martedì, settembre 11, 2007

Archeologia del conflitto, la bozza Beilin - Abu Mazen

La notizia sarebbe comica, se non fosse tragica. Ha'aretz riferisce oggi, 11 settembre 2007, che l'ufficio del primo ministro israeliano Ehud Olmert ha richiesto una copia del documento elaborato nel 1995, in segreto, da Yossi Beilin e Abu Mazen. Si tratta di uno schema di possibile soluzione permanente del conflitto israelo palestinese datato 31 ottobre 1995. Il motivo della richiesta sembra da ricercare nel fatto che Olmert e i suoi collaboratori vogliono conoscere le questioni sensibili su cui Abu Mazen aveva a suo tempo concordato, verosimilmente per sfruttare questo postumo assenso - dopo 12 anni dalla redazione - nei prossimi colloqui.

Ora, la bozza Beilin - Abu Mazen è tristemente nota perchè proprio quello scritto fornì la base - precaria, in partenza inaccettabile e poi addirittura peggiorata - per gli infruttuosi incontri di Camp David patrocinati dal presidente USA Clinton alla fine del 2000 e il tentativo in extremis di Taba tra il 21 e il 27 gennaio 2001. Tentativo fasullo e in ogni caso esplicitamente dichiarato non vincolante nel corso del passaggio di consegne dal premier Ehud Barak (Labor) ad Ariel Sharon. Il primo silurato dalla propria carnascialesca gestione politica, interna ed esterna, il secondo, non ancora eletto ma già reduce - con l'assenso di Barak - dalla provocatoria passeggiata sulla Spianata delle moschee del 28 settembre 2000, che avrebbe criminosamente fornito impulso alla seconda intifada.

Ebbene, l'idea che Ehud Olmert voglia ufficialmente rileggersi (se non leggersi per la prima volta) il documento Beilin - Abu Mazen è già di per sè abbastanza ridicola, falso o vero che sia, ma il lato tragico della questione è un altro. La bozza Beilin - Abu Mazen, infatti, sotto il profilo di una sincera ricerca di pace, non vale la carta su cui è scritta, né le centinaia di migliaia di kbyte con cui lo scritto è da anni diffuso e commentato, in rete, a disposizione di chiunque voglia iniziare ad interessarsi del conflitto in Palestina, senza bisogno di scomodare i protagonisti o presentare al mondo richieste ufficiali.

Così, nell'ottobre del 2000, ne parlava Tanya Reinhart: «Lo scritto [c.d.] Beilin - Abu Mazen è in sè un documento indegno, che mantiene intatti tutti gli insediamenti e riconosce la sovranità israeliana sopra la maggior parte del West Bank. Vi è stabilito che Arafat avrebbe rinunciato, in rappresentanza dei palestinesi, a qualsiasi pretesa su Gerusalemme e le istituzioni palestinesi si sarebbero trasferite nel villaggio di Abu-Dis, ai confini di Gerusalemme. In cambio ad Arafat sarebbe stato concesso di chiarare Abu-dis capitale dello stato palestinese. Il trucco verbale era che Abu-dis sarebbe stata chiamata Al-Quds, così la questione si sarebbe presentata come se Gerusalemme fosse stata divisa tra la parte israeliana, "Gerusalemme" e la parte palestinese "Al-Quds"...». In realtà la questione di Gerusalemme era poi presentata (negli allegati alla bozza, introvabili come le relative mappe) con un vero e proprio gioco di parole, un arzigogolo strumentale al fatto che Arafat doveva poi trasferire l'imbroglio ai palestinesi nella forma più incomprensibile ed indolore possibile. Lo stratagemma consisteva nel chiamare il villaggio di Abu-Dis al-Quds, nome arabo di Gerusalemme che significa "la [città] santa" (si può leggere uno stralcio della relativa clausola, in italiano, in T. Reinhart,"Distruggere la Palestina - La politica israeliana dopo il 1948", pag. 34: "Israele riconoscerà quale capitale dello stato palestinese la [porzione dell'] area denominata al Quds prima della guerra dei Sei giorni, territorio che non fa parte dell'area annessa a Israele nel 1967"). Non a caso in quel periodo Reuters riferiva che da parte israeliana la chiave per risolvere la controversia su Gerusalemme e porre fine al conflitto era il linguaggio diplomatico e citava, in proposito, le espressioni dello stesso Yossi Beilin alla radio dell'esercito israeliano: "Il punto principale è quale nome dare allo status quo perchè tutti sanno che questo non sarà soggetto ad alcun cambiamento effettivo" (ibidem, pag. 39, cita in nota 22, Howard Goller, Reuters, 29 agosto 2000).

L'apposita sezione VII della bozza, dedicata al problema dei rifugiati palestinesi, non ha poi bisogno di spiegazioni e commenti. La questione veniva semplicemente stralciata, assemblata e condita con l'istituzione di una Commissione internazionale (ICPR), senza che da ciò derivasse il riconoscimento di alcun diritto, quand'anche per un solo rifugiato, al ritorno, e senza assunzione di specifica responsabilità da parte di Israele, neppure limitata all'aspetto economico, per le operazioni di spoglio e pulizia etnica del 1948 e del 1967.

Non stupisce in proposito il fatto che si voglia oggi accentuare la posizione collaborazionista (Quisling-style) del presidente dell'Autorità Palestinese e legarlo in qualche modo alle sue parole, vuoi per interesse, vuoi per malafede. Ed appare in questo senso evidente perchè, tra le pretestuose istanze rivolte sotto ricatto al governo legittimo di Hamas, oltre quella di riconoscere la legittimità di uno stato di Israele virtualmente "sconfinato" (nessun governo potrà mai riconoscere la legittimità di un altro stato che sconfini sul proprio territorio), vi sia quella di ratificare tutti i precedenti pezzi di carta fatti ingoiare all'ANP di Arafat ed oltre. E tutto ciò senza neppure vergognarsi del fatto che il decesso del percorso di pace di Oslo e corollari fu proclamato da Sharon, che ne condivide oggi - forse pagando in terra parte del suo debito - la più inutile delle agonie.

Sia quel che sia, questo vergognoso documento, ora pubblicamente all'attenzione del suo successore, Ehud Olmert, è un testo inutile anche se a suo tempo Yasser Arafat - pur per proprio interesse e godendo rispetto ad Abu Mazen di ben altra autorità ed ascendente sulla gente palestinese - aveva consentito, per quanto parzialmente, a percorrerne le tracce e a considerare una parte del suo contenuto il minore dei mali. Ma con un limite, che venne oltrepassato con la dimostrazione della rapacità della delegazione israeliana, quando risultò chiaro che un simulacro della vergognosa bozza Beilin - Abu Mazen, trasfusa nelle profferte orali di Barak e nelle sue surrettizie pretese, avrebbe dovuto anche fornire un'interpretazione concordata della risoluzione ONU 242 e si sarebbe comunque sovrapposta come una pietra tombale (con apposita clausola) ad ogni e qualsivoglia precedente documento ed elemento di diritto internazionale, non ultime, appunto, le risoluzioni ONU che sanciscono il diritto al ritorno e l'illegittimità dell'occupazione.

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