giovedì, settembre 06, 2007

Finkelstein vs. DePaul, ultimo atto

«It is now time for me to move on and hopefully find new ways to fulfill my own mission in life of making this world a slightly better place on leaving than when I entered it». (Norman Finkelstein)

"Ieri, mercoledì
[ndr 5 settembre 2007], doveva essere il giorno del grande regolamento di conti alla DePaul University. Invece è finito per essere il giorno del grande compromesso. La DePaul e Norman Finkelstein, il professore al quale aveva negato una cattedra, hanno annuciato le immediate dimissioni di quest'ultimo". Con queste rassegnate ed ingenerose parole, la testata accademica americana Inside Higher Ed esprime oggi la propria delusione, forse perchè non si è potuto assistere alle manifestazioni di disobbedienza civile ed allo sciopero della fame promessi da Finkelstein, privato, oltre che dell'impiego, dei propri uffici alla DePaul e della possibilità codificata nei regolamenti universitari di un ultimo anno di insegnamento. In un breve comunicato (1), del quale si conosce il testo ma sono rimasti riservati i particolari, la cattolica università DePaul e il prof. Finkelstein - con distinte dichiarazioni (leggibili in un unico documento) - hanno riferito di avere risolto la disputa sul "licenziamento", mantenendo sostanzialmente le reciproche posizioni. Cioè, la prima, sostenendo che non ci sono state influenze esterne nel processo decisionale che ha portato a negare la cattedra e l'impiego all'accademico e il secondo, ribadendo che la DePaul è stata influenzata dalla pressione esercitata da terze parti, esterne al corpo universitario, "che ha raggiunto apici di isteria nazionale che ha contaminato il procedimento di assegnazione dell'impiego".
Nella medesima dichiarazione Finkelstein ha riconosciuto il ruolo della DePaul per avergli offerto un'oasi da studioso nella sua struttura per sei anni e l'Università è stata costretta a dichiarare - cioè ad ammettere / confessare - di avere licenziato "uno studioso prolifico ed un eccezionale insegnante". E ciò, incredibilmente, negando le influenze esterne ritenute viceversa cosa nota da accademici del calibro di Raul Hilberg, Avi Shlaim, Noam Chomsky e da ultimi Tony Judt, Stephen Walt e John Mearsheimer ("Academics sympathetic to Norman Finkelstein, including "The Israel Lobby" authors John Mearsheimer and Stephen Walt, will gather to protest his firing. The Oct. 12 protest at the University of Chicago, Mearsheimer's employer, will include Tony Judt and Noam Chomsky, academics who like Finkelstein claim that pro-Israel voices have tried to silence them").
Poche ore dopo la dichiarazione attestante l'intervenuta definizione della controversia tra l'istituto di Chicago e il professore (quand'anche in termini riservati ed ignoti), più di un centinaio di testate americane hanno riferito la notizia e i particolari dello scontro tra i potentati filosionisti americani ed il coraggioso studioso, chiaramente estromesso dal corpo accademico della DePaul per i suoi atteggiamenti, fortemente critici sulla posizione israeliana e, di recente, per la ridondante campagna diffamatoria orchestrata dall'avvocato Alan Dershowitz nei confronti di Finkelstein. Questi ha infatti smascherato - fra l'altro - la faziosa povertà degli scritti del luminare di Harvard.
Tanta carta stampata ne ha quindi parlato e ne parla oggi. Ma il problema reale è un altro. Sul merito "non accademico" della diatriba, infatti, cioè sui motivi connessi al problema israelo (ebraico) palestinese, la stampa tradizionale non ha dedicato che poche righe, nei mesi scorsi, diverse dalla consueta acritica propaganda filogovernativa - cioè filoisraeliana - americana. Sicchè l'uomo della strada probabilmente non ha capito - né si è interessato - al nocciolo della questione: l'annichilimento di sostanziale e generalizzato dibattito, negli USA e nel mondo occidentale, sulle politiche di illegittimità e di apartheid intraprese dello Stato ebraico di concerto con la deriva governativa, guerrafondaia, neoconservatrice e filosionista degli Stati Uniti. Il tutto sotto le influenze delle relative lobby e quella israeliana innanzitutto.
Non è un problema da poco, quindi, quello che ha portato un luminare acclamato in mezzo mondo per il calibro delle sue opere tradotte in 46 lingue, ad intraprendere una strada tanto in salita. Ma anche negli USA, come in Israele, non è più da solo. E sul cartello alle sue spalle leggiamo: "Jewish Voice for Peace - Chicago Supports Norman Finkelstein".
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(1) Aggiornamento
- 7 sett. 2007 - Il prof. Finkelstein ha precisato che non si è trattato di una dichiarazione congiunta, ma di due distinte dichiarazioni [ndr diffuse in un unico documento]


(2) Per approfondire

http://www.insidehighered.com/news/2007/09/06/finkelstein
http://sherman.depaul.edu/media/webapp/mrNews2.asp?NID=1655&ln=true
http://www.jta.org/cgi-bin/iowa/breaking/103917.html
http://pipistro.blogspot.com/2007/01/riciclaggio.html
http://www.jewishvoiceforpeace.org/
http://mrzine.monthlyreview.org/laborbeat060907.html
http://www.normanfinkelstein.com/article.php?pg=11&ar=1215

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