martedì, gennaio 03, 2006

Luoghi comuni

Terrorismo internazionale, asse del male, punto di non ritorno, parole, luoghi comuni che riempiono la bocca di molti e le tasche di altri. Attendiamo una definizione di terrorismo senza che qualcuno estragga dal gonnellino di Eta Beta gli arbitrari elenchi di confezione USA/Israele o la facile spiegazione del perchè tale definizione non esista. Il motivo è infatti abbastanza semplice: non è possibile imporre una definizione ad hoc secondo le mire, le aspirazioni e gli interessi degli uni contro gli altri, condannando ma assolvendo contemporaneamente chi dello strumento terroristico ha fatto e fa largamente uso. In proposito Luigi Bonanate, prof. di relazioni internazionali all'Università di Torino, nel brevissimo saggio "Terrorismo Internazionale" definisce sì il terrorismo come l'azione di movimenti clandestini che hanno di mira solitamente il governo di uno o più Paesi in vista di un sovvertimento rapido e drastico dell'ordine politico e sociale, ma lo stesso accademico parla anche di forme di terrore esercitate direttamente o in modo coperto dagli Stati, così che accanto al terrorismo contro lo Stato si può proporre anche un altro terrorismo, di Stato, e sottolinea infine che quasi sempre una guerra è stata necessaria per il successo dei movimenti indipendentisti e quasi ogni guerra è stata preceduta da una fase di lotta terroristica. In una intervista ad Antonio Cassese (Prof. di diritto internazionale all'Università di Firenze, che ha presieduto per quattro anni, dal 1993 al 1997, il Tribunale penale internazionale dell'Aja) leggiamo poi che esistono dodici trattati internazionali concernenti diversi tipi specifici di azioni terroristiche, ma è stato in effetti impossibile, finora, giungere ad una definizione generale del terrorismo, accettata da tutta la comunità internazionale. E chissà perchè un fatto (o a mio avviso uno strumento, quello terroristico) deve poggiare la propria essenza su una convenzione, frutto dell'accordo tra contrapposti interessi. E comunque basta oggi indicare quale focolaio di terrorismo, con un altro utile escamotage, l'appartenenza al cosiddetto asse del male e collocarci il paese che di volta in volta fa comodo o risulta un ostacolo alle mire strategiche o al recupero di nuove risorse da parte di chi decide - con lo strapotere delle armi e dei media - "quando e come". Ma sotto questo profilo la globalizzazione e diffusione dell'informazione è un pericolo. Non sarà infatti tanto facile giustificare - ad esempio - l'aggressione in itinere nei confronti dell'Iran. Non tanto quanto lo è stato occupare l'Iraq dietro il paravento delle armi di distruzione di massa, della dittatura sanguinaria di Saddam e delle fasulle connivenze con una non meglio identificata multinazionale del terrorismo. Multinazionale tanto evanescente da evaporare nel giro di pochi mesi dall'Afghanistan all'Iraq, in compagnia di una sequela di menzogne che, secondo gli affarucci contingenti del momento, è risultato agevole spostare da una parte all'altra del medio oriente, senza considerare che il vero ed unico "asse del male" è stato da più tempo identificato nel "pericoloso circuito tra povertà, malattie infettive, degrado ambientale e crescente competizione per l'accesso al petrolio ed altre risorse". Questo il chiaro atto d'accusa verso la Casa Bianca che emerge dallo "State of the World 2005", l'ultimo rapporto del Worldwatch Institute: la "lotta al terrorismo sta spostando l'attenzione del mondo dalle reali cause di instabilità" - notano i curatori del Rapporto - e fa comodo inventarsi e supportare con una escalation mediatica preordinata secondo le necessità del momento, giorno dopo giorno, le basi per una nuova aggressione, mentre alcuni esaltati sono liberi di far credere al mondo che le loro possibilità vadano ben oltre la confezione di video da lanciare su internet. I proclami si sprecano e il 28 maggio 2003 il ministro degli esteri russo Ivanov avverte della ripetizione dello schema della aggressione contro l'Iraq nel caso dell'Iran. E infatti il 31 maggio successivo Condoleeza Rice minaccia azioni contro l'Iran per il suo supposto appoggio al terrorismo, al gruppo Al Qaeda e per il suo programma di sviluppo nucleare. E inizia il balletto dei punti di non ritorno. "Israele è convinto che a breve termine il programma nucleare iraniano raggiungerà un punto di non ritorno. «Se non si interviene, tra sei mesi l'iran sarà in grado di produrre uranio arricchito e avrà così la possibilità di fabbricare entro il 2008 la sua prima bomba atomica», ha affermato il 12 gennaio 2005 il generale Abraham Zeevi, capo dell'intelligence militare israeliana; e ha poi sottolineato che l'Iran dispone già di un missile della portata di 1300 km, lo Shihab-3, "in grado di colpire il cuore dello stato di Israele" [Le Monde diplomatique, febbraio 2005]. E il 12 aprile 2005 [NY Times] "Spargendo delle fotografie dei siti nucleari iraniani sopra il tavolo da pranzo del ranch di Bush in Texas, lunedì scorso il PM israeliano Sharon ha sollecitato il presidente Bush ad aumentare le pressioni sull'Iran perchè rinunci a tutti gli elementi del suo programma nucleare (così riferito da fonti ufficiali americane e istraeliane). Le stesse fonti hanno riferito che il signor Sharon ha detto che i servizi di intelligence israeliani hanno dimostrato che l'Iran è vicino a "un punto di non ritorno" nell'apprendere come sviluppare un'arma (nucleare). DebkaFile del 13 dicembre 2005: "Ahmadinejad’s previous calls to wipe Israel off the map and "cleanse Palestine" by relocating the Jewish state in Europe were roundly condemned by the UN Security Council and world leaders. IDF chief of staff Dan Halutz repeated: "Within three months Iran will reach the point of no-return in terms of its capability to manufacture a nuclear bomb, although it still has problems to overcome". Quanti punti di non ritorno eh? Finisce che poi qualcuno ci crede.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma per quale motivo mai al mondo l'Iran, che ha una delle maggiori riserve petrolifere del pianeta, necessita di avere l'energia nucleare per il suo fabbisogno energetico? Gli israeliani fanno bene a preoccuparsi, soprattutto a seguito delle affermazioni dell'essere di sembianze scimmiesche che a quanto pare è il presidente eletto dagli iraniani. Comunque gli israeliani sono già pronti: se lo stato ebraico venisse incenerito da una serie di bombe atomiche lanciate da qualunque paese, i suoi cinque sommergibili “Dolphin” (donati dalla Germania) che navigano sotto il Mediterraneo potrebbero colpire l’aggressore con i missili a testate atomiche che portano nella pancia. Si tratta dell’antica strategia di “mutua distruzione assicurata” (Mad) - se tu mi incenerisci, finirai incenerito - che per mezzo secolo ha garantito la pace nucleare tra Usa e Urss. È una garanzia solida.

pipistro ha detto...

Già, muoia Sansone con i Filistei. Il bottone è in mani per quanto possibile meno affidabili. Secondo il Sunday Times, che cita "fonti militari" e ne da notizia questo dicembre, Sharon avrebbe ordinato alle forze armate di tenersi pronte per la fine di marzo 2006 nell'eventualità di un attacco aereo contro le installazioni in cui l'Iran arricchisce l'uranio. Da un lato non si parla di "reazione" e la notizia non è stata confermata (e ci mancherebbe!) da Tel Aviv, dall'altro non si può pensare che una simile operazione possa passare come acqua fresca tra le maglie dei precari equilibri che tengono buone le popolazioni del mondo islamico. O si pensa che in Arabia Saudita, in Egitto, in Siria, in Palestina e in qualche misura in Giordania (ma solo a titolo esemplificativo), i relativi dirigenti siano in grado di disinnescare la nota bomba ad orologeria costituita dai loro sudditi, che per quanto sottomessi o con le pezze al culo, sono in grado di innescare una reazione generalizzata e difficilmente controllabile in tutta la zona e che - parlo dei sauditi - delle enormi ricchezze risucchiate loro dagli accordi sul petrolio leggono solo sulle pubblicazioni occidentali (quando hanno modo di leggere) ma che ben potrebbero sapere come usufruirne e portar danno in tutto il mondo occidentale se superassero le meschinità tribali che si portano appresso.

Anonimo ha detto...

Ma per quale motivo gli arabi dovrebbero arrabbiarsi se Israele sabota le installazioni nucleari iraniane? Perchè così l'Iran non avrebbe l'opportunità di distruggere Israele? Ma come, non vogliono l'esistenza d'Israele? Come è possibile, la loro religione non era di pace?
Per fortuna ci sono bel po' di tiranni nel mondo arabo, che finchè reprimeranno le loro popolazioni fondamentaliste ci consentiranno di vivere con un po' di pace. Il problema è che questi continuano ad emigrare e a riprodursi in maniera preoccupante anche da noi, stiamo accogliendo il nostro futuro nemico in casa.

pipistro ha detto...

Ma per quale motivo gli israeliani dovrebbero arrabbiarsi se qualcuno parla delle installazioni nucleari israeliane?
"I ask Rabin to make concessions, and he says he can't because Israel is too weak. So I give him arms, and he says he doesn't need to make concessions because Israel is strong" -- Henry Kissinger (quoted in Findley's Deliberate Deceptions p.199, quoting from Sheehan's The Arabs, Israelis and Kissinger)

Anonimo ha detto...

Mah, forse per le dichiarazioni di Ahmadinejad riguardo all'esistenza d'Israele. Mi pare sia stato piuttosto eslicito.

pipistro ha detto...

E' stato piuttosto esplicito ma non nel senso pubblicizzato ad arte. In decine di siti e blog iraniani le parole di Ahmadinejad sono state commentate e criticate nel dettaglio. Un suggerimento base: invece di leggere i titoli dei resoconti più o meno faziosi e parziali di certa stampa, meglio leggere - innanzitutto - la traduzione del discorso. Si può trovare sul New York Times e una traduzione minima di alcuni pezzi anche su questo blog, questo è il link.

Anonimo ha detto...

Non mi sembra che il concetto (ripetuto più volte) cambi. Ahmadinejad ha detto chiaramente che ogni mezzo è lecito pur di cancellare Israele e guarda caso insiste sul programma atomico, per scopi civili chiaro, e pazienza se hanno oceani d'olio nel sottosuolo.