giovedì, agosto 28, 2008
Free Gaza e Liberty, la missione continua
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"Message from the Free Gaza boats at 3.20 pm German time, received via Skype: "We just left Gaza and it looks like Israeli ships are waiting for us. Tell people to check back regularly this afternoon (Greek time) to see if the streaming is active: http://xserve1.systame.net/freegaza.sdp."
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martedì, agosto 26, 2008
Free Gaza, welcome dall'ONU
lunedì, agosto 25, 2008
Enzo Baldoni, perchè non dimentichiamo
Information Safety and Freedom riporta la notizia lo stesso 4 dicembre, precisando che Jihad Ballout ha risposto a una domanda sul video dell'uccisione, dichiarando: “Non abbiamo la cassetta dell’uccisione di Enzo Baldoni, ma ‘al Jazeera’ possiede materiali televisivi sulla morte del giornalista italiano e se le autorità italiane ne faranno richiesta noi ci saremo", ma ha precisato che allo stato nessuna richiesta in tal senso era mai arrivata ad Al Jazeera da parte dell'autorità giudiziaria italiana. Di più, quando Aidan White (Segretario Generale della IFJ, Federazione Internazionale dei Giornalisti, a suo tempo fortemente critico della retorica italiana in occasione del sequestro di Baldoni) gli ha chiesto la disponibilità a mostrare quel video ad una delegazione internazionale composta da giornalisti anche italiani, Ballout ha risposto che al momento in cui la richiesta fosse arrivata ufficialmente sarebbe stata presa in considerazione con "mente aperta".
Sono passati quattro anni dalla notizia della morte di Enzo Baldoni e poco più tempo dall'offerta di informazioni di Al Jazeera. Non risulta che la magistratura italiana abbia avanzato una richiesta di documentazione usufruendo della disponibilità del network qatariota. E, se avanzata, nessuno conosce l'esito di questa richiesta. Tantomeno risulta che una delegazione internazionale (o nazionale o locale) di giornalisti abbia mai preso in considerazione l'idea che il materiale in possesso di Al Jazeera possa gettare un po' di luce sulla fine di Enzo Baldoni. Tutti sappiamo, invece, che le prove effettuate sul DNA dei pochi resti di Enzo provenienti dall'Iraq diedero, a suo tempo, esito positivo. Poi il vuoto dovuto anche al disimpegno italiano in Iraq ma forse favorito dai segreti che coprono una morte imbarazzante e i protagonisti di un'alleanza scomoda.
domenica, agosto 24, 2008
Free Gaza, lunedì a pesca
sabato, agosto 23, 2008
We've entered Gazan waters!
venerdì, agosto 22, 2008
Free Gaza, Liberty e la minaccia pirata
Il governo israeliano, pur riconoscendo esplicitamente il carattere umanitario della spedizione, l'ha ostacolata e contestata anche sulla base degli accordi di Oslo, minacciando di fare ricorso alla forza nei confronti dei vascelli ora in viaggio verso Gaza (Haaretz: "A position paper by the Foreign Ministry's legal department says Israel has the right to use force against the demonstrators as part of the Oslo Accords, which names Israel as responsible for Gaza's territorial waters"). Si tratta di un pretesto evidente. Non è stato rispettato uno solo dei termini, tutti ormai da tempo decorsi, per l'esecuzione di quegli accordi e l'intero impianto di Oslo è stato infine addirittura dichiarato inesistente dall'ex premier israeliano Sharon, che l'11 gennaio del 2001 affermava: "L'accordo di Oslo è un patto che non esiste più" (cfr. Time e New York Times: "The Oslo accord is an agreement that no longer exists").
In proposito sembra quindi addirittura ridicolo oltre che pretestuoso riferirsi ad Oslo e ai suoi corollari, tutti incompiuti e rinnegati. Così non ha senso riferirsi oggi alle inverosimili condizioni imposte alla nascente Autorità Palestinese e alla gente di Gaza, con la ratifica di Yasser Arafat, nello specifico Accordo per Gaza e Gerico del 4 maggio 1994, diretto derivato di Oslo che riguardava proprio la Striscia e il mare antistante, poichè non uno degli indispensabili presupposti di fatto e di diritto previsti nel patto (in particolare la nomina di un'autorità congiunta israelo-palestinese preposta al controllo di quel mare) ha mai visto la luce. Lo scritto già a suo tempo non valeva la carta su cui Rabin e Arafat vergarono le proprie firme, tanto in assoluto quanto in relazione alla susseguente condotta osservata in merito alla sua esecuzione. Sicché, in particolare, il suo annesso I, art. XI, par. 4, che regolava l'accesso dei natanti e il destino dei viaggi internazionali per
Il vantato ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza del 2005 è cosa ufficiale, internazionalmente sbandierata. Minacciando la missione del Free Gaza e del Liberty e la sicurezza del loro equipaggio, la dirigenza dello stato ebraico si prepara, quindi, non tanto a sbugiardare definitivamente ed ufficialmente quell'affermazione, già vuota di ogni contenuto pratico, quanto a promuovere, tramite la propria marina, nei confronti di due vascelli la cui missione è stata riconosciuta come umanitaria, qualcosa di assai simile ad un atto di pirateria. O più precisamente di corsareria (il corsaro era al servizio di un governo dal quale otteneva lo status di combattente e la bandiera).
Non è inutile infatti ricordare che già la convenzione di Ginevra del 1958 (poi ripresa dall’ONU nel 1982, a Montego Bay, questa significativamente non firmata da Israele) definisce pirateria “ogni atto illecito di violenza e di sequestro o di rapina commesso in alto mare contro l’equipaggio o i passeggeri di una nave od un aeromobile”. Inoltre, anche qualora il blocco navale israeliano al largo della Striscia dovesse assumere - ma non si vede come - una parvenza di liceità internazionale, da esso dovrebbe essere in ogni caso escluso il blocco di beni di prima necessità, viveri e medicinali ed altri aiuti umanitari (art. 54, n. 1 del I Protocollo del 1977 addizionale alle Convenzioni di Ginevra di Diritto Umanitario del 1949).
Per quanto occorrer possa, in proposito, secondo Associated Press (notizia sempre ripresa da Haaretz), legali americani della National Lawyers' Guild provvederanno ad intraprendere le opportune azioni giudiziali nei confronti delle autorità israeliane se, come è stato minacciato dai vertici dello stato ebraico, si procedesse al sequestro degli attivisti in acque internazionali.
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Aggiornamenti
Haaretz - 16:16 23/08/2008 - Israele è sul punto di lasciare che le imbarcazioni che contestano l'assedio di Gaza approdino sulla Striscia - di Barak Ravid, corrispondente di Haaretz e Associated Press - Israele ha deciso sabato (23 agosto) di permettere ad un gruppo USA di attivisti che contestano il blocco israeliano alla Striscia di Gaza di portare due imbarcazioni che trasportano aiuti umanitari in territorio palestinese. Un alto ufficiale israeliano ha dichiarato sabato che il primo ministro Ehud Olmert, il ministro degli esteri Tzipi Livni e il ministro della difesa Ehud Barak si sono consultati a lungo sulla questione venerdì e hanno deciso di non ostacolare alle imbarcazioni, che trasportano 46 attivisti, l'approdo nella Striscia. L'ufficiale ha aggiunto che "gli organizzatori della missione cercavano di creare una provocazione ed è stato deciso di consentire loro l'approdo per prevenire la provocazione" (...)
Haaretz - 15:24 23/08/2008 - Free Gaza activists: Israel is sabotaging our mission, endangering lives of members - By The Associated Press - A group of pro-Palestinian activists ran into trouble Saturday as they tried to sail through Israel's blockade of the Gaza Strip, saying their boats' electronic communication systems were jammed and the vessels were struggling in rough Mediterranean waters. The Free Gaza activist group accused Israel of sabotaging the mission. The two boats carrying members of the U.S.-based activist group left Cyprus for Gaza on Friday to try and break Israel's blockade of the Palestinian territory, carrying a delivery of humanitarian supplies (...)
http://www.haaretz.com/hasen/spages/1014462.html
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martedì, agosto 19, 2008
Aree grigie
Amanda Kokoeva (12 anni): "...prima che io dica qualsiasi altra cosa voglio solo dire che stavo scappando dai soldati georgiani che bombardavano [...la nostra città]. Non dai soldati russi. Voglio dire grazie ai soldati russi, ci stavano aiutando a fuggire".
Laura Tedeeva Korewiski (zia di Amanda): "...voglio che sappiate ...chi biasimare di... in questo conflitto, è il signor Saakashvili che ha iniziato questa guerra, e il signor Saakashvili che è aggressivo e che, che ...per due giorni la mia gente, la gente osseta è stato uccisa ed è stata sotto le bombe e duemila persone sono state uccise in un giorno ...e questo è perchè sono contro - [il commentatore introduce un break pubblicitario: "...Tornerò subito da voi"] - Lo so, non volete sentire questo, ok ...".
Break pubblicitario.
Laura Tedeeva Korewiski: "La mia casa è stata bruciata in Sud Ossezia, dove vivevo, e possiamo biasimare solo una persona e il governo georgiano, non biasimo il popolo georgiano, biasimo il governo georgiano e deve dimettersi....".
Commentatore FoxNews: "...ci sono aree grigie in guerra".
Video su YouTube.
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Post scriptum
Le teorie a monte della crisi attuale sono molteplici e tutte seguono una certa logica, percorsi relativi all’energia, alle vie del gas e del petrolio, alle strategie economiche e militari, a riflussi, potere e paura. I fatti meno. Ma c’è chi si fa in quattro per raccontarci uno spicchio della realtà, quella che si vede e si tocca. Per questo non possiamo che ringraziare Pino Scaccia e chi come lui rischia le penne - per i gabbiani è proprio il caso di dirlo - osservando e riferendo quanto vede. Per le discussioni e la polemica, per le teorie e le strategie, per gli sfoghi ideologici, ci sarà, ahinoi, ampio spazio. Dopo.
Preoccupante invece che le sorti di tutti noi siano affidate alla elementare e nauseante retorica di personaggi privi di spessore, incompetenti o apertamente imbecilli e diplomatici da opera buffa in una assurda gara di flessione di muscoli. Medaglia d’oro e menzione particolare per arrogante inconsistenza, a questo riguardo e da ultimo, alla segretaria di stato americana e a chi le suggerisce le giaculatorie.
E allora preoccupiamoci e tanto. Il problema, affidato alle attuali dirigenze (e a quelle a venire nell’immediato), è cosa suscettibile di sbriciolare gli equilibri, per quanto precari, del periodo post-sovietico, precipitandoci in una guerra assai meno “fredda” della precedente e colma di variabili del tutto imponderabili perchè sinora sconosciute. Situazione nel Caucaso, Iran, Pakistan, Medio Oriente, Cina in cammino e situazioni iraqena e afghana stagnanti, pre-accordi con Polonia e Repubblica Ceca, proclami germanici e viscerale disaccordo europeo sono elementi di una bomba a tempo e tutti suscettibili di esplosione.
C’è un momento (ne sa qualcosa G. H. W. Bush (padre), indotto ad abbozzare ai tempi di piazza Tien An Men) in cui decisioni mal soppesate e sfoggio di muscolatura, oliata nella forma ma quasi atrofizzata nel contenuto, recano conseguenze del tutto sproporzionate rispetto alla superficialità con cui vengono emessi. In altri termini tenere a freno la lingua, l’enfasi e la retorica e adeguarsi all’ipotesi di essere incudine e non martello, quando le circostanze lo richiedono, sono già nella situazione attuale ragionevoli opzioni. Ma si sa, alla fine la storia è fatta dalle persone e dalla loro capacità, se non di prevedere, di capire.
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venerdì, agosto 15, 2008
Ossezia, corrente e controcorrente
Leggendo qui e là, la semplificazione è la regola e l'enfasi delle dichiarazioni politiche appare quantomeno eccessiva. Il punto di vista del presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, apparso in un fondo del Washington Post del 14 agosto (poi rimbalzato in Italia: Il Tempo), è un misto di retorica e di luoghi comuni: "L'invasione russa della Georgia colpisce al cuore i valori occidentali e il nostro sistema di sicurezza del ventunesimo secolo. Se la comunità internazionale permette alla Russia di distruggere il nostro stato democratico e indipendente, sarà come dare carta bianca ovunque ai governi autoritari. La Russi non intende distruggere solo un paese ma un'idea. Per troppo tempo abbiamo tutti sottovalutato la durezza del regime a Mosca. La giornata di ieri (mercoledì 13 agosto) ha portato nuove prove della sua doppiezza: entro le 24 ore dall'accordo della Russia al cessate il fuoco, le sue forze si scatenavano attraverso Gori; bloccavano il porto di Poti, affondavano vascelli georgiani; e - ancora peggio - cancellavano brutalmente villaggi georgiani dell'Ossezia meridionale, violentando le donne ed uccidendo gli uomini".
Sempre Saakashvili rincara la dose, aggiungendo che "da quando il nostro governo democratico è giunto al potere dopo la Rivoluzione delle Rose nel 2003, la Russia ha fatto uso di misure di embargo economico e ha chiuso i confini per isolarci e ha illegalmente deportato migliaia di georgiani in Russia. Ha cercato di destabilizzarci politicamente con l'aiuto di oligarchi criminali. Ha cercato di congelarci per sottometterci facendo esplodere cruciali gasdotti nel cuore dell'inverno. Quando tutto ciò non è riuscito a scuotere la determinazione del popolo georgiano, la Russia ci ha invaso. La settimana scorsa, la Russia, agendo per procura tramite i separatisti, ha attaccato diversi pacifici villaggi controllati dalla Georgia in Ossezia meridionale, uccidendo civili innocenti e danneggiando le infrastrutture. Il 6 agosto, poche ore dopo che un alto funzionario georgiano si era recato in Ossezia meridionale nel tentativo di negoziare, è stato lanciato un massiccio attacco contro insediamenti georgiani. Anche mentre eravamo sotto attacco, ho dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nella speranza di evitare una escalation e ho annunciato la nostra disponibilità a parlare con i separatisti con qualsiasi formula. Ma i separatisti e i loro padroni russi sono stati sordi ai nostri appelli di pace".
Di tutt'altro segno la Pravda, il Guardian e molta parte delle testate indipendenti americane, per cui il presidente georgiano Saakashvili è considerato né più, né meno che il burattino di un governo installato con un colpo di stato (la cosiddetta "Rivoluzione delle Rose") orchestrato dagli USA. Così Paul Craig Roberts, su pravda.ru, riferisce che l'ambasciatore M.K. Bhadrakumar (ex diplomatico indiano) lamenta la disinformazione sparsa dal regime di Bush e dichiara che sino dall'insorgere di violenze in Ossezia del Sud la Russia aveva cercato di interessare - nel totale disimpegno di Washington - il Consiglio di Sicurezza dell'ONU per ottenere che venissero deposte le armi in Georgia e Sud Ossezia. Sempre Roberts, sulle cause della crisi, è lapidario: "E' certo che l'invasione georgiana dell'Ossezia del Sud è stata un evento orchestrato dal regime di Bush. I media ameriani e i think tank neoconservatori erano pronti con i loro attacchi propagandistici. I neocon avevano pronto un editoriale di una pagina sul Wall Street Journal in cui Saakashvili dichiara che "la guerra in Georgia è una guerra per l'Occidente".
Esordisce con un rapporto piuttosto deciso Mike Whitney, su Counterpunch del 14 agosto ("Georgia and U.S. Strategy"): "L'esercito georgiano armato e addestrato dagli americani ha invaso l'Ossezia del Sud giovedì scorso (ndr il 7 agosto) uccidendo circa 2000 civili, costringendo 40 mila sud osseti a fuggire oltre il confine con la Russia e distruggendo gran parte della capitale Tskhinvali. L'attacco non è stato provocato e ha avuto luogo 24 ore piene prima che un solo soldato russo mettesse piede in Ossezia del Sud. Non di meno, la grande maggioranza degli americani crede ancora che l'esercito russo abbia invaso per primo il territorio georgiano. La BBC, l'AP, la NPR, il New York Times e il resto dell'establishment mediatico hanno abbondantemente e deliberatamente fuorviato i lettori facendo credere loro che la violenza in Ossezia del Sud sia stata provocata dal Cremlino. Per chiarezza, non è così. Per il vero non c'è disputa sui fatti, eccetto che tra la gente che si affida alla stampa occidentale per ottenere informazioni. A prescindere dalla loro stabile mancanza di credibilità, i media tradizionali continuano ad operare come arma della propaganda del Pentagono".
Di più, Whitney ricorda che l'ex presidente russo Mikhail Gorbachev ha fornito un riassunto preciso e sintetico degli eventi in un editoriale sul Washington Post del 12 agosto ("A Path to Peace in the Caucasus"): «Per un certo tempo è stata mantenuta una relativa calma in Ossezia del Sud. Le forze di peacekeeping composte da russi, georgiani e osseti, hanno adempiuto al loro compito e gli osseti e georgiani che vivono gli uni accanto agli altri hanno avuto almeno qualcosa in comune (...) Quello che è accaduto la notte del 7 agosto va al di là del comprensibile. L'esercito georgiano ha attaccato la capitale sud osseta di Tskhinvali con lanci multipli di razzi intesi a devastare larghe aree (...) Iniziare un attacco militare contro degli innocenti è stata una decisione irresponsabile le cui tragiche conseguenze per migliaia di persone di differenti nazionalità sono ora chiare. La leadership georgiana poteva fare questo solo con il sostegno esplicito e l'incoraggiamento di una forza molto più potente. Le forze armate georgiane sono state addestrate da centinaia di istruttori USA e il loro sofisticato equipaggiamento militare è stato comprato in una quantità di paesi. Questo, insieme alla promessa di entrare a far parte della NATO, ha incoraggiato i leader georgiani a pensare che se la potessero cavare con un "blitzkrieg" (guerra lampo) in Ossezia del Sud (...) a cui la Russia ha dovuto rispondere. Accusarla di aggressione contro la "piccola indifesa Georgia" non è solo ipocrita, ma dimostra mancanza di umanità».
Davvero, non è solo ipocrita. E' spudorato. E' ovvio che nessuno vuol fare qui l'apologia del metodo imposto da Putin e del suo atteggiamento dittatoriale nei confronti della dissidenza e dell'informazione, né della indiscriminata violenza del suo esercito (anche nella particolare occasione "si spara ai giornalisti"), né giustificare la politica russa nel Caucaso (chiunque abbia presente azioni e reazioni e crimini in seno alla crisi cecena sa di cosa parliamo) e tantomeno si vuole passare sotto silenzio lo strangolamento o l'invasione di stampo sovietico delle repubbliche ex sottoposte di Mosca, ma questi sei giorni di spargimento di sangue hanno innescato - precisa Seumas Milne sul Guardian - lo scarico (mai termine fu più adeguato) della più nauseante ipocrisia da parte dei politici occidentali e del mainstream mediatico loro generalmente asservito. L'establishment neocon americano, con il consueto codazzo di omologhi occidentali, ha infatti parlato immediatamente e solo di aggressione russa laddove, viceversa, Milne sostiene testualmente si tratti di "una storia di espansionismo USA".
Tant'è. Per i russi l'occidente è oggi nuovamente visto come il nemico. George W. Bush (considerato imbecille in patria dove molti ancora dubitano che abbia personalmente le capacità per essere un serio criminale) ci ha messo del suo. Ha fatto di più. Incurante del ridicolo o forse leggendo un appunto preparatogli dalla solerte Segretaria di Stato su predisposizione della junta che lo ha accompagnato sinora, ha accusato la Russia di avere "invaso uno stato sovrano" e di "aver minacciato un governo democraticamente eletto", aggiungendo ancora oggi che "bullismo e intimidazioni non sono modi accettabili per condurre la politica estera nel 21° secolo".
In proposito si sono chiesti al Guardian - e ci chiediamo noi - se sia questa la stessa accozzaglia di fanatici guerrafondai con lo stesso "illuminato portavoce" e per conto degli stessi governi che nel 2003 hanno invaso e occupato uno stato sovrano, l'Iraq, con pretesti e prove fasulle, a costo di centinaia di migliaia di vite umane. O se facciano parte degli stessi governi che hanno bloccato un cessate il fuoco, nell'estate del 2006, consentendo ad uno stato cliente e alla canaglia militare che lo dirige di polverizzare le infrastrutture libanesi e di uccidere più di mille civili come (pretestuosa perché preordinata) rappresaglia alla cattura di cinque soldati. Se sono gli stessi che mantengono sotto mortale ricatto un milione e mezzo di palestinesi punendoli del loro governo, anch'esso democraticamente eletto. Se sono gli stessi che alla faccia della Carta dell'ONU, dei risultati delle indagini dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, del Trattato di non proliferazione nucleare e dei risultati esposti dai loro stessi servizi di intelligence (NIE), minacciano di una guerra tendente al nucleare un altro stato sovrano. Se sono gli stessi che brigano malamente da anni (facendosi peraltro sputtanare dai servizi segreti domestici) per rovesciarne il regime, opinabile finchè si vuole, con l'aiuto di un'accozzaglia di ciarlatani, delinquenti internazionali e lacchè occidentali.
Sì, in parte sono gli stessi. E a quanto sembra non sono neppure in grado di provare vergogna. Allora come adesso. Ma con qualcuno e qualcosa in più. Non parliamo infatti dei consueti, svalutati e risibili Bolton, Cheney, Feith, Rumsfeld, ma - come precisa Whitney su Counterpunch - di personaggi ben più acuti, del calibro di Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, di Richard Holbrooke (plenipotenziario di Clinton nei Balcani) e di Madeleine Albright, tutti collegati per ora al carro di Barack Obama, forse in attesa di dimostrare al mondo che anche l'insipienza beluina del governo uscente potrebbe essere semplicemente un punto di partenza.
Sempre Mike Whitney ci ricorda infatti che proprio Brzezinski (architetto della campagna dei Mujaheddin orchestrata dagli USA contro i russi nell'Afghanistan occupato degli anni 80), nel suo "La Grande Scacchiera - Il primato americano e i suoi imperativi geostrategici", ha scritto che «da quando i continenti hanno iniziato ad interagire politicamente, circa cinquecento anni fa, l'Eurasia è stata il centro del potere mondiale.... La chiave per controllare l'Eurasia è controllare le Repubbliche centrali dell'Asia».
C'è davvero di che preoccuparsi.
giovedì, agosto 14, 2008
Niente giustizia per Fadel Shana
Si ricorderà che Fadel Shana, 23 anni, palestinese, stava lavorando per Reuters sulle violenze in corso a Gaza quando veniva preso di mira e trucidato da un razzo sparato da un carro armato israeliano fermo a diverse centinaia di metri di distanza. Il cameraman proseguiva a filmare fino al momento in cui il colpo mortale centrava il bersaglio scelto dall'equipaggio del tank. Indubbiamente scelto, perchè le scritte a grandi caratteri sull'autovettura del giornalista non potevano lasciare dubbi sulla natura del veicolo e del suo equipaggio. Il missile (o i missili) caricati con le micidiali flechette, uccidevano altri otto ragazzi palestinesi di età tra i 12 e i 20 anni. Una strage. Human Rights Watch dichiarava che secondo la sua indagine l'equipaggio del carro armato dell'esercito di occupazione israeliano aveva operato in modo temerario o deliberato. Un'indagine condotta per conto dell'agenzia Reuters accertava che il veicolo di Fadel Shana aveva oltrepassato, appena un'ora prima, un posto di blocco a 700 metri dai carri armati (Independent).
L'esercito di occupazione che si autodefinisce "il più morale del mondo" ha colpito ancora una volta. Ha aggiunto oggi al crimine la beffa, diffondendo l'ennesima vergognosa apologia dei propri misfatti. Ma pensando ai soldati che anche stavolta (e per l'ennesima volta) eviteranno una giusta condanna, ci si deve chiedere se sia più criminale il milite arrogante, sobillato da una dirigenza irresponsabile e da una classe politica fanatica, falsa e guerrafondaia o l'esercito e la dirigenza che assolvendolo dal suo delitto cercano di assolvere se stessi da crimini ben più gravi.