detto che questi soldati eseguivano gli ordini ricevuti. Ordini che diventeranno poi errori, malintesi ed effetti collaterali ("born of war, not by design").
E le mele marce, piagnucolando da un cestino che appare corrotto nelle sue intime fibre, avranno infine ed ancora una volta dato la colpa al verme, che non c'è.
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http://www.haaretz.com/hasen/objects/pages/PrintArticleEn.jhtml?itemNo=1073469
http://www.richardsilverstein.com/tikun_olam/2009/03/20/idf-testimony-of-possible-war-crimes/
http://www.richardsilverstein.com/tikun_olam/2009/03/18/idf-soldiers-admit-shoot-to-kill-orders-against-gaza-civilians/
http://www.guardian.co.uk/world/2009/mar/23/israel-gaza-war-crimes-guardian
http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/middle_east/article5601177.ece
Certamente le normali concubine aggregate alle milizie dell'esercito di occupazione israeliano scatenato contro una massa di civili non ne hanno parlato, né avrebbero potuto parlarne se avessero voluto. Ma non vi è dubbio che non hanno voluto. Quindi la favola di Ashkenazi, quella delle mele marce, è pronta per le apologie delle poco dignitose badanti di Tsahal, per gli inviati da albergo di lusso e giubbotto imbottito, per i pennivendoli e per gli affiliati. Cioè per quelli che hanno disegnato come se si trattasse di una guerra un massacro unilaterale e possono ben omettere, ora, i particolari della rabbia militare israeliana senza darsi pena del fatto che i loro racconti e le loro omissioni vengano sbugiardati dai maggiori quotidiani dello Stato ebraico (Ha'aretz nella versione in lingua originale, ma, forse con qualche ritaglio, anche in quella inglese, ha pubblicato ampi ed inconfessabili resoconti di militi dell'IDF più o meno consapevoli delle atrocità testimoniate), o possono deviare rapidamente l'attenzione ed alzare la mira, ritornando alle collaudate "veline" sulle minacce esistenziali e sulla bomba iraniana per annacquare il quadro dei crimini compiuti e della morte regalata a beneficio della permanenza in Palestina di un ingiustificato ed illegittimo status quo.
Ma tra le righe delle notizie di questi giorni, quelle dei più ampi bilanci e dei postumi della folle "punizione" di Gaza, non ci viene risparmiato l'affronto assoluto all'umanità e alla storia. Dal cappello della vergogna si estrae l'ultima giustificazione, quella che non avrebbe più dovuto essere presentata, per lo meno non al mondo che ha vissuto Norimberga. A colorare la fiaba degli episodi isolati, stemperando contemporaneamente le relative responsabilità verso chi appare un probabile quanto irraggiungibile - e quindi teorico - capro espiatorio, si è detto che questi soldati eseguivano gli ordini ricevuti. Ordini che diventeranno poi errori, malintesi ed effetti collaterali ("born of war, not by design").
E le mele marce, piagnucolando da un cestino che appare corrotto nelle sue intime fibre, avranno infine ed ancora una volta dato la colpa al verme, che non c'è.
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http://www.haaretz.com/hasen/objects/pages/PrintArticleEn.jhtml?itemNo=1073469
http://www.richardsilverstein.com/tikun_olam/2009/03/20/idf-testimony-of-possible-war-crimes/
http://www.richardsilverstein.com/tikun_olam/2009/03/18/idf-soldiers-admit-shoot-to-kill-orders-against-gaza-civilians/
http://www.guardian.co.uk/world/2009/mar/23/israel-gaza-war-crimes-guardian
http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/middle_east/article5601177.ece
martedì, marzo 17, 2009
Durban II, le torbide acque del negoziato
Prefazione. Il 19 febbraio 2004 compariva su Ha'aretz un articolo intitolato significativamente "Una lobby ebraica americana all'Unione Europea". Raccogliamo qualche riga di quella illuminante presentazione.
"Bruxelles - Lo scorso giovedì si è tenuta una serata di gala per celebrare l'apertura del Transatlantic Insitute, un istituto ebraico di ricerca, il cui scopo dichiarato è niente altro che quello di rafforzare i legami tra gli Stati Uniti e i paesi dell'Unione Europea (lo scopo non dichiarato è di essere utilizzato come lobby)". E via dicendo ...nulla di nuovo, come testimoniano analoghe iniziative degli ultimi anni dell'Europa dell'Unione (cfr. su questo blog Lobbytuaries e Tentacolando).
Più interessanti, in quel pezzo, le disinvolte istruzioni utili per far presa sui burocrati del vecchio continente, apparentemente - dicono - meno naïf dei loro omologhi americani.
"Bruxelles è la capitale dell'Europa (sic) e il suo potere cresce di giorno in giorno" dice Maram Stern, che dirige l'ufficio del World Jewish Congress nella UE. L'ufficio è personalmente sovvenzionato dal multi milionario ebreo Edgar Bronfman e Stern lo ha diretto dalla sua apertura, quasi venti anni fa. Se Washington è la città dei rappresentanti pubblicamente eletti - dice Stern - "Bruxelles è la capitale dei burocrati e la chiave del successo nelle attività di lobbying sta qui nel capire la loro mentalità. Nessuno qui si preoccupa troppo su chi ti manda o chi ti sovvenziona. A Washington ti presenti come lobbyista filo israeliano e chiedi un incontro di 45 minuti con un senatore per spiegargli perchè dovrebbe sostenere gli interessi di Israele. A Bruxelles non puoi presentare le cose in modo così diretto. Devono venire fuori alla fine di una cena e verso la fine della conversazione dopo che hai offerto il tuo aiuto all'interlocutore su una varietà di altre questioni".
Orrore! Non è stupefacente che lo si pensi (e che lo si faccia), è stupefacente che lo si metta nero su bianco e che nessuno si dia pena di notarlo.
Ma forse è una nuance. In Europa nessuno si sogna di dare diffusione alle pubbliche dichiarazioni di personaggi come John Bolton, ex ambasciatore degli Stati Uniti all'ONU, ben noto per le sue intemperanze filo israeliane, che può ancora oggi estrapolare dal suo repertorio a beneficio dei media perle di inusitato valore, dicendo - per esempio - che la fissazione dell'amministrazione Obama di risolvere il conflitto tra Israele e i palestinesi come mezzo per raggiungere pace e stabilità in Medio Oriente costituisce "una cattiva notizia per Israele e per l'America". Per noi la cattiva notizia è che Bolton possa rilasciare interviste.
Transeat (diciamo così) e passiamo oltre.
Italia, Corriere della Sera on line, 16 marzo 2009. Due stralci sull'intervento italiano per sottrarre dal documento di Durban prossimo venturo i riferimenti ad Israele e alla politica israeliana nei territori palestinesi.
Il titolo, che sembra voler essere autoreferenziale quasi a porre il bel paese come faro per altri e più riottosi partecipanti all'Unione, già dice molto: "Altri Paesi hanno seguito l'Italia. La prima bozza accusava Israele di fare apartheid. Razzismo, la Ue trova un fronte comune. L'Unione potrebbe ritirarsi dalla conferenza Onu di Ginevra se non verrà modificato il testo sul razzismo".
Ma il cuore dell'articolo è più interessante.
"...L'Unione Europea presenterà a Ginevra un nuovo testo, messo a punto dall'Olanda, per la conferenza dell'Onu Durban II. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a margine del consiglio europeo che ha chiamato a raccolta i ministri degli esteri dei 27 Stati della Ue, rilevando che questa iniziativa potrebbe modificare la posizione italiana che aveva deciso di abbandonare i lavori preparatori della conferenza per alcune frasi «antisemite» contenute nella bozza. In particolare, non erano piaciuti i riferimenti ad Israele e alla politica che Gerusalemme conduce nei territori palestinesi, definita nel testo originario «una violazione dei diritti umani internazionali, un crimine contro l'umanità e una forma contemporanea di apartheid» [...] "Il nuovo testo, ha spiegato ancora il ministro Frattini, «non menziona temi offensivi e controversi come approcci antisemiti o limitativi della libertà di espressione». Frattini a Bruxelles ha spiegato che «i colleghi Ue hanno concordato su quel testo, e se diverrà il testo negoziale della conferenza l'Italia sarà pronta a rientrare» nei preparativi della conferenza. Il ministro comunque ha spiegato di non essere «nè sicuro nè ottimista», ma si è detto soddisfatto che «il gesto dell'Italia è quello che più ha smosso le torbide acque del negoziato».".
Abbiamo una mezza idea di quanto hanno detto sull'argomento, fra una pletora di politici, studiosi ed intellettuali di ogni continente, personaggi del calibro di Desmond Tutu e Jimmy Carter. Ça suffit.
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http://www.haaretz.com/hasen/pages/ShArt.jhtml?itemNo=395916&contrassID=13
http://pipistro.blogspot.com/2006/11/lobbytuaries.html
http://pipistro.blogspot.com/2007/05/tentacolando.html
http://www.haaretz.com/hasen/spages/1070961.html
lunedì, marzo 16, 2009
Israele, destra ed estrema destra al governo
In Israele il partito di destra Likud, capeggiato da Benyamin Netanyahu, premier designato dal presidente Peres, ha raggiunto un accordo di coalizione con la formazione di estrema destra Yisrael Beitenu (guidata da Avigdor Lieberman, qualificato razzista e fascista all'interno della stessa Knesset, il parlamento israeliano). In base a questo accordo sarebbero affidati all'estrema destra di Yisrael Beitenu il ministero degli Esteri, della Sicurezza interna, delle Infrastrutture, del Turismo e dell'Integrazione.
Richiesto di un commento su questo patto preliminare di Netanyahu con l'estrema destra, Javier Solana ha dichiarato oggi che l'Unione Europea è disposta a collaborare come di consueto con il governo israeliano se questo rimarrà impegnato nel processo di pace per raggiungere una "soluzione a due stati" con i palestinesi. In generale, infatti, le autorità della UE hanno espresso preoccupazione sulla genuinità dell'impegno di Netanyahu a proseguire le trattative di pace.
Ancora più netta la reazione egiziana. Il ministro degli esteri Ahmed Aboul Gheit ha dichiarato senza mezzi termini che un governo di destra in Israele è un pericolo per il processo di pace.
Quanto all'ingresso di Lieberman e del suo movimento al potere, sembra utile ricordare le parole del leader laborista dimissionario, Ophir Pines-Paz, che ha a suo tempo affermato che il passato di Avigdor Lieberman - oggi candidato ministro degli esteri - è contaminato da "dichiarazioni razziste e da dichiarazioni che minano il carattere democratico di Israele".
Più tiepida, naturalmente, la reazione di chi nell'apologia di un processo di pace più volte negato e tradito e di una soluzione a due stati, forse anacronistica, non vede altro che l'incapacità della dirigenza israeliana di scegliere tra l'adempimento degli obblighi derivanti allo Stato ebraico dal diritto internazionale e la pervicacia con cui sono state sabotate tutte le possibili ipotesi di ragionevole - se non giusta - composizione del conflitto israelo palestinese.
lunedì, febbraio 23, 2009
La probatio diabolica pretesa dall'Iran
Immemori delle malefatte propagandistiche del 2003, le maggiori testate occidentali riportano in questi giorni con gran fanfara la paura del nucleare iraniano sulle nostre ingenue tavole e nei discorsi dei nostri disinvolti opinionisti. Senza vergogna, visti i precedenti. Le fasulle armi di distruzione di massa spacciate dalla banda neoconservatrice USA per muovere una guerra di aggressione contro l'Iraq, forti del pavido beneplacito di alcune dirigenze europee, non ci hanno insegnato niente. Nemmeno a denunciare la ciarlataneria di coloro che ci hanno già preso in giro ed imperterriti continuano sulla stessa linea. Ognuno ha l'informazione che merita.
Di seguito - nelle parole dall'AIEA e in due note - pillole (estrapolate dai rapporti di novembre 2008 e febbraio 2009) del kafkiano procedere di questa vicenda.
GOV/2008/59 - Date: 19 November 2008 - "17. As indicated in the Director General’s previous report, the Agency currently has no information — apart from the uranium metal document (1) — on the actual design or manufacture by Iran of nuclear material components of a nuclear weapon or of certain other key components, such as initiators, or on related nuclear physics studies. Nor has the Agency detected the actual use of nuclear material in connection with the alleged studies (2)".
GOV/2009/8 - Date: 19 February 2009 - "...The Agency has not made any substantive progress on these issues. As indicated in previous reports of the Director General, for the Agency to make such progress, Iran needs to provide substantive information, and access to relevant documentation, locations and individuals, in connection with all of the outstanding issues. With respect to the alleged studies in particular, an important first step is for Iran to clarify the extent to which information contained in the documentation which Iran was shown, and given the opportunity to study, is factually correct and where, in its view, such information may have been modified or relates to non-nuclear purposes".
________________________________________________________
Note
(1) L'"uranium metal document" è un documento di 15 pagine che descrive il processo di riduzione dell'UF6 (uranio esafluoride) per ricavarne uranio metallico in due emisferi, del tipo usato nelle testate nucleari. L'Iran ha dichiarato all'AIEA che il documento è stato ricevuto sin dal 1987 (incidentalmente, nel 1987 l'Iran era ancora in guerra contro l'Iraq) insieme alle specifiche per costruire le cosiddette centrifughe P1 usate per arricchire l'uranio, ed ha ribadito di non averlo richiesto. L'AIEA ha riferito dell'esistenza di tale documento nel 2006 ed ha ricevuto, sin dall'8 novembre 2007, una copia delle 15 pagine che lo costituiscono, ma ha di seguito dichiarato di "non aver rinvenuto indicazione di alcuna attività relativa al processo di riconversione dell'UF6 in Iran" (Rapporto del Direttore Generale dall'AIEA al Consiglio dei Governatori, GOV/2007/58).
(2) Gli "alleged studies" sono documentazione elettronica estrapolata da un personal computer di provenienza quantomeno dubbia (servizi segreti israeliani via dissidenza iraniana), frutto della fornitura di un laptop pervenuto agli USA nel 2004 da una fonte mantenuta anonima, che, a sua volta l'avrebbe ricevuto da altro anonimo probabilmente deceduto (cfr. New York Times, 13 novembre 2005. "A Laptop's Contents - American officials have said little in their briefings about the origins of the laptop, other than that they obtained it in mid-2004 from a source in Iran who they said had received it from a second person, now believed to be dead. Foreign officials who have reviewed the intelligence speculate that the laptop was used by someone who worked in the Iranian nuclear program or stole information from it"). La documentazione originale, cioè non filtrata elettronicamente - se ed in quanto esistente - non è mai stata fornita all'Iran, né ad alcuno, sicché la Repubblica Islamica dovrebbe difendere il proprio operato in relazione ad un contenuto virtuale, di provenienza sospetta e verosimilmente manipolato, di cui, nei fatti, l'Agenzia per l'Energia Atomica non ha mai trovato in Iran alcuna traccia né riscontro.
Di seguito - nelle parole dall'AIEA e in due note - pillole (estrapolate dai rapporti di novembre 2008 e febbraio 2009) del kafkiano procedere di questa vicenda.
GOV/2008/59 - Date: 19 November 2008 - "17. As indicated in the Director General’s previous report, the Agency currently has no information — apart from the uranium metal document (1) — on the actual design or manufacture by Iran of nuclear material components of a nuclear weapon or of certain other key components, such as initiators, or on related nuclear physics studies. Nor has the Agency detected the actual use of nuclear material in connection with the alleged studies (2)".
GOV/2009/8 - Date: 19 February 2009 - "...The Agency has not made any substantive progress on these issues. As indicated in previous reports of the Director General, for the Agency to make such progress, Iran needs to provide substantive information, and access to relevant documentation, locations and individuals, in connection with all of the outstanding issues. With respect to the alleged studies in particular, an important first step is for Iran to clarify the extent to which information contained in the documentation which Iran was shown, and given the opportunity to study, is factually correct and where, in its view, such information may have been modified or relates to non-nuclear purposes".
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Note
(1) L'"uranium metal document" è un documento di 15 pagine che descrive il processo di riduzione dell'UF6 (uranio esafluoride) per ricavarne uranio metallico in due emisferi, del tipo usato nelle testate nucleari. L'Iran ha dichiarato all'AIEA che il documento è stato ricevuto sin dal 1987 (incidentalmente, nel 1987 l'Iran era ancora in guerra contro l'Iraq) insieme alle specifiche per costruire le cosiddette centrifughe P1 usate per arricchire l'uranio, ed ha ribadito di non averlo richiesto. L'AIEA ha riferito dell'esistenza di tale documento nel 2006 ed ha ricevuto, sin dall'8 novembre 2007, una copia delle 15 pagine che lo costituiscono, ma ha di seguito dichiarato di "non aver rinvenuto indicazione di alcuna attività relativa al processo di riconversione dell'UF6 in Iran" (Rapporto del Direttore Generale dall'AIEA al Consiglio dei Governatori, GOV/2007/58).
(2) Gli "alleged studies" sono documentazione elettronica estrapolata da un personal computer di provenienza quantomeno dubbia (servizi segreti israeliani via dissidenza iraniana), frutto della fornitura di un laptop pervenuto agli USA nel 2004 da una fonte mantenuta anonima, che, a sua volta l'avrebbe ricevuto da altro anonimo probabilmente deceduto (cfr. New York Times, 13 novembre 2005. "A Laptop's Contents - American officials have said little in their briefings about the origins of the laptop, other than that they obtained it in mid-2004 from a source in Iran who they said had received it from a second person, now believed to be dead. Foreign officials who have reviewed the intelligence speculate that the laptop was used by someone who worked in the Iranian nuclear program or stole information from it"). La documentazione originale, cioè non filtrata elettronicamente - se ed in quanto esistente - non è mai stata fornita all'Iran, né ad alcuno, sicché la Repubblica Islamica dovrebbe difendere il proprio operato in relazione ad un contenuto virtuale, di provenienza sospetta e verosimilmente manipolato, di cui, nei fatti, l'Agenzia per l'Energia Atomica non ha mai trovato in Iran alcuna traccia né riscontro.
sabato, gennaio 31, 2009
Informazione corrotta, in Europa impazza la Lobby on line
"...Nelle ultime quattro settimane la potente macchina della propaganda israeliana ha sfornato bugie su bugie su Hamas per scusare il proprio inescusabile attacco. Israele ha fermato i giornalisti che andavano a Gaza per prevenire ogni resoconto indipendente sui crimini di guerra che le sue forze armate stavano commettendo. La verità è in genere la prima vittima della guerra. Quella di Gaza non è stata neppure una guerra nel senso convenzionale del termine, è stata una carneficina unilaterale. Ecco alcuni dei fatti che Dromi [ndr autore di uno sproloquio su Hamas] ignora o equivoca volontariamente. Primo, Hamas è il governo democraticamente eletto del popolo palestinese, non il corrotto regime condotto da Mahmoud Abbas. Secondo, i portavoce di Hamas hanno ripetutamente dichiarato di essere pronti ad un cessate il fuoco di lungo periodo. Khalid Mish'al lo ha fatto di recente su queste pagine (The Guardian, Comment, 6 gennaio). Terzo, Hamas ha una solida documentazione del fatto di avere osservato i cessate il fuoco, mentre è grandemente documentato il fatto che Israele li ha sabotati. Quarto, anche durante il cessate il fuoco Israele non ha sollevato il blocco economico sul milione e mezzo di abitanti di Gaza, una forma di punizione collettiva proibita dal diritto internazionale. Quinto, l'offensiva spiegata su Gaza è stata illegale, immorale e inutile. Se tutto ciò che Israele voleva fosse stato fermare gli attacchi coi razzi da Gaza, tutto quello che avrebbe dovuto fare sarebbe stato osservare il cessate il fuoco patrocinato dall'Egitto nel giugno 2008". (Professor Avi Shlaim - Oxford)
Poche parole, autorevoli, precise. Non sono le sole, naturalmente ed altre, altrettanto autorevoli, ce ne sono e ce ne saranno per scoperchiare le malefatte di Tsahl, della zoppa dirigenza che ha innescato la carneficina e - perché no - del delegittimato verminaio collaborazionista palestinese. E allora come fare, davanti al sangue e all'inutilità di questo massacro, per influire sulle fragili opinioni dei paesi nostri? Dell'occidente in genere? Non è difficile immaginarlo, la massiccia campagna di pubbliche relazioni che ha accompagnato i giorni del massacro ad uso e consumo specifico dei sudditi della condiscendente Europa deve continuare. A tutti i livelli, anche a quelli - internet - in cui la diffusione delle immagini e delle notizie in tempo reale supera i filtri prezzolati o coatti dei tanti regimi conniventi e il blocco lobbystico filo israeliano dell'informazione.
"Un migliaio di nuovi immigrati e di ebrei che parlano lingue straniere si sono offerti volontari nell'esercito di blogger preparato dal Ministero dell'Assorbimento e dal Ministero degli esteri con il dichiarato obiettivo di inondare i blog con opinioni pro Israele [...]
Il Ministero dell'Assorbimento sta reclutando nuovi immigrati ed ebrei che vivono all'estero, che hanno accesso a un computer e che parlano una seconda lingua in uno sforzo volontario di incrementare le pubbliche relazioni per Israele su internet. La campagna è stata lanciata la scorsa settimana [...]
Il Ministero è rimasto impressionato dalla massiva risposta allo sforzo. Più di 1000 aderenti interessati l'hanno contattato, di cui 350 di lingua russa, 250 di lingua inglese, 150 di linqua spagnola, 100 che parlano francese e 50 che parlano tedesco. Una serie di altre lingue europee risultano rappresentate dai volontari: portoghesi, svedesi, olandesi, italiani, rumeni, ungheresi, polacchi, greci, bulgari e danesi. Anche ebrei che parlano persiano, turco e arabo hanno offerto i loro servizi. Il Ministero ha addirittura raccolto l'adesione di una persona di lingua cinese. Circa il 60% degli aderenti è costituito da immigrati, vecchi e nuovi. Il resto sono ebrei che vivono nella Diaspora, israeliani che vivono all'estero e addirittura non ebrei che sostengono Israele e vogliono aiutare [...]
Mentre il Ministero dell'Assorbimento avrà il compito di reclutarli, il Ministero degli Esteri sarà responsabile nel dirigere i volontari online. Ogni qual volta il Ministero identifichi una tendenza anti israeliana su un blog in lingua straniera, un sito di notizie o un altro sito web, manderà immediatamente un messaggio ai volontari per inondare il sito con opinioni pro Israele".
(YnetNews - Yedioth Ahronoth - 29.1.2009 - "Pro-Israel media: Bloggers join media war")
Semplice, chiaro, non originale ma efficace. Fino a quando?
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Poche parole, autorevoli, precise. Non sono le sole, naturalmente ed altre, altrettanto autorevoli, ce ne sono e ce ne saranno per scoperchiare le malefatte di Tsahl, della zoppa dirigenza che ha innescato la carneficina e - perché no - del delegittimato verminaio collaborazionista palestinese. E allora come fare, davanti al sangue e all'inutilità di questo massacro, per influire sulle fragili opinioni dei paesi nostri? Dell'occidente in genere? Non è difficile immaginarlo, la massiccia campagna di pubbliche relazioni che ha accompagnato i giorni del massacro ad uso e consumo specifico dei sudditi della condiscendente Europa deve continuare. A tutti i livelli, anche a quelli - internet - in cui la diffusione delle immagini e delle notizie in tempo reale supera i filtri prezzolati o coatti dei tanti regimi conniventi e il blocco lobbystico filo israeliano dell'informazione.
"Un migliaio di nuovi immigrati e di ebrei che parlano lingue straniere si sono offerti volontari nell'esercito di blogger preparato dal Ministero dell'Assorbimento e dal Ministero degli esteri con il dichiarato obiettivo di inondare i blog con opinioni pro Israele [...]
Il Ministero dell'Assorbimento sta reclutando nuovi immigrati ed ebrei che vivono all'estero, che hanno accesso a un computer e che parlano una seconda lingua in uno sforzo volontario di incrementare le pubbliche relazioni per Israele su internet. La campagna è stata lanciata la scorsa settimana [...]
Il Ministero è rimasto impressionato dalla massiva risposta allo sforzo. Più di 1000 aderenti interessati l'hanno contattato, di cui 350 di lingua russa, 250 di lingua inglese, 150 di linqua spagnola, 100 che parlano francese e 50 che parlano tedesco. Una serie di altre lingue europee risultano rappresentate dai volontari: portoghesi, svedesi, olandesi, italiani, rumeni, ungheresi, polacchi, greci, bulgari e danesi. Anche ebrei che parlano persiano, turco e arabo hanno offerto i loro servizi. Il Ministero ha addirittura raccolto l'adesione di una persona di lingua cinese. Circa il 60% degli aderenti è costituito da immigrati, vecchi e nuovi. Il resto sono ebrei che vivono nella Diaspora, israeliani che vivono all'estero e addirittura non ebrei che sostengono Israele e vogliono aiutare [...]
Mentre il Ministero dell'Assorbimento avrà il compito di reclutarli, il Ministero degli Esteri sarà responsabile nel dirigere i volontari online. Ogni qual volta il Ministero identifichi una tendenza anti israeliana su un blog in lingua straniera, un sito di notizie o un altro sito web, manderà immediatamente un messaggio ai volontari per inondare il sito con opinioni pro Israele".
(YnetNews - Yedioth Ahronoth - 29.1.2009 - "Pro-Israel media: Bloggers join media war")
Semplice, chiaro, non originale ma efficace. Fino a quando?
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sabato, gennaio 17, 2009
Gaza e il cane pazzo israeliano
Quanto sta accadendo da ventidue giorni a Gaza è indicibile, ma è anche guerra dei media. La filiale locale della Lobby filo israeliana si è scatenata per ventiquattro ore sulle miserie della nostra informazione televisiva. I peones politici italiani si son dati da fare, da par loro, seminando ulteriore indignazione prezzolata e sostenendo le veline di regime. Ma mentre sui nostri monitor impazzano le sintesi storiche da rotocalco, i proclami di esperti avariati e il pollaio mediatico, altrove emittenti di più accurata fattura e ben altro livello - ma anche fonti indipendenti con mezzi assai più esigui - diffondono il pensiero dei maggiori studiosi della questione palestinese. Di esempi, dalla BBC in giù, ce ne sono a bizzeffe. E' di tutta evidenza che la vergogna non alberga nelle menti, men che meno negli animi, dei molti capintesta istituzionali, dei frequentatori professionisti e dei censori per vocazione che fanno capolino nei nostri media o imbrattano la carta stampata per fornire una versione edulcorata dei crimini di questi giorni.
Sull'episodio mediatico - di una pochezza annunziata - cui si è fatto riferimento, si sono esercitate centinaia di testate in queste ore italiane e si è crogiolata la schiuma politica del bel paese (trascurando con malcelato sollievo la storia, i fatti e la disperazione di quei luoghi). Non merita che il silenzio.
Di seguito trascrivo invece un breve intervento di Avi Shlaim (Professore di relazioni internazionali alla Oxford University), che ha servito nell'esercito israeliano negli anni sessanta ed è considerato uno di maggiori studiosi al mondo del conflitto arabo-israeliano, da una lunga intervista filmata rilasciata a DemocracyNow! il 14 gennaio scorso. Una sola frase, perché basta poco per capire. E per cominciare non c'è molto altro da sapere. Il resto è sangue e tutti già possono vederlo.
"In una prospettiva storica di lungo periodo comincerei dalla creazione dello stato di Israele nel 1948. Ho scritto un libro -che hai menzionato nell'introduzione- che si intitola Il Muro di Ferro: Israele e il Mondo Arabo (Avi Shlaim, The Iron Wall: Israel and the Arab World). E' la storia del conflitto arabo-israeliano dal 1948. E' un libro molto lungo, ma posso riassumerlo in una frase. Lungo i suoi sessant'anni Israele è stato notevolmente restio nell'intraprendere negoziati significativi con le sue controparti arabe per risolvere la disputa tra di essi e sempre troppo disposto a ricorrere alla forza militare per imporre la sua volontà su di essi. L'attuale orribile massacro israeliano della gente di Gaza è l'apice della vecchia politica israeliana di sfuggire alla diplomazia e basarsi sulla forza bruta militare".
"Israel must be like a mad dog, too dangerous to bother" (Israele deve essere come un cane pazzo, troppo pericoloso da disturbare), ha detto a suo tempo Moshe Dayan. Ma non tutti si rendono conto che il cane, reso pazzo dalla sofferenza e dal lutto mai elaborati, sembra indirizzato dall'odio che ormai lo accompagna, con il sangue ingiustamente reclamato, verso un percorso suicida.
Sull'episodio mediatico - di una pochezza annunziata - cui si è fatto riferimento, si sono esercitate centinaia di testate in queste ore italiane e si è crogiolata la schiuma politica del bel paese (trascurando con malcelato sollievo la storia, i fatti e la disperazione di quei luoghi). Non merita che il silenzio.
Di seguito trascrivo invece un breve intervento di Avi Shlaim (Professore di relazioni internazionali alla Oxford University), che ha servito nell'esercito israeliano negli anni sessanta ed è considerato uno di maggiori studiosi al mondo del conflitto arabo-israeliano, da una lunga intervista filmata rilasciata a DemocracyNow! il 14 gennaio scorso. Una sola frase, perché basta poco per capire. E per cominciare non c'è molto altro da sapere. Il resto è sangue e tutti già possono vederlo.
"In una prospettiva storica di lungo periodo comincerei dalla creazione dello stato di Israele nel 1948. Ho scritto un libro -che hai menzionato nell'introduzione- che si intitola Il Muro di Ferro: Israele e il Mondo Arabo (Avi Shlaim, The Iron Wall: Israel and the Arab World). E' la storia del conflitto arabo-israeliano dal 1948. E' un libro molto lungo, ma posso riassumerlo in una frase. Lungo i suoi sessant'anni Israele è stato notevolmente restio nell'intraprendere negoziati significativi con le sue controparti arabe per risolvere la disputa tra di essi e sempre troppo disposto a ricorrere alla forza militare per imporre la sua volontà su di essi. L'attuale orribile massacro israeliano della gente di Gaza è l'apice della vecchia politica israeliana di sfuggire alla diplomazia e basarsi sulla forza bruta militare".
"Israel must be like a mad dog, too dangerous to bother" (Israele deve essere come un cane pazzo, troppo pericoloso da disturbare), ha detto a suo tempo Moshe Dayan. Ma non tutti si rendono conto che il cane, reso pazzo dalla sofferenza e dal lutto mai elaborati, sembra indirizzato dall'odio che ormai lo accompagna, con il sangue ingiustamente reclamato, verso un percorso suicida.
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